Quando un papa dice qualcosa di nuovo


Mi colpisce sempre, e mi stupisce, lo stupore e il risalto che i media danno alle dichiarazioni di un papa quando dice “qualcosa di sinistra”, cioè qualcosa di nuovo: che poi quasi mai è qualcosa di veramente nuovo, e meno ancora veramente “di sinistra”.
Bene: la settimana dalla quale stiamo uscendo è stata ricca di dichiarazioni importanti da parte di Roma. Quasi ogni giorno c’è stato qualcosa a cui quotidiani e telegiornali han dato singolare risalto nelle loro cronache. Non avviene troppo spesso. Non erano novità assolute ma, dette da un papa, riuscivano perfino a sembrare tali. Ma questa non è una buona cosa.
Lunedì: il papa contro la manìa dei nomi nuovi, bizzarri, esotici, snob, trendy, mondani, alla moda: nomi di campioni, di cantanti, di divi, e perfino di cose, di animali, di stili, di hobbies, e di un sacco di altre amenità ancora. Niente di nuovo: una volta si dava i nomi di Italiano, Benito, Vittorio Emanuele, Lenin. Oggi si preferiscono i nomi dei bizzarri personaggi del jet set. Oggi si ama più il vuoto che il pieno, e forse a ragione: il vuoto se lo devi (tras)portare, è più comodo, pesa meno.
Quello che ha detto il papa i buoni preti lo dicono da decenni, o forse da secoli: il card. Pietro Parente, quando era arcivescovo di Perugia, celebrando la cresima, quando non conosceva o non capiva il nome di un/a candidato/a, risolveva da solo: Mario/a ti segno con il segno della croce… Fui spesso testimone del fatto.
In verità “nomen est omen” dicevano gli antichi, il nome è un augurio, o forse un presagio, o forse un destino. Poveretti chi li porta, ci vien fatto di dire oggi davanti a certi nomi. Fruttero e Lucentini, che non erano papi, già mettevano in guardia davanti alla stranezza di certi, nomi facendo presente agli sventati genitori che condannavano gli innocenti pargoli a portarsi dietro quei ridicoli nomi per tutta la vita.
Mi sentirei di proporre a tutti i parroci e al mio arcivescovo di pretendere che almeno il secondo nome, da rendere in questo caso obbligatorio, sia un nome cristiano, e che durante il rito di battesimo sia usato solo questo nome. Avremo qualche battesimo in meno? Magari!
Martedì: il papa mette in guardia da una legge sull’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole di Stato. Egli vede in questa misura, non senza qualche buona ragione, «un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale e civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla ragione».
Difficile non riconoscere nelle parole del papa un fondamento di verità. Non c’è neppure bisogno di pensare alla Spagna di Zapatero; basta e avanza pensare all’Italia, dove l’offensiva contro la religione viene condotta con molto maggiore scaltrezza e ipocrisia che non in Spagna, ma con effetti non meno preoccupanti. Per esempio impedire a un prete, regolarmente invitato, di dire una preghiera il 4 novembre sulla lapide dei caduti delle due guerre mondiali. Viene voglia di non farsi più vedere. Ma così gliela si darebbe vinta.
Invece, per quanto riguarda il problema dell’educazione sessuale, è difficile non esprimere qualche riserva al discorso di Benedetto XVI: non si può mantenere il bambino nell’acqua sporca, solo per la paura di buttar via, con quella, anche il bambino. In un mondo come il nostro, l’educazione alla vita sessuale dei minori e dei ragazzi in età puberale è una vera emergenza: lo prova l’inesorabile crescita di bambine-madri. A meno che non si nutrano nostalgie per una mitica età dell’oro, per il sogno rousseauniano del buon selvaggio secondo il quale basta lasciare il bambino crescere secondo istinti e natura per dar vita a un mondo migliore.
È vero: sono lontano dall’idea del “sesso libero per tutti”, di sesso come innocente-giochino-per-bambini-che-tanto-non-possono-né-mettere-né-restare-incinte; e che, intanto che giocano a marito e moglie, vanno preparandosi a quando “avranno l’età” per fare sul serio.
No, il sesso va seriamente “insegnato” come si insegna l’igiene e come si insegna la buona educazione, e non c’è un giorno in cui scatta l’ora X per mandarli a questa scuola: per questa è sempre l’ora giusta. L’unica cosa di cui ci si deve preoccupare che sia giusta, è il modo di procedere e di dare questa educazione che deve cominciare subito, da quando il bambino s’attacca per la prima volta al seno della madre. Di questo gesto egli “si ricorderà” certamente più avanti, quando amerà di amore “vero” una donna.
Una terza dichiarazione ha caratterizzato questa settimana: l’ammissione, da parte del pontefice romano, che il purgatorio «non è un luogo fisico dove, dopo la morte, purificare l’anima tra fiamme, fuoco e tormenti». Non è dunque una “bella copia” dell’inferno, che dall’originale differisce solo per il fatto di non essere eterno (che già non sarebbe poco). «È invece uno spazio interiore, senza tempo e senza dimensioni, un momento di ricerca e di intima penitenza da cui partire per poter incontrare la misericordia di Dio».
Il papa si rifà, in questo, a una mistica, Santa Caterina da Genova (1477-1510). Per lei «il purgatorio non è un elemento del paesaggio o un luogo nelle viscere della terra»; è invece «un fuoco interiore» che purifica, in preda al quale l’anima soffre per non aver risposto in modo adeguato all’amore di Dio e l’amore stesso diventa fiamme che purificano. Questo fuoco è lo stesso che conduce il peccatore alla conversione nel momento in cui si rende conto del proprio stato di peccato.
L’anima – dice Caterina – si presenta a Dio ancora legata ai desideri e alla pena che derivano dal peccato, e questa sua condizione le rende impossibile godere della visione beatifica di Dio. L’anima, consapevole dell’immenso amore e della perfetta giustizia di Dio soffre per non aver risposto in modo corretto e perfetto a tale amore, e proprio l’amore di Dio diventa la fiamma d’amore che la purifica delle sue scorie di peccato.
Giancarlo Zizola, che molti ritengono il vaticanista più autorevole del momento, parla a questo proposito di un «atlante della fede» in mutamento. Già il limbo era definitivamente scomparso dall’ottica cattolica. «Questa volta Ratzinger non osa mandare in discarica anche il purgatorio. Lo riformula, lo smaterializza. Pochi quanto lui sono in grado di percepire la delicatezza di questa operazione». Lo stesso commentatore parla di «formule grandi e vere che tuttavia non trovano posto nella nostra forma mentis». Come dire: non sono più per noi.
Personalmente non posso che rallegrarmi di questo vedere arrivare finalmente anche un papa a rendersi conto che tutto questo va ripensato. Ma non posso fare a meno di dolermi nel prendere atto del ritardo con il quale Roma, ancora una volta, arriva con tanto ritardo a ciò che apparve chiaro a un’umile suora genovese già sei secoli fa: e non aveva certo la scienza teologica di Benedetto XVI.
E già prima di Caterina da Genova l’avevano intuito «hussiti, albigesi e valdesi nel medioevo e dopo di lei i protestanti» (Zizola) e più tardi ancora il cattolico Hans Urs von Balthasar. Perché sempre tanto tardi? E poi magari li chiamano anche innovatori.

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