Ha rovesciato i potenti dai troni…


Fu tra la fine del settembre e i primi giorni d’ottobre dello scorso anno che cominciai a pregare ogni giorno perché si avverasse anche a tempo nostro la profezia che la Madre di Gesù pronunciò quando, già incinta di lui, si sentì salutare dall’anziana parente Elisabetta con parole che la dicevano “benedetta fra tutte le donne”. Fu allora che Maria proruppe nel cantico che contiene in sé le parole che mi saranno guida in queste riflessioni: “La mia anima rende lode a Dio, mio salvatore… che ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”. Così pensai di “mettere alla prova” le promesse di Dio.
Il momento era giusto: si assisteva all’esplosione di quella che si sarebbe chiamata “la primavera araba”. Mai il mondo arabo aveva dato simili segni di inquietudine e ansia di libertà. Chi prima chi dopo, s’erano mossi l’Algeria, il Bahrein, la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, e perfino l’Egitto di Mubarak, la Libia di Gheddafi, la Siria di Bashar al-Assad e l’Iran di Ahmadinejad e altri Paesi ancora: dai segni di disagio s’era presto passato a veri e propri atti di protesta e perfino di ribellione.
Fu allora che incominciai a pregare e a far pregare ogni giorno, durante la Messa, affinché il Signore desse compimento alle parole di Maria, concedendoci di poter vedere presto i primi frutti di quella primavera finalmente divenuta estate. E nel breve volgere di un anno Ben Alì prima, poi Mubarak, poi Gheddafi sono stati travolti. In Siria invece il sanguinario tiranno resiste ancora.
Ma non mi bastava pregare per il Medio Oriente. La mia preghiera mirava anche all’ormai intollerabile la situazione italiana, dove gli scandali privati del suo premier si sovrapponevano a quelli pubblici di tanti alti funzionari nei diversi settori dell’amministrazione sia statale sia locale. Intanto la situazione economica e finanziaria della Nazione e della stessa Europa sembrava una barchetta ormai preda delle rapide di un fiume che si affretta verso il precipizio dell’immane cascata.
Anche qui ci furono le risposte sperate: elezioni regionali, referendum, il miracolo di Re Giorgio (ok, mi piace), il dimissionato Berlusconi, e finalmente il governo Monti. Intanto il trono dello Czar Putin ha cominciato a scricchiolare.
Che dire? Francamente non lo so. Sono meravigliato anch’io. Certo non penso che tutto ciò dipenda dalla mia povera preghiera e da quella delle sette o otto anziane donne che mi aiutano tuttora a pregare: amo pensare che le nostre preghiere sono parte di una più grande supplica che chiedeva le stesse cose. Sta di fatto che un giorno un amico mi ha detto: “La preghiera funziona”. Certo che funziona. Almeno per chi ci crede. Resta che quel 12 novembre è caduto nel pieno di una delle più calde estati di San Martino che la meteorologia ricordi.
Da quel 12 novembre quasi un mese è passato, e molto di quell’entusiasmo sembra però essersi raffreddato.
Molto da allora è cambiato: l’Italia sembra aver ritrovato il suo posto in Europa; il mondo intero non ride più di noi e delle gaffes planetarie del nostro premier; la sobrietà di eloquio e di gesti sembra essere diventata il distintivo del nuovo governo; nei talk show non si grida più, o molto meno. Abbiamo un premier che non sbraccia, non chiede l’ovazione a un’assemblea di donne adoranti come davanti a una visione della Madonna; le barzellette da avanspettacolo hanno ceduto il posto a uno humour assai più british, raffinato, colto; in televisione l’alterco scomposto e sguaiato ha ceduto il posto a un ragionare più pacato. Che la preghiera abbia funzionato anche qui?
E però… Già, c’è un però. Ed è un però grande quasi come una casa: o almeno come una di quelle casette sulle quali si vorrebbe imporre una tassa dal nome nuovo ma dal sapore antico (Imu invece di Ici); è un sapore che sa tanto di non equità, dunque, di mancata giustizia.
Ho evitato di proposito il termine iniquità: “iniquo” si addice a un’ingiustizia programmata, consapevole. “Non equo” dice invece calcolo o mira sbagliati. Una freccia che mira al cuore è quasi sempre iniqua; una freccia che colpisce un occhio invece della mela sulla testa del figlio di Guglielmo Tell è uno sbaglio.
