La fede, come l’amore, è più un fatto di cuore


Sembra che i cattolicissimi italiani siano dei veri analfabeti in religione. Non si tratterebbe di sondaggi, di opinioni, ma di dati di fatto, d’una realtà confermata da dati oggettivi e inconfutabili.
Tale per lo meno l’assunto e la tesi dello storico Alberto Melloni in un ponderoso Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia per i tipi de Il Mulino: ne riferisce per noi Giancarlo Bosetti su laRepubblica del 25 aprile u.s., dove si legge che, «per tutto quello che ha a che fare con Dio, la trascendenza, riti e culture associate, non passeremmo un test di ammissione neanche al livello più elementare». Malgrado l’86% degli italiani si dichiari cristiano, e oltre il 70% degli stessi abbiano in casa una Bibbia, coloro che ne hanno letto qualche pagina sono meno del 30%. E anche quelli, come ne saranno usciti? Edificati o scandalizzati? E quanto ne avranno capito? E perché hanno smesso di leggerla? Perché non gli piaceva o perché non ci capivano niente? O perché ne erano sconcertati? Perché non è facile districarsi fra tutte quelle migliaia di nomi di personaggi sconosciuti, fra storie lontanissime e spesso inverosimili per la nostra sensibilità e cultura.
E che impressione si possono essere fatti di quel Dio che ordina stragi, manda piaghe su piaghe ai popoli e ordina di sterminare intere tribù di uomini donne vecchi bambini schiavi e schiave, animali domestici e da lavoro, tutti immolati in un immane sacrificio ordinato da un Dio collerico e assetato di sangue, prezzo d’un’offesa o d’una disobbedienza alla sua maestà? E come fai ad amare un Dio sanguinario che vota allo sterminio intere città e tribù popolose, colpevoli solo d’aver creduto negli dèi dei loro padri? Che non esita a far piovere fuoco zolfo e sale su intere città come Sodoma e Gomorra, nomi ormai diventati simboli e sinonimi dei vizi più abominevoli.
Pagina terribile questa del libro della Genesi (cap. 18-19), abitualmente addotta da predicatori e scrittori devoti per esaltare la benevolenza di Dio verso i peccatori: tanto poco gli basta per annullare una condanna, per sospenderne l’esecuzione. Così i nostri improvvidi predicatori.
Così fino al Caino di Josè Saramago, il cui genio dissacratore ha messo in crisi questa troppo benevola lettura: Dio si è sbagliato, obietta l’eterno Caino che è in tutti noi: come poté affermare che in tutta Sodoma non ci fossero almeno dieci innocenti? Forse che a Sodoma non c’erano dieci bambini? E di che cosa potevano essere colpevoli quei bambini? O i bambini non entravano nel conto divino degli umani? Sopraffatto da questa rivelazione lo stesso Abramo, se ne esce nel disperato lamento «O Dio mio!». Sottinteso: “E io che mi sono lasciato gabbare!”.
A questo punto il lettore avrà già compreso che non sarà dello studio di Melloni che intendo parlare, ma del rapporto che intercorre tra fede e cultura religiosa, per tentare di stabilire con qualche approssimazione di verità in che misura fede e cultura religiosa coincidano e quanto la prima dipenda o abbia da guadagnare dalla seconda.
Comincerò subito col dire che se naturalmente un più di conoscenza può anche essere utile alla fede, ciò non è affatto detto che sia. Erri de Luca, che può vantare una passione e una conoscenza del testo biblico che solo pochi studiosi cattolici hanno, confessa candidamente di non credere in Dio. Si può leggere la Bibbia come si leggerebbe un testo omerico o la Commedia di Dante. Conoscere e credere non sono affatto la stessa cosa e personalmente non farei risalire mai all’ignoranza religiosa la debolezza di fede e l’incoerenza di vita dei nostri fedeli. Le due cose hanno origini diverse. Raramente l’amore nasce da un sentito dire o anche da una fama consolidata. Vita e letteratura marciano su binari diversi. Ci sono amori che nascono a prima vista e muoiono con la prima luna nuova. Altri che si sono affermati come frutto di una lunga frequentazione che solo col tempo ha potuto evolvere in passione amorosa. Amori che muoiono alla prima delusione, e amori che resistono a vere tempeste di gelosie e contraddizioni.
Ciò può valere allo stesso modo in amore, in politica, nell’impegno sociale, nella conduzione di un’azienda, nella scuola… Ciò può valere anche per la fede. Io trovo questa risposta coerente con tutto ciò che avvenne allora, sulle strade e sulle piazze di Palestina, sulle rive del lago di Tiberiade e sul fiume Giordano, sulla spianata del Tempio di Gerusalemme e sui bordi delle piscine di Siloe e di Betesda, e me ne convinco sempre di più cercando una risposta alla domanda: che avrà capito tutta quella gente su quel giovane predicatore che diceva quelle parole mai udite, che compiva quei prodigi mai visti? Certo non dovevano esserci molti Origene o Agostino o Tommaso d’Aquino fra quei popolani ammirati commossi entusiasti per le parole e per le opere di quel giovane profeta che allora avrebbero voluto acclamare loro re e per il quale domani avrebbero invocato una croce per patibolo. E cosa possono aver visto in lui Marta e Maria di Betania, Maria di Magdala e lo stesso Pietro che seppe poi rinnegarlo dopo quella splendida professione di fede con la quale l’aveva dichiarato Cristo e figlio di Dio?
E riflettendo su ciò che accade tuttora intorno a me: cosa sapeva di lui mia madre che mi ha trasmesso la sua fede, accettando che io dedicassi a lui la mia vita? E tutte le donne che in questi miei 45 anni in parrocchia hanno dato la loro magnifica testimonianza sacrificando tempo, riposo, e feste nel servizio alla loro chiesa? Sapevano a memoria il Credo, ma non ne avrebbero saputo spiegarne più di poche parole, insabbiandosi in tutte le altre. Ma all’inadeguatezza della loro scienza, suppliva la passione di una grande fede, la certezza dell’amore, la fiducia assoluta nel loro Dio e Signore. Perché la fede, come l’amore, prima d’essere un affare di testa è un affare di cuore.
Una conferma mi pare di trovarla nella persona, nelle opere e nelle parole di papa Francesco, se messe in relazione a quelle di papa Benedetto XVI. Non mi si voglia accusare di mancanza di rispetto per quel grande papa che si è meritato, con il suo ultimo gesto, un nome che resterà in grande onore nella storia della Chiesa. Le sue ammirevoli catechesi del mercoledì seguivano un disegno, davano vita a cicli impegnativi, importanti: sulle verità della fede, sulle figure dei santi del calendario liturgico, sulle virtù del cristiano ecc. La gente le ascoltava con rispetto, ma l’impressione che se ne aveva era che quelle parole rimanevano per lo più chiuse lì, fra le mura della sala Nervi o fra le colonne del Bernini. Ben pochi sapevano farne tesoro. Al confronto, le catechesi di papa Francesco sono incomparabilmente meno ricche e impegnative sul piano dei concetti, ma la loro penetrazione nei cuori è infinitamente più profonda di quelle del suo dottissimo predecessore.
Questo mi porta a una conclusione semplice semplice: se si vuole avviare una vera nuova evangelizzazione si dovrà tornare alla semplicità del nudo vangelo di Gesù. Una sua sola parola contro centomila trattati. Questo solo si aspettano le anime. Questo vuole da noi il Signore. Questa testimonianza vorrei saper rendere al mio Dio.