Padrini di mafia e di battesimo: farne a meno? Si può


Confesso d’aver esultato per un attimo, ma subito dopo l’esultanza ha ceduto alla delusione. La notizia era una di quelle che aspetto da una vita. Non che sia tanto importante da cambiare la storia del mondo e neppure quella della Chiesa, ma insomma era una notizia. Per me importante.
Lunedì scorso, 30 giugno, sulla stampa nazionale figurava sulle prime pagine la notizia che l’arcivescovo di Reggio Calabria, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, aveva chiesto a papa Francesco di abolire per un periodo di dieci anni la carica e il titolo di padrino nei battesimi e nelle cresime su tutto il territorio della Calabria.
La “sensazionale” richiesta veniva solo dieci giorni dopo l’ancor più sensazionale scomunica scagliata da papa Francesco alla mafia e ai mafiosi, i quali di quel termine (e un po’ di tutta la terminologia battesimale) si servono per indicare la ritualità d’iniziazione dei nuovi adepti di mafia. Il papa ha fatto sapere al presule calabrese di sentire in proposito gli altri vescovi della regione e di fargli conoscere gli esiti della consultazione.
La notizia meritava il risalto che ha ottenuto sulla stampa, anche e soprattutto in considerazione della prontezza con la quale mons. Fiorini Morosini ha recepito il messaggio di Francesco. Né va dimenticato che papa Francesco ha avuto il coraggio di andare ben oltre il già durissimo monito di Giovanni Paolo II ad Agrigento, con il quale il papa ricordava la severità del giudizio divino che incombeva sulle loro teste. Francesco invece non rimanda niente al futuro né rimandava a Dio il giudizio. Il giudizio lo dava lui qui e ora. Immediato. Il più severo possibile: la scomunica appunto.
Grandioso il coraggio del papa. Egli sa bene che quella è gente che non scherza e ha la dinamite molto facile. E non solo la dinamite. Del resto Francesco l’ha già messo nel conto: «Ho 78 anni; ho poco da perdere». Lui, forse, poco, ma per la Chiesa sarebbe una vera catastrofe.
Ma scendiamo un poco da queste somme altezze, per parlare di qualcosa di molto più modesto, di un altro genere di padrini, non di quelli mafiosi, ma di quelli che dai mafiosi si sono “lasciati rubare” perfino il nome.

Un po’ di storia

Dei padrini si parla nei documenti liturgici già dalla 1°metà del sec. III. Allora per parlare di loro si usava il termine latino sponsor, garante, colui che, presentando al vescovo un nuovo aspirante al battesimo (dunque un pagano che ne faceva richiesta) si rendeva garante della serietà delle sue intenzioni e della bontà della sua condotta morale. Testimonianza tanto più importante se si tiene conto che in età di persecuzione religiosa non si sarebbe potuto escludere la presenza di infiltrati con intenzioni tutt’altro che amichevoli.
Poteva anche essere che il padrino era stato proprio colui che per primo aveva parlato della nostra fede al candidato neofito, portandolo a conoscenza di Gesù e del suo evangelo, conducendolo come per mano a condividere la nostra fede e la nostra speranza nel nome di Gesù Cristo: in qualche modo il suo primo catechista e la sua prima guida nel cammino di fede.
A lui era dunque affidato il compito di seguirlo da vicino, passo passo fino al battesimo. E al momento del battesimo sarebbe stato lui ad accompagnarlo al fonte battesimale. Il padrino avrebbe continuato a seguire il suo assistito anche dopo il battesimo, a dargli consigli, assistendolo spiritualmente e, se necessario, anche materialmente. Quest’ ammirevole istituzione col passare dei secoli si sarebbe evoluta, non sempre in meglio, non mancando esempi di snaturamento e di abusi nell’esercizio della sua funzione. Oggi il più delle volte è una figura di semplice coreografia.
Uno di questi abusi, certo fra i più gravi, sta proprio in questa autentica perversione che l’arcivescovo di Reggio Calabria denuncia, quella mafiosa appunto. Padrino, picciotto (ragazzino), famiglia: la mafia ha ricalcato il suo rituale di iniziazione su quello del battesimo e della famiglia, con le sue regole, i suoi precetti, le sue complicità, le sue sicurezze. È proprio contro queste gravi contaminazioni che il presule vuole porre un rimedio liberando il battesimo cristiano di termini e figure fin troppo compromessi.
Saggiamente il papa vuol sapere che cosa pensano i vescovi calabri di quella proposta. La decisione è assai delicata. E rischiosa. Scomunicato! Come reagirà la mafia? E i mammasantissimi? Accetteranno di sentirsi scalzare il piedistallo da sotto i piedi? E come potranno reagire? Si sa bene che la mafia non va per il sottile quando c’è da difendere il proprio potere. Il cardinal Angelo Bagnasco sembra averlo già messo in conto: negare la comunione a un mafioso può essere «molto pericoloso» ha detto: per un prete, forse anche per un vescovo. «Avendo il papa parlato molto chiaramente di scomunica, non ci si può tirare indietro. Non è consentito stare con le mani in mano» dice ancora il porporato. Sembra quasi un richiamare tutti alla vocazione al coraggio fino al martirio.
A questo punto quasi mi vergogno di parlare di ciò che avevo sperato di poter dire quando mi sono messo a scrivere questo articolo. Leggendo i titoli dei giornali, infatti, avevo creduto che mons. Fiorini Cesarini chiedesse, con l’occasione, un tempo di dieci anni per un esperimento di battesimo e cresima senza padrini e madrine. Un esperimento non limitato alla Calabria, né ai problemi di mafia, ma proprio all’ economia sacramentale in sé stessa. Così ho sperato.
È da molti anni che io sogno la soppressione dell’obbligatorietà della presenza del padrino e della madrina nei battesimi e nelle cresime. Non per motivi di principio, perché il principio in sé è ottimo, ma proprio per motivi di decenza. Decenza è una parola forte? Ebbene è la parola giusta. Perché oggi, almeno da noi, il padrino e la madrina hanno perso tutto il loro significato originale, per accontentarsi d’una funzione puramente decorativa. Il padrino importante dice l’importanza della famiglia del battezzato; a un padrino modesto si chiede molto meno: una buona amicizia, un grado di parentela molto stretto, magari un bel regalo. Tutto qui. Ben pochi pensano ancora all’esemplarità morale della figura del padrino, alla sua capacità e volontà di seguire lo sviluppo cristiano del figlioccio.
Ma c’è di peggio: ed è la norma, per sé saggia, ma assolutamente teorica e vuota di senso, che prescrive un certificato d’idoneità per un padrino che viene da un’altra parrocchia, certificato da esibire al parroco della chiesa dove si celebrerà il rito. Certificato assai poco affidabile, purtroppo. Tutti sanno che assai raramente un parroco rischierà una guerra di religione per lo scrupolo di dire: ”Io a te questo certificato non lo posso fare”. Apriti cielo se ciò avvenisse. Giusto se sei un divorziato risposato o un convivente notorio te lo potrebbero negare. Neanche se non vai mai in chiesa! Questo lo sanno tutti. Allora perché mettere in croce un povero parroco? Dare un attestato di idoneità significa dichiararlo ufficialmente un cristiano sicuro e affidabile. Ogni volta che me ne chiedono uno mi viene il voltastomaco. Me la cavo con un nulla osta dal punto di vista canonico. A me, bastano il padre e la madre. Sarà che a me le guerre di religione non piacciono. Anche mons. Bruno Forte, notissimo teologo, ha dichiarato avant’ieri che né la teologia né il codice proibiscono un battesimo senza padrini. E allora perché?