Sono assolutamente convinto che nessun cinismo abbia guidato il prof. Monti a reintrodurre l’antica, odiata (in molti casi a torto) tassa, che improvvidamente Berlusconi volle togliere con un “coup de theatre” che certamente gli procurò parecchie centinaia di migliaia di voti, ma che oggi anche molti pidiellini doc riconoscono che fu un errore.
Il premier Monti ha dovuto reintrodurla: mi piacerebbe facesse come per le pensioni: stabilire un tetto sotto il quale non si paga Imu, e oltre il quale le quote da pagare cambiano con sicuri parametri di quote-lusso. Ci sono prime case, vecchie e scomode, che già il mantenerle e adeguarle ai nuovi standard di igiene e di sicurezza è una tassa pesante. Poi ci sono prime case che sono autentiche ville. Un legislatore equanime dovrebbe sapere come intervenire nei diversi casi.
Poi ci sono le vere ville, quelle che costano da qualche milione di euro a quelle che di milioni ne costano tanti. E magari qualcuno di ville che costano tanti milioni di euro ne ha anche più d’una. Su quelle una piccola patrimoniale poteva mica aiutare?
E poi ci sono gli immobili della Chiesa. I radicali, e non solo, hanno sollevato una canea: la Chiesa deve pagare. Arrivano tardi: l’hanno già detto i cardinali Bagnasco e Bertone, lo hanno confermato Nosiglia e Scola di Torino pastori di MITO. Si può fare, hanno detto. Lo si faccia e basta.
E infine la nota forse la più dolente per chi da subito ha creduto e sperato nel nuovo premier. Egli aveva detto che avrebbe colpito là dove c’era da colpire, là dove nessuno aveva mai colpito o dove si annidano gli intoccabili. Io ci avevo creduto e voglio sperarci ancora.
Poche cose ci saremmo aspettate e ci sarebbero bastate: per esempio una vera lotta all’evasione, non le creditcard per le mie vecchiette: nessuna di loro arriva a 1000 euro (spesso nemmeno a 500): non le saprebbero neppure usare. Anzi, mi fanno pena: saranno private anche della consolazione di vedere e di toccare “tutti quei soldi” che aspettano con ansia da mese a mese. Ora non li vedranno più. E sarà dura per loro.
Ci saremmo anche aspettati una “vera” tassa sulle grandi ricchezze. Vede, Professore: 50.000 euro per un ricco sono incomparabilmente meno di 10 euro in più o in meno per chi prende solo 6-700 euro di pensione al mese (quando ci sono). Perché non ha pensato a una vera e generalizzata tassa sul lusso: non ci sono solo i panfili e le Ferrari. Ci sono anche le borse di “cocco”, i gioielli, gli orologi da 40.000 euro. Che ne direbbe di un Iva sul 30-35-40%? Troppo caro? Non si preoccupi ne saranno felici: tutto sarà più esclusivo.
Lasci al suo predecessore il compito di arringare gli shoppisti di Via Montenapoleone; Lei vada ai mercatini rionali a vedere con quanta cura i poveri scelgono i capi che costano di meno.
Forse Lei vorrebbe rispondermi: volevo farlo; me l’hanno impedito.
Avrebbe dovuto provarci. E noi tutti avremmo saputo di chi era la colpa. A noi, che abbiamo creduto in Lei, non piace pensare che in fondo anche Lei, alla fin fine, può essere d’accordo con loro.
P.S. Quando avevo già spedito il pezzo, e questo era già stato verosimilmente impaginato, ho saputo dai TG della sera che i parlamentari italiani erano in fermento per la decisione del governo di procedere a un adeguamento dei vitalizi e degli stipendi dei parlamentari ai livelli medi dei parlamentari europei. Non ho voluto creare intralci al lavoro della redazione e dei tipografi e così ho lasciato perdere. Ma la cosa mi ha fatto veramente piacere. Oggi, 12 ottobre, si dice anche che si sta anche trattando per vedere se si può continuare a pagare in contanti la pensione fino ai pensionati più anziani e dalle pensioni al minimo o giù di lì. Me lo auguro davvero: un conto in banca o alle poste, per molti di loro significherebbe non veder più e non toccare più un euro. Si sentirebbero derubati. Almeno verso i più deboli, lo Stato avrebbe tutto da guadagnare a essere comprensivo e magnanimo. Me lo auguro sinceramente.