La nuova evangelizzazione? È papa Francesco!


L’abbiamo aspettato tanto, ma forse è veramente arrivato colui che saprà riportare il Vangelo al primo punto dell’ordine del giorno dell’agenda di Pietro, inteso come colui che siede sulla cattedra che fu dell’apostolo Pietro, anzi della Pietra su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa, la fragile barca sulla quale essa non ha esitato a sfidare le tempeste prima del lago di Tiberiade, poi del Mare Mediterraneo, utero e culla delle prime cristianità, e infine quelle ben più spaventose e terribili degli Oceani, per raggiungere, questa volta alla lettera, tutti gli estremi confini della Terra.
Forse è veramente lui che il mondo intero aspettava, anche il mondo dei laici intesi come quelli che in Dio non credono, ma che amerebbero tanto che chi in lui crede dimostrasse poi, anche a loro, agli increduli, che credere in Dio, forse sì, davvero, sarebbe un gran guadagno per tutti, perché sai quanto il mondo sarebbe diverso e migliore se tutti gli uomini vivessero come chi ci crede davvero: che poi era il grande argomento di cui i primissimi cristiani si servivano per vincere le resistenze degli increduli: «guardate come si amano», si dicevano l’un l’altro i pagani ammirati, e intanto il seme della Parola di Dio si divulgava da bocca in bocca e faceva proseliti e il Regno di Dio si propagava.
Poi le cose cambiarono, i cristiani divennero maggioranza, si attribuirono dei diritti, avanzarono delle pretese, si arrogarono dei privilegi, imposero a chi cristiano non era rispetto e venerazione per i simboli cristiani, si dette mano alle spade, si bandirono crociate, si accesero roghi, si tagliarono teste, si imposero conversioni, si minacciarono i restii, e per i discepoli di Chi era nato in una stalla si costruirono cattedrali a sfidare i cieli e si raccolsero tesori da far concorrenza a quelli dei sovrani della terra.
Con il potere in mano, i cristiani presero confidenza con tutti i vizi e le nequizie e le brutture e le crudeltà di ogni altro potere umano, con una sola differenza: che la responsabilità di tutto questo poteva essere scaricata su Dio. Era lo zelo (gelosia) per la gloria di Dio, dicevano, che spingeva gli uomini di Chiesa a quegli estremi sistemi di lotta al peccato che dettero vita alle varie inquisizioni, ai processi, alle crociate e alle stragi che disseminarono di cadaveri le strade e le piazze e i campi lavorati dall’uomo. La fede in Cristo che aveva saputo infondere forza contro la persecuzione era evoluta fino a diventare essa stessa persecutrice di altre fedi e di altri modi di intendere la verità. Questa evoluzione portò la Chiesa a nefande conseguenze i cui nodi sono giunti al pettine tutti insieme nei tempi moderni che non per caso hanno registrato le più gravi crisi di disaffezione e di rifiuto mai registrate nella storia.
L’ultimo decennio dello scorso secolo (e millennio), segnò un acme importante nella lotta contro la stessa idea di Dio, che fu vista come la causa di tante nefandezze e di tanto odio contro l’uomo. Dio non è amico dell’uomo, era l’idea che si cercò di far passare. L’uomo ha tutto da guadagnare dall’abbandono dell’idea di un Dio personale. E molti di noi ci chiedevamo come avremmo potuto produrre un’inversione di tendenza. E si propose una ricetta, risibile: nuova evangelizzazione fu la sterile formula.
Ed ecco che l’11 febbraio scorso, festa di anniversario della prima apparizione della Vergine a Lourdes, un papa, grande teologo e uomo di profonda spiritualità, compì un gesto da tutti inatteso: annunciò le sue imminenti dimissioni. Il papa tornò a essere un umano: umano nelle sue fragilità, nella sua impotenza a fronteggiare il male, nel suo desiderio di ritrovare una serenità perduta; umano nel suo bisogno di volersi cancellare agli occhi del mondo e di cancellare il mondo ai propri occhi.
