L’anno della fede? Sia l’anno della carità


Ci sono giorni in cui, a chi scrive per professione o quasi, come nel caso mio, il foglio di carta bianco, o il monitor del computer, pure bianco, ti stanno davanti come il muso di un cane che non conosci, di cui non sai se aver paura o se fidarti di lui, se accarezzarlo per fartelo più amico o se minacciarlo perché abbia più paura lui di te di quanta tu non ne abbia di lui.
Oggi per me è una di quelle giornate. Senza un’idea precisa che occupi totalmente il mio interesse, più seccato che stimolato dalle cose banali tristi e mediocri che mi aggrediscono da ogni parte, senza un “messaggio” preciso da trasmettere ai miei lettori, mi sento come un palloncino gonfiato con elio, perché voli in alto, senza sapere dove andrò a finire.
Certo di parole ne ho sentite tante e di casi oscuri s’è parlato molto in tutta la settimana appena trascorsa, ma nulla mi si è imposto di prepotenza, sicché ti senti come quel palloncino che voleva sì volare in alto, ma che lo spillo di un bimbo dispettoso ha forato afflosciandolo, sì che ora giace, inutile e sporco, in terra.
Così mi pare di trovarmi oggi, scarico, forse avvilito, “moscio”. E per un giro passerei anche volentieri la mano. Ma so che, se gliela dessi vinta, domenica prossima sarebbe peggio ancora, e allora decidi che no, in ogni caso dovrai fare il tuo dovere, perché questo ci si attende da te, perché a questo ti sei impegnato non tanto con il tuo Direttore, quanto con i Lettori che ti hanno adottato come punto di riferimento e di confronto per le loro idee, per le loro scelte, e per il loro impegno sociale e religioso. Sempre con rinnovata fiducia.
Così ieri sera, dopo aver speso tempo e speranze alla ricerca di qualche motivo di ottimismo e di fiducia che mi permettesse di continuare a sperare in qualcosa di buono in vista delle prossime scadenze della società civile del nostro così bello, ma per altri versi anche tanto disastrato Paese, alla fine mi sono disposto a cercare un aiuto e un conforto nella testimonianza di due preti cattolici, molto meritoriamente messi insieme nel programma ZETA di La 7, dall’ottimo conduttore ebreo Gad Lerner.
Devo dire che la cosa ha, almeno in un certo senso, funzionato. Non si parlava direttamente di politica, arte nella quale l’Italia da almeno cinque lustri a questa parte riesce sempre a dare il peggio di sé; vi si parlava invece di impegno sociale, di testimonianza coraggiosa e anche eroica da parte di due preti, assai simili nell’impegno e molto diversi fra di loro sia nel look sia nel modo di parlare.
Il primo era don Luigi Ciotti, prete che ha fatto della strada la sua parrocchia, icona riconosciuta di tutti i preti antimafia, per il quale ritengo del tutto inutile sprecar parole perché è certo uno dei personaggi più noti stimati e amati nella triste Italia di questo passaggio di millennio; l’altro, un don Luigi anche lui, un po’ meno famoso forse, magari solo perché è molto più giovane (ha ancora tempo per crescere), prete anticamorra e dunque cugino stretto del primo.
Una specie di felpa su calzoni senza piega il primo; giacca e camicia di sartoria ecclesiastica con minicolletto per clergyman e pantaloni adeguati il secondo (non so dirvi nulla sulle scarpe perché non guardo mai le scarpe di chi mi sta davanti, a meno che non si tratti di due barconi, magari sporchi e gracidanti, sui piedi di un prete che celebra la messa). Non starò a ripetere nulla di tutto quello che i due preti hanno detto: entrambi cose eccellenti. Vi racconterò solo ciò che io prima ho cominciato a pensare, poi ho formalizzato in un pensiero chiaro e preciso.
Alla fine il risultato era questo, riducibile alle dimensioni di un cinguettìo (twitter): “le parole dei due preti sono la soluzione a tutti i problemi cui vuol rispondere l’anno della fede: basterebbe che la Chiesa le facesse sue” (139 lettere, spazi inclusi).
