La famiglia? Prodotto d’origine controllata


S’è fatto un gran parlare in questi giorni di grande vittoria di diritto e dei diritti, a proposito della sentenza della Corte Suprema americana sull’uguaglianza di diritti del matrimonio omosessuale con quello tradizionale eterosessuale. “Un grande giorno e una grande vittoria” per il presidente Obama, “un giorno di lutto” per i vescovi cattolici degli Stati Uniti; grande soddisfazione dei laici in Italia (Rodotà e Vendola), meno dure del prevedibile quelle del fronte cattolico, che forse comincia a risentire dei toni più morbidi di Francesco, il papa “venuto dalla fine del mondo”. Gli organi di stampa laica hanno elevato autentici peana di vittoria per la conquista di grande civiltà della Nazione che tutti ormai riconoscono come leader mondiale nella conquista dei diritti civili dell’Homo sapiens sapiens ab-solutus, dove ab-solutus (ital. assoluto) è un mio tentativo per introdurre nel concetto di evoluzione biologica anche una connotazione culturale precisa: sta per “sciolto, libero, emancipato da” ogni limite, costrizione, imposizione di norme, leggi, vincoli, lacci e laccioli ereditati da vecchie legislazioni, credenze, religioni e consuetudini d’altri tempi, di altre civiltà e religioni.
Uomo laico, dunque, nell’accezione moderna del termine: uomo che non accetta limiti alla sua libertà se non dalla legge degli uomini; legge e leggi che però vengono viste e vissute come il continuo sforzo dell’uomo civilizzato di darsi una lex che non rispecchi altra volontà né autorità che vada oltre l’uomo in quanto teso nello sforzo di darsi una legislazione autorevole che dia ordine alla convivenza di grandi masse di individui; convivenza che diventerebbe impossibile senza una qualche disciplina. Disciplina perché il vivere l’uno accanto all’altro non diventi lotta senza esclusione di colpi per la supremazia dei più forti, o peggio ancora del più forte, a danno dei più deboli e dei meno dotati fisicamente, intellettualmente, psicologicamente.
Perché proprio in questo consiste la civiltà: nel passaggio dalla convivenza selvaggia delle caverne o della giungla o della steppa dove ogni uomo era (e qua e là lo è ancora) un nemico per ogni altro uomo: homo homini lupus. Questa antica massima (Plauto nell’Asinaria) è stata variamente ripresa e reinterpretata nel corso della storia da illustri pensatori: Erasmo da Rotterdam, Francisco de Vitoria; Francesco Bacone, John Owen.
La sua variante più interessante è quella di Erasmo di Rotterdam che la rende così: L’uomo per l’uomo o è Dio o è un lupo, lettura ripresa anche da Bacone e da Owen.
L’italiano Antonio Gramsci attribuisce agli ecclesiastici medioevali la lettura più amara: L’uomo è un lupo per l’uomo; la femmina è ancora più lupo (lupior) per la femmina; il sacerdote è il più lupo di tutti (lupissimus) per il sacerdote” (Lettere dal carcere).
Contro questa visione di nero pessimismo, Seneca scrisse invece che «l’uomo è una cosa sacra per l’uomo», finendo nell’esatto contrario, nell’ottimismo assoluto.
A me viene spontaneo schierarmi dalla parte del grande Erasmo: «se l’uomo per l’uomo non è Dio, allora è un lupo». Conosco e mi aspetto la risposta: basta e avanza che l’uomo sia un uomo per l’uomo; questo basterebbe infatti a garantire il rispetto di tutti i diritti dell’uomo, perché l’uomo ha in sé tutto ciò che gli serve per dare un presente e un futuro di giustizia e di pace all’umanità. Non c’è alcun bisogno di un Dio. L’uomo basta a sé stesso.
