Auguri da un calvario piccolo piccolo


Cari Lettori,
Non è la prima volta che vi scrivo da un ospedale. L’ospedale è uno dei luoghi topici importanti, essenziali della mia vita. Ho cominciato a un anno e mezzo: due raschiamenti per osteomielite al capo e al costato; ho continuato a tre anni e mezzo all’ospedale di Marsciano per un taglio dell’arteria del piede destro causa di un coccio di vetro seminato lì dall’incuria umana; ho continuato grazie alla fretta di uno dei pochi autisti all’epoca circolanti nelle strade dell’Umbria: dovendo cambiare una gomma bucata non trovò di meglio che tagliare un marciapiede sul quale, io quattro anni di età, stavo giocando con i miei compagni. Poi mi presi qualche tempo di vacanza e al prossimo appuntamento avevo diciassette anni un’appendicite presa per il ciuffo dei capelli in una bella sera di agosto, a Marsciano, nella quale dovetti interrompere una partita di calcio a causa dei dolori; quattro anni più tardi fu la volta dì una borsite al ginocchio destro. A questo punto decisi di rompere con gli ospedali e mi concessi una lunga pausa di circa 18 anni: e fu un bel periodo di libertà. A trentanove anni cominciò il calvario più lungo, e ben più terribile: un epatite C che evolverà in cirrosi che mi obbligherà a girare fra gli ospedali d’Italia, che mi porterà a Palermo per un trapianto di fegato ben riuscito (2004), i cui effetti durano tutt’ora: da quel momento sono passati 10 anni.
Ora, e questo non può meravigliare chi sa di queste cose, qualcosa comincia a cedere e probabilmente qualche cosa bisognerà ancora soffrire. Ma tutto quello che ho ricevuto in questi anni è tutto dono di Dio e il mio impegno costante è quello di non rendere vano questo dono: la mia attività sul Giornale dell’Umbria fa parte di questo impegno. Un frutto prezioso di questo impegno è stato il libro FRANCESCO. Il suo nome è MIRACOLO, che raccoglie tutti i miei articoli su papa Francesco dal giorno delle dimissioni di Benedetto XVI fino al 13 marzo 2014 anniversario delle elezione di Francesco.
Oggi credevo di non farcela a scrivere questo breve articolo, dopo due notti durissime in ospedale (e non saranno le sole); avrò tutto il tempo e tutto il modo per partecipare dal di dentro alla passione di Cristo, da un letto che non è certo scomodo come una croce ma che la può ricordare molto da vicino.
Però non volevo che i miei lettori si sentissero trascurati proprio il giorno di Pasqua. C’è chi mi dice che aspetta i miei articoli di domenica per dare un tono particolare alla sua festa. Quella di oggi è una testimonianza di dolore e di fedeltà. Dolore per la mia malattia che mi tiene lontano dalla mia parrocchia dal mio Santuario dalla mia gente e vorrei che tutti sapessero, e credessero che anche la mia domenica non ha senso senza di loro: poteva questo non valere per Pasqua?
Avevo anzi preparato una sorpresa per quest’anno, in occasione del cinquantesimo della mia ordinazione presbiterale, ma la mia assenza (perché comprenderete bene che non vorrei mancare proprio io alla mia festa) mi costringe a rinviare: speriamo solo che una settimana basti al mio sacrifico.
Buona Pasqua amici Lettori, e a tutti quelli che per caso o per ventura avranno occasione di leggere queste righe: “a domenica prossima”.