Che c’entra qui l’anno della fede?, potrebbe obiettare più d’uno dei miei Lettori: son due cose diverse, che non vanno confuse: l’ambito della fede verte sulle verità, sui dogmi, sulle proposizioni dottrinali, sui valori morali, sul diritto canonico, su dottrina e prassi sacramentale, sui principi non negoziabili come ormai si usa dire con un orribile neologismo curial-politico-politologico.
Del tutto d’accordo; e non di meno continuo a pensare che è proprio qui che noi potremmo trovare la risposta a tutti i problemi della durissima crisi di fede che attraversa non dirò il mondo (perché della nostra crisi di fede il mondo avrebbe tutte le ragioni per infischiarsene), bensì la stessa Chiesa.
Ebbene, mentre li guardavo e li sentivo parlare, mi sentivo crescere dentro la persuasione – che già nutro da anni – di cui ho già spesso scritto e parlato (ogni volta che ne ho avuto l’occasione): solo in uomini come questi due è la speranza per la Chiesa di domani; solo nel sangue dei don Pino Puglisi, solo nel sari sporco di vomito e di pus di Madre Teresa di Calcutta e delle sue piccole Sorelle; solo nella vita sotto scorta dei Luigi Ciotti e in quella altrettanto allertata dei Luigi Merola è l’unica risposta a chi ci rinfaccia i don Luigi Verzé (Luigi anche lui! basta, è un invasione!), i Formigoni, i mons. Salvatore Cassisa, (già vescovo di Monreale, in fortissimo odore di mafia), e i gradi alti dello IOR ecc.ecc.
Solo Dio sa quanto male ci può aver fatto, sempre, la nostra fama di amici del potere, tentazione sempre ricorrente nella Chiesa. D’altra parte come meravigliarci? È dall’età di Costantino il Grande (esattamente 1700 anni fa l’editto di Milano) che tale matrimonio “morganatico” (mai dunque riconosciuto) fra la Chiesa e Mammona va avanti. Innumerevoli i figli generati da quel matrimonio: e se qualcuno di essi ha potuto diventare un San Martino di Porres (mulatto, figlio non riconosciuto del governatore di Panama e di una schiava nera: stalliere, barbiere, dentista, chirurgo e infine monaco laico, domenicano e santo), altri hanno percorso tutta la strada dei peccati più atroci (Cesare Borgia, il famigerato Valentino, figlio di papa Alessandro VI, cardinale già a 21 anni e poi, lasciata la porpora, spregiudicato arrampicatore sulla scala del potere politico, ispiratore del Principe di Machiavelli).
Del resto proprio ieri sera, nella predetta trasmissione televisiva si è avuta un’altra controprova che il Tentatore è sempre in agguato di ogni nuovo Cristo che si affacci sul mondo: è stato lo stesso don Merola a darne conferma: l’invito (accettato) di recarsi ad Arcore per parlare di una sua possibile candidatura alla Camera per le liste del PDL: cosa finita in un nulla di fatto. Colpo mica banale per chi doveva rifarsi una verginità antimafiosa, in pieno caso Cosentino!
Don Luigi ha risposto no. Buon per lui e per noi e per la Chiesa!
È stato lì che ho pensato: cara santa madre Chiesa, che ti interroghi con ansia sul come rinnovare la tua catechesi nell’anno della fede allo scopo di ravvivare il sentimento e la pratica religiosa del popolo cristiano, ecco la risposta che cerchi: moltiplica i tuoi don Luigi (Ciotti, Merola…) e metti un po’ la sordina ad altri don Luigi (Verzè, Villa…) perché tutto ciò di cui tu hai bisogno è la carità dei tuoi figli e il nitore delle loro virtù civiche e morali. Il resto verrà da solo. Non è la dottrina dei sapienti che manca alle tue pecorelle. È la santità dei tuoi apostoli e il fuoco dei tuoi profeti.

,