Con tutta la buona volontà non riesco ad associarmi a questo ottimismo. Ciò che me lo impedisce non è la mia fede in Dio, è la riflessione sulla storia dell’uomo. Cos’è mai infatti la storia dell’uomo se non una lotta per l’esistenza e soprattutto per una esistenza al meglio delle condizioni possibili ognuno per sé? Uscito dalla situazione propriamente animale, l’uomo come altri primati prima di lui, dopo aver scoperto i vantaggi della vita associata, hanno ben presto scoperto la legge della forza, e hanno riconosciuto alla forza il diritto della predominanza: il più forte ha più diritti e ha il diritto di imporre la sua legge. La molla che fa funzionare il meccanismo è la paura. Il più forte comanda, il più debole, se non vuole soccombere deve obbedire. Per conquistarsi un territorio (per la caccia o per la coltivazione) o una femmina da fecondare, ci sarà spesso bisogno di forza perché ci sarà sempre da lottare: a volte bisognerà ferire, a volte bisognerà uccidere, altre volte bisognerà rapire, saccheggiare. Sopravvivere è duro là dove la convivenza non è regolata che da un rapporto di forza. È quello che Dio farà dire dal profeta al popolo d’Israele che gli chiedeva un re. Sappiate che questo è il diritto del re. Egli vi prenderà le terre migliori, le figlie più belle per farne sue mogli, sue concubine, sue ancelle, sue schiave; prenderà i vostri figli più forti per farne suoi soldati, suoi servi, sue maestranze; a lui pagherete la decima dei vostri raccolti e vi pentirete di non aver più voluto che io regni su di voi. Ma il popolo voleva essere retto da un re come tutti gli altri popoli all’intorno. Non passerà molto tempo che se ne dovrà pentire.
A volte pare che il nostro tempo ricalchi quella situazione: vogliamo avere uguali a quelle degli altri, (ma solo fra quelle che ci piacciono). Anche noi, come allora, ci guardiamo intorno, e fra gli infiniti modi di vivere scegliamo quelli che più ci garbano, e vogliamo poterli adottare. E se le nostre leggi non lo consentono, allora cambiamo la legge. Sappiamo bene, infatti, che oggi basta chiedere. Ed essere perseveranti nel chiedere. Prima o poi, vedrete, avverrà. Anche da noi. Tutto. Bene o male che sia. Si isti et istae, cur non ego? Scrisse il grandissimo Sant’Agostino. Se essi ed esse poterono, perché io no? Ma lui voleva dire ben altro: se questi e queste son diventati santi e sante, perché non potrò diventarlo anch’io?
Guardate quante cose sono cambiate soltanto negli ultimi sessant’anni. Moltissime in meglio, senza dubbio. Molti veri diritti sono stati riconosciuti a tutti i cittadini, allo stesso modo (o quasi!…): il diritto all’istruzione, alla salute, alla scelta della professione, al lavoro, al voto, all’azione politica, alla casa, alle vacanze, alla cura del proprio corpo…
Solo che a volte questo diritto alla libertà sembra volersi spingere al di là di ogni lecito: ricordate il diritto di fumare in pubblico, di guidare alla velocità che si voleva, di non mandare i bambini a scuola perché ci servivano in casa? E ancora oggi di quante cose si discute: libertà di movida la notte (e chi vive e deve dormire dietro quelle finestre come starà domattina?); libertà di mostrarmi in pubblico o a scuola vestito o vestita come mi pare? Di fare in quei bagni quello che voglio? Di mostrare, soprattutto in TV, tutto il mostrabile perché tanto gli italiani sono maturi (sicuri sicuri che tutti gli italiani siano maturi? E come le spiegate le innumerevoli violenze alle donne?) O la maturità non è cosi tanto matura?
P.S. Tornando al matrimonio gay: lo si consenta, ma il nome di famiglia non gli compete. La famiglia è nata solo come uomo-donna-figli (se vengono). È un prodotto DOC. Non è così con il parmigiano, con il cognac, con il vetro di Murano? Adulterare non fa mai bene.