Fu solo il primo miracolo. Subito dopo un altro, forse ancora più grande: un italo-argentino sulla cattedra di Pietro, un sud-americano, gesuita per di più, il primo gesuita a diventare papa.
E che papa! Diretto, immediato, semplice, gioviale, tenero, spiritoso, generoso, coraggioso al punto di predicare l’amore per la povertà a un mondo che sogna solo i soldi, meglio se tanti, possibilmente tantissimi, al limite da ricco sfondato. Un modello, uno solo? Ciccone madonna, dove madonna non è un nome di battesimo, ma un blasfemo nome d’arte studiato perché fosse subito scandalo. Un nome del tipo ecco che ci faccio col tuo nome e con il tuo rosario fra le mie pocce che alla vera Madonna (se c’è) le ha da venire il mal di mare come quando il mare è in burrasca.
Ecco, a questo mondo immerso nella volgarità più sorda e opaca, un uomo è stato mandato e il suo nome è Francesco. Quest’uomo, in meno di sei mesi ha saputo capovolgere e sconvolgere ogni schema esistente e ogni modello prestabilito. Porta scarpe grosse, porta a mano la sua borsa dove mette il suo rasoio elettrico e il suo breviario, rifiuta sistemazioni speciali sull’aereo, rifiuta picchetti d’onore al suo arrivo in aeroporto; il vestito bianco per ora è impeccabile, ma si capisce che è fuori posto. Vedrete fra un po’: lo vedremo con i polsi e i gomiti logori, come succedeva a Buenos Aires.
Intanto fa la sua predichetta tutti i giorni, per chi c’è, c’è (tanto poi c’è la radio!). Subito via dalla macchina i vetri anti proiettili: ha capito che ciò che lo salverebbe dal piombo, lo allontanerebbe dai suoi fratelli in piazza, che lui ama più della sua propria vita. Forse pensa anche che non sarebbe poi così brutto morire martire per amore dei suoi fratelli.
Ora deve riformare la Curia: intanto via Bertone, il frequentatore dei salotti di Vespa dove si fanno quasi sempre incontri pericolosi e anche un po’ disdicevoli per un segretario di Stato in carica. E poi il Vaticano lui lo vuole aperto: chissà se ha letto Il canto dell’amore dell’anticlericale Carducci? Ricordate? «Aprite il Vaticano, io prendo a braccio quel di se stesso antico prigionier». Lui il Vaticano lo ha aperto, anzi lo apre ogni volta che sale sulla papamobile e si dedica per una mezzora e forse più alla folla (non userò mai l’espressione bagno di folla: ci si sente sotto sotto lo schiocco della lingua che si esulta per il trionfo che gli viene tributato. Lui no! Lui vuole dare alla folla, vuol poter stendere il braccio e afferrare le mani che gli vengono tese, accarezzare e baciare i bambini, gli storpi, i ciechi…
Non ha un andatura regale, e neppure elegante: un po’ chino in avanti, dondolando le spalle, a passi lunghi: niente che somigli alla divina andatura di Pio XII o a quella, solo un po’ più umile, di Paolo VI. Anche quello zucchetto bianco sulla testa è un po’ comico sulla sua faccia… fuori posto.
E però tutti lo amano, anzi ne vanno matti: tutti i mercoledì la piazza è gremita e spesso deborda fino all’antistante Piazza Pio XII, Anche la domenica per l’Angelus i pellegrini non scherzano.
Sto scrivendo proprio nel giorno di digiuno e di preghiera, che ha giusto lanciato. Ha avuto risposte e adesioni dal mondo intero.
Ecco proprio quest’uomo dalle scarpe grosse e cervello fino (come i suoi avi liguri-piemontesi) e soprattutto dal cuore immenso è la vera nuova evangelizzazione sulla quale si affannano tanto i vescovi e i teologi nostrani.
Amici, date retta a me: lasciate perdere. Seguite l’esempio di Francesco. Non troverete mai niente di meglio nei vostri manuali.

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