Il papa, la fede e… Patti Smith


Patti Smith non è una bella donna. Ma quando canta sa diventare bellissima. Come la sua voce. Nei toni bassi, quando la voce si arrochisce, sa raggiungere intensità e profondità cui è difficile sfuggire, sottrarsi.
Mercoledì scorso era a Roma, in piazza San Pietro, mischiata fra la gente, appoggiata anche lei a una transenna, sperando che Francesco gli passasse davanti. Francesco vescovo di Roma, naturalmente.
Come vi ho già detto, io lo chiamerò così perché a lui non piace farsi chiamare papa, tant’è vero che non lo dice mai di mai di sé stesso, meno ancora pontefice, maissimo sommo pontefice. Una specie di title review (revisione dei titoli), una sana boccata di cristiana semplicità nell’inverosimile spreco di titoli che la vanità ecclesiastica ha saputo inventarsi per appagare tutte le ambizioni e salvaguardare tutte le gelosie dei suoi gerarchi. Sì perché nella Chiesa, ogni titolo deve saperti dire due cose: quanto sei più avanti di chi ti sta dietro e quanto sei indietro da chi ti precede. Se no che gusto c’è? Queste due diverse distanze devono risultare chiare sia a mensa sia in processione. Precedenza e decananza: una vera religione. Parola di un cerimoniere pontificio. Anche su questo punto il vescovo Francesco di Roma è un rivoluzionario. Il suo posto è sempre il primo che trova libero nella sala da pranzo di Casa Santa Marta in Vaticano dove si ostina a vivere e dormire, o nel pulmino per il quale rinuncia volentieri alla sua macchina ufficiale).
Ma torniamo a Patti Smith, pasionaria del rock elettrico o punk, voce intensa, sensuale, ma all’occorrenza forte, decisa dura, aggressiva e perfino sgradevole. Sacerdotessa maudit (maledetta) del rock, la cantante si professa entusiastica ammiratrice di Francesco di Roma, come lo fu di papa Luciani, che una morte inattesa e imprevedibile le aveva troppo presto sottratto: «Ho amato moltissimo papa Luciani come essere umano e sono interessata alle potenzialità di papa Francesco per lo stesso motivo. Luciani e Bergoglio sono leader spirituali molto simili, danno amore e trasmettono amore». Ma «papa Luciani era fragile, mentre papa Francesco ha una notevole forza. Penso che sia un uomo che possa fare delle cose importanti».
A leggere questa parole ti viene l’idea che la pasionaria del rock, lo sia ancor più della fede. «Vedere il papa così da vicino è illuminante, si vede che il suo rapporto con la gente è vero, che ama i bambini e le madri, che ha una parola e un’attenzione per tutti. Mi ha ricordato Gesù, quando disse: lasciate che i bambini vengano a me». Leggi e ti immagini quasi di trovarti davanti a una suora abituata a chiamare Gesù per nome, come un fidanzato, uno sposo.
E invece è un cantante rock, che canta che «la notte appartiene agli amanti, appartiene all’amore» (che è certamente vero, quando l’amore ti scalda o addirittura ti avvampa cuore anima corpo sensi e tutto, e l’amore si fa tuo dolce tiranno; ma che anche ti annienta e ti distrugge quando l’amore abbandona il tuo cuore e la tua solitudine si fa mortale). Patti non nega che «Gesù sia morto per i peccati di qualcuno», però precisa che non è per i suoi (di Patti) che è morto, «perché i suoi peccati sono solo suoi e appartengono solo a lei». La voce di Patti, cantando questo suo testo (Gloria), ha un suono metallico, duro, sgradevole, a volte volontariamente stridente, provocatorio.
Allora ti nasce dentro una domanda: qual è, quale sarà la vera Patti Smith? Quella che si intenerisce per papa Luciani e per il vescovo Francesco di Roma, miti e umili di cuore, o quella sensuale di Because the night? Quella dura, ironica, altezzosa, allusiva di Gloria, o quella che esalta per aver baciato la mano a Francesco di Roma? La risposta rimane aperta e non è affatto mia intenzione tentare di offrirne una.
