Per Nelson Mandela: HIP HIP, URRÀ


Stanotte sono andato a letto sereno. Quasi felice. Serenità e felicità che venivano dalla notizia della morte di Nelson Mandela. Straordinario spettacolo: non le nostre tetre camere ardenti, volti sinceramente o ipocritamente o convenzionalmente compunti, pensosi: qualcuno che accenna una preghiera, altri che stanno soltanto pensando se non sia già il momento di prendere congedo dai familiari del caro estinto, e a che dovranno fare appena usciti, che hanno tanto da fare e non possono fermarsi di più; che tanto ormai il mio dovere l’ho fatto, adesso passo a stringere qualche mano e, poi, finalmente fuori!, anche questa è fatta.
Stanotte non è stato affatto così. Forse perché non erano ancora arrivate le immagini della camera ardente, forse perché il mito è troppo grande per poter rientrare negli schemi consueti, o forse perché davvero l’evento è talmente macroscopico che tutto ciò che è comune è destinato a saltare.
A me però la cosa ha dato una serenità che faceva tutt’uno con la gioia. A quell’ora l’unico telegiornale che io posso raggiungere è quello di Sky TG24, con i suoi servizi sulle prime pagine dei quotidiani del giorno dopo.
Ebbene quelle immagini erano tutte di gente felice che ballava: sai quei balli lenti e senza acrobazie che poteva ballare anche il Mandela 80enne e forse già 90enne (da poco aveva compiuto i 95), in quelle sue incredibili bellissime camicie sgargianti, allegre, coloratissime, alle quali egli prestava le sue mani, le sue braccia, le sue gambe, la sua faccia, e soprattutto i suoi occhi e la sua bocca, sempre sorridenti, felici: della felicità di chi può dire con Paolo di Tarso: ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede (2Tm, 4-7): ora aspetto la ricompensa che non potrà mancare.
Già, perché questo era Nelson Mandela, nero nato e cresciuto nell’apartheid e dello stesso apartheid nemico indefesso, al quale ha fatto guerra nei suoi anni giovanili, militando anche nella guerriglia, finché non ha scoperto anche lui, come il Mahatma Gandhi, che più efficace della lotta armata è la lotta pacifica, non foss’altro perché non offre alibi al potere per l’adozione della violenza.
La prepotenza del potere bianco gli ha sottratto 27 anni di vita, o meglio, ha sottratto 27 anni della sua preziosa presenza alla società umana che avrebbe certo tratto grande beneficio dalla sua azione nel contesto sociale e civile in quel mondo dominato dal geloso e brutale dominio dell’uomo bianco. 27 anni di prigione come quei semi sotto la sabbia del deserto che di anni sanno aspettarne anche 30 o 50 finché la pioggia non venga a donar loro l’umore di cui hanno bisogno per vegetare e in poche ore (tre quattro giorni) sanno germogliare, crescere, fare il fiore, impollinarselo, sì che si formi il seme che, caduto a sua volta sulla sabbia, aspetterà poi altri 30-40 anni per ricominciare tutto daccapo. Preziose le sue parole, in questo senso: “Quegli anni di prigione mi hanno fatto odiare i bianchi molto meno di quanto li odiavo prima; e mi hanno insegnato a perdonare quelli che ci hanno messi tutti in condizione di odiarci gli uni con gli altri”. Parole citate a memoria, ma rispettose del senso originario.
Due cose, mi hanno colpito nell’uomo Mandela in tutto ciò che ho potuto vedere: la bellezza “spirituale” d’un volto sereno sorridente, felice, pacificato esso stesso e portatore di pace: uno dei sorrisi e degli sguardi più accattivanti che sia dato vedere oggi nel mondo: un sorriso e un volto sui quali puoi ancora leggere una massima e un insegnamento, questo più o meno: la vita è bella e la giustizia ripaga, basta non avere fretta; se tu sei stato un giusto, avrai giustizia anche tu. Mandela ha sempre voluto, e creduto, essere dalla parte giusta, di lottare per la giustizia; e per averla ha pagato duramente. Ma sapendo d’essere nel giusto, non s’è mai perso d’animo e s’è sempre detto: giorno verrà che mi sarà reso tutto ciò che ora mi viene tolto, e quel giorno la ricompensa sarà grande per me.
E poi bastava guardarlo: il suo volto non aveva nulla della bellezza apollinea d’un dio greco, e tuttavia era affascinante come pochissimi al mondo, fino a diventare un’icona universale come pochissimi possono esserlo. Scordare la sua figura non sarà facile per nessuno, tanto meno per noi cristiani che lo ricorderemo come l’uomo che non ha voluto odiare i suoi nemici, che ha saputo perdonare chi l’ha combattuto fino a rubargli 27 anni di vita, ma dando a lui l’occasione di uscire più maturo, più umano, più altruista, più convinto della propria missione. Da quel luogo nel quale i più perfezionano la loro iniziazione alla malavita egli uscì rinnovato nella sua umanità.
Ma è ora di riprendere il discorso sulle immagini che non finiscono di sbalordirmi: tutta quella gente sulle strade, nelle piazze, dovunque lo si ricordi e di lui si parli, che balla compostamente, proprio come le stesse immagini ci mostrano che ballava lui, due passi su un mattone, le mani e le braccia che appena accennano a movimenti lenti; magari qualcuno con le lacrime agli occhi, i più come presi in un pensiero nel quale non c’è posto per la tristezza: Madiba il Grande, il Santo laico come è stato chiamato, sarà sempre con noi, continuerà a guidarci e nessuno ce lo potrà più strappare. Mandela come Gandhi, come Martin Luther King, come Teresa di Calcutta, come Giovanni XXIII, non appartiene a nessuno dei tanti Paesi del mondo, ma all’umanità intera, non importa la nazione, la religione, l’ideologia politica. Cittadino del mondo. Basta così.
I solennissimi funerali di Stato culmineranno il 15 dicembre, giorno della tumulazione ma continueranno per tre giorni di processioni per ogni parte della sua terra, perché tutti possano rendergli omaggio. Cosa neanche a un re né a un papa concessa. Per questi otto giorni che mancano ai suoi funerali, vorrei lasciarvi altrettante sue frasi per una buona e utile meditazione da leggere e da rifletterci su:

Domenica 8: Un vincitore è un sognatore che non si è arreso.

Lunedì 9: Ho imparato che il coraggio non è la mancanza di paura, ma la vittoria sulla paura. L’uomo coraggioso non è colui che non prova paura ma colui che riesce a controllarla.

Martedì 10: Provare risentimento è come bere veleno sperando che ciò uccida il nemico.

Mercoledì 11: Le difficoltà piegano alcuni uomini ma ne rafforzano altri. Giovedì 12: L’impossibile è tale finché non viene realizzato.

Venerdì 13: L’educazione è l’arma più potente che abbiamo per cambiare il mondo.

Sabato 14: Non mi giudicate per i miei successi ma per tutte quelle volte che sono caduto e sono riuscito a rialzarmi.

Domenica 15:Una buona testa ed un buon cuore sono sempre una formidabile combinazione.

Se le faremo nostre, l’intero mondo ne trarrà beneficio.

P.S. Mi piacerebbe tanto se i nostri annunci di morte somigliassero un po’ a quello che è stato per Mandela.
Almeno il mio, per favore, lo sia! Quando sarà il mio turno, vorrei che tutto suonasse, campane e cuori, a festa: “è andato al Padre e a quelli che l’hanno amato tanto”. E a sera, in Chiesa sia festa grande, e tutto parli di gioia e di vita eterna. Che se eterna non fosse, meglio per me sarebbe se non fosse mai stata.

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