Se a seppellirci sarà una ristata…


Si racconta che Gesù di Nazaret “mori e fu sepolto e che il terzo giorno risuscitò”.
A raccontarcelo sono i quattro Evangeli, più gli svariati miliardi di nostri simili che a quel racconto hanno creduto e a noi l’hanno fedelmente tramandato. Alla fine ci abbiamo creduto anche noi. Almeno molti di noi ci credono ancora. Io sono fra questi.
Oggi però qualcosa sta cambiando: a crederci siamo sempre meno. E quelli che ormai sono diventati maggioranza (i non credenti) ci trattano un po’ da scemi.
Colpa (o merito, secondo i punti di vista) della nuova civiltà, moderna, scientifica, tecnologica che non può più andare dietro a certe favole, anche se belle.
Perché la religione cristiana a molti pare niente più d’una favola. Bella magari. Anche molto bella. Ma la bellezza d’una favola non è una prova della sua verità. Certo, ci sono favole che si realizzano milioni di volte, nella realtà. Pensate a Cenerentola: ogni volta che una storia d’amore riscatta un’ingiustizia non è Cenerentola che trionfa ancora una volta?
Poi ci sono favole che hanno un nome diverso. Le chiamano miti, ma i miti non sono mai (solo) favole. Il mito è una verità detta o raccontata in forma di fatto storico, che però di storico può avere poco o anche nulla, ma che non per questo potrà essere detto falso, perché la sua verità non è tanto nel fatto che racconta, ma nell’idea, nel valore, nell’insegnamento, nei consigli o nei precetti che quel mito vuole trasmettere. Miti sono tutte le cosmogonie, le antropogonie, e perfino le grandi manifestazioni (epifanie) divine che consegnano agli uomini (a un popolo, a un re, a una città, a una tribù) un codice di leggi che dovrà di lì in avanti regolare la vita di quel popolo, di quella città, di quella tribù. L’autorità di quel codice sarà la stessa del Dio che lo consegna al sovrano, al profeta, al legislatore. Ciò vale per la legge di Mosè e per la stele di Hammurabi allo stesso modo. Per gli studiosi sono sullo stesso piano. Solo la fede può dar loro un diverso valore. Nell’una e nell’altra l’idea è identica: questa legge non te la dà un uomo: te la dà Dio stesso. Fra gli studiosi si conviene nel chiamare mitico questo modo di raccontare “la storia”.
È risaputo che tutte le religioni sono inesauribili fonti o fabbriche di miti. La nostra non fa eccezione: con la particolarità che molti dei suoi miti sono comuni alle tre grandi religioni monoteistiche che si riconoscono adoratrici del Dio di Abramo: ebraismo, cristianesimo e islam. I loro miti hanno contribuito a modellare la storia del mondo intero. E la stanno modellando tuttora.
Le religioni sono sempre state considerate uno dei segni fondamentali della civilizzazione umana. Diversissime le une dalle altre, esse sono sempre state determinanti per la vita degli umani. Dalle religioni è spesso venuto il meglio delle civiltà a noi note, ma altrettanto si può dire del peggio.
Sorgenti di eccelsa poesia e di arte, di culto e di potere politico, di civiltà e di diritto, si sono trasformate a volte in spietate macchine di guerra, di distruzione, di schiavitù, di morte.
Sempre ispirate a qualche forma di Assoluto, non necessariamente questo Assoluto deve configurarsi come metafisico: la Patria, la Nazione, lo Stato, la Libertà, la Classe sociale, l’Impero, l’Economia possono benissimo surrogare la metafisica e diventare esse stesse forme di religioni “laiche” che possono dar vita a tutte le forme di grandezza e di miseria, di eroismo e di barbarie rintracciabili nelle religioni tradizionali: si pensi solo al nazismo, al fascismo, al comunismo.
Se è vero che i miti amano vestirsi per lo più di parole (racconti, storie, leggende) essi amano esprimersi anche attraverso simboli. Simbolo (dal greco syn-bállō, mettere insieme) è un segno, un oggetto, una figura a cui per convenzione, si associa (appunto mettere insieme) un concetto, un’idea, un valore. Tali, per esempio, una bandiera, un gagliardetto, una coccarda, una croce, una mezzaluna e così via. Sempre per convenzione, gli uomini riconoscono ai simboli lo stesso valore morale, spirituale, religioso, politico, sociale della realtà significata (simbolizzata). In questo senso un atto di ossequio al simbolo acquista lo stesso valore d’un atto ossequio all’oggetto cui il simbolo fa riferimento. Allo stesso modo però, un’offesa al simbolo, diventa un’offesa alla persona o all’oggetto significato nel simbolo.
Ne deriva che una civiltà, aperta alla coabitazione dei diversi e alla convivenza di individui appartenenti a razze, culture e religioni diverse, dovrà anche imparare il rispetto per i simboli sacri in quanto tali, da parte di quanti convivono entro le sue frontiere. Non potrà mai dirsi veramente civile un popolo che non riconosce il rispetto per la fede e per i valori di quanti vivono legittimamente sul suo territorio. Cosa può esserci di civile in quegli energumeni che bruciano bandiere, profanano simboli religiosi, nazionali, di razza e di cultura, calpestandoli, profanandoli, imbrattandoli? O in chi ne fa oggetto di scherno, derisione, caricatura, satira irriverente e blasfema? Ciò vale assolutamente per tutte le religioni legittimamente ospitate e tollerate all’interno dei confini dello Stato che le ha accolte. Io non posso dare il benvenuto a un islamico e poi fargli trovare davanti alla moschea dove prega una blasfema caricatura del Profeta. Io non posso dirmi civile se ti faccio trovare, uscendo dalla tua chiesa, un’oscena rappresentazione del Cristo; se ti sbatto in faccia l’irridente caricatura di un Buddha panciuto, di un Profeta ubriaco. Va bene libertà d’espressione ma non licenza di offendere. Tutta la libertà di pensiero, di studio, di critica nei saggi, nella ricerca, nella scuola. Ma lascia stare i sacri simboli di ogni fede. Critica pure i vizi del Vaticano, la ferocia dell’islamismo fondamentalista, l’inerzia e la passività di certo buddismo, ma rispetta le sacre immagini del Crocifisso, di Muhammad, e del Buddha. Sono troppo grandi per te, povero untorello!
P.S.
L’idea di scrivere su questo argomento m’è venuta ieri sera aprendo per caso su La7 e vedendo Guzzanti e la sua lacrimevole satira su papa Ratzinger a Betlemme. Ha scomodato anche un padreterno deficiente. Quando si dice il coraggio: ha osato ben sapendo di non rischiare niente! Sublime. Allora ho deciso: farò una proposta ai miei Lettori. Eccola.
Tutti hanno diritto di non credere e di non credere; di scrivere pro e contro ogni fede religiosa; ma la libertà di pensiero non si identifica con la licenza di sputare sulla fede degli altri. Studia, argomenta, critica, dimostrami: mi sta bene. Magari dammi anche dell’ignorante o del cretino. Ma di vomitare dentro il mio calice non te lo permetto. Di orinare sul mio altare neppure. O mi farai rimpiangere di non poter usare i metodi dei fondamentalisti islamici. Non ti chiedo di condividere la mia fede. Solo che la rispetti.
Cari Lettori, fatemi sapere cosa ne pensate di ciò che ho scritto. E se approvereste l’idea di proporre a chi ci rappresenterà in Parlamento di promuovere una legge popolare che imponga il rispetto per i santi segni di tutte le religioni del mondo rappresentate in Italia. Aspetto le vostre risposte.
PS 2: Sì, sono arrabbiato. Molto.