Perché allora ho dedicato tanto spazio a questa donna che sa essere tutto e il contrario di tutto, gentile e brutale, appassionata e glaciale, timida e aggressiva come solo gli eternamente piccoli sanno essere o chi è nato già grande?
L’ho fatto perché a me la sua figura e la sua storia sembrano un paradigma di come vanno oggi le cose in materia di religione. Si ama dire: la gente ha smarrito la fede e il denaro ha preso il posto di Dio e l’edonismo è l’unico culto cui l’uomo d’oggi si dedica. Quanto ai comandamenti non ne resta che uno: Non avrò altro dio fuori di me. Il mio ego è il mio unico assoluto: il mio Io prima di tutto, alla fine di tutto e al centro di tutto. Il mio Io ha preso il posto di Dio. Senza rimpianti.
Non ha detto già Nietzsche che “Dio è morto”? E Woody Allen ci ha fatto notare che neppure noi stiamo un gran bene. Morale della favola: Dio è il passato. Dobbiamo imparare a cavarcela da soli. E c’è già chi ha cominciato a prenderne le misure.
Ma ecco che anche ora, all’improvviso, al terzo giorno, qualcuno è venuto a dirci: È risorto! Che l’ha visto coi suoi occhi. Che gli ha detto “va’ a dirlo ai miei fratelli”. Avviene sempre così, ma per noi è sempre una cosa nuova. Duri di testa e di cuore! Questa volta è un papa, ma non è sempre così.
Più spesso chi lo riconosce per primo non è neanche uno dei suoi più intimi: magari una maddalena qualsiasi, o due fuggiaschi come quelli di Emmaus, o un persecutore come quello sulla via di Damasco. E noi?
Dovremmo far salti di gioia a sentircelo dire: “è risorto”! Macché! Per il poveretto di turno incomincia subito il terzo grado, neanche fosse un criminale o un esame di laurea: “Era lui? sei sicuro? quant’era alto? che capelli aveva? come camminava? com’era la sua voce? che t’ha detto? che t’ha fatto? Ricominciamo: era lui? sei sicuro?…
Domande a grappolo come bombe: come si chiamava, chi è suo padre, come si chiama sua madre, di chi è figlio, generato o creato, consustanziale al Padre o d’una sostanza diversa, in che rapporto con lo Spirito Santo, anzi chi è lo Spirito Santo, sicuro che il morto era proprio lui, non poteva essere un sosia, dov’è ora e dove potremo vederlo, in cielo dici, che vuol dire in cielo, come te lo spieghi, come me lo spieghi, ecc. ecc.
E può accadere che lui/lei mi risponda che lui/lei non ne sa niente, che lui/lei ama Gesù per quello che ha visto e sentito, per come lo ha conosciuto, e che gliene importa a lui/lei di tutto il resto: io credo a lui, mica a chi pretende spiegarmelo! Io è da lui che mio aspetto una risposta, mica da chi gli spacca in quattro il capello! Perché, dovete tutti sapere che io, uno come Lui, lo seguirei fin sulla croce e a chi gli spacca in quattro il capello gli dico: “lascialo un po’ lì quel capello, che sta bene dove sta! Non vedi che gli fa da corona”?
E a voi vi dico (sì, proprio così: a voi vi dico): la volete capire che noi i vostri discorsi non li capiamo neppure un po’? A noi ci basta quello che ha detto Lui. Lasciate che a parlare sia ancora Lui e non ce lo complicate tanto! GuardateLo com’è bello – davvero il più bello dei figli dell’uomo! – Ma giusto così, come ce L’hanno raccontato i Vangeli! Perché volete renderceLo incomprensibile? Noi per quel Gesù potremmo dare anche la vita e finire con Lui sulla croce. Per il vostro Gesù, mica no: ci pare tanto noioso!