Fra la tristezza e l’orrore – ancora sul povero cristiano


Settimana ricca di eventi per “il povero cristiano” di cui ci stiamo occupando in queste ultime settimane. Comincerò dalle notizie più leggere.
Non l’ho vista, naturalmente, e nemmeno so se l’andrò a vedere. Parlo della statua di Giovanni Paolo II alla stazione Termini, che a me, a vedere le foto, ricorda irresistibilmente il goffo ridicolissimo cardinalone dalla vocina stridula e sgraziata di “Aggiungi un posto a tavola”, la fortunatissima commedia musicale di Garinei e Giovannini, resa indimenticabile dalla superba interpretazione di Johnny Dorelli.
Di tutti i personaggi della commedia, quello del cardinalone, grosso e ….torsone (diciamola pulita) era il meno felice, e francamente i pur bravissimi autori del testo potevano anche risparmiarcelo. La loro contestazione al celibato dei preti ci avrebbe solo guadagnato. O volevano mettere alla berlina l’ottusità delle supreme gerarchie? Una più elegante ironia sarebbe stata assai più graffiante.
A ogni modo è un fatto che la ‘grande’ statua del ‘grande’ papa abbia dato origine a un’altrettanto ‘grande’ polemica; da una parte i pochi che, pur frastornati anche loro, non arrivano a negarle ogni merito, e i moltissimi che si dicono indignati e quasi offesi dal trattamento riservato a uno dei più grandi papi della storia recente della Chiesa. Peccato che Roma non abbia saputo trovar niente di meglio da dedicargli d’una statua tanto contrastata. Questa contrapposizione dei giudizi mi spinge a classificare quella statua fra gli eventi dimenticabili dimenticabilissimi (sempre che la tolgano, naturalmente) di quest’ultima settimana che pure, di eventi da ricordare non è stata avara.
Anzi essa si era aperta addirittura con un evento clamoroso che in molti aspettavano, ma nel quale quasi nessuno credeva. Mi riferisco al forte ridimensionamento del PdL e della Lega soprattutto a Milano, ma un po’ in tutta Italia. Lo si legga come si vuole, l’evento non è stato certo banale. Intanto però, come negli antichi tornei equestri, il Cavaliere disarcionato ha già alzato la celata mostrando a tutti il suo vero volto di guerriero mai domo e, raccolta la lancia e impugnato lo spadone, è andato a occupare il centro del campo di scontro dove aspettare a piè fermo il nemico. Perché non di avversario, ormai, ma di vero nemico si tratta. Ne va della sua vita politica e del suo posto nella storia. Il Paese è sospeso. Si accettano scommesse.
In questa altalena di bene e male, ancora una tristezza: «Benedetto XVI chiude l’abbazia dei vip. Troppi intrighi e mondanità» (oggi, sabato 21 maggio, su La Stampa di Torino). Ecco come il quotidiano torinese ne dà notizia: la competente Congregazione per gli istituti di vita consacrata… sopprime l’Abbazia di Santa Croce e dispone che i monaci ivi residenti si trasferiscano nei monasteri di San Bernardo in Italia.
I motivi? Qualche abuso liturgico, poca disciplina, e, soprattutto, troppa mondanità. «Malgrado fossero lì da mezzo millennio, oramai la vita di clausura richiesta ai cistercensi mal si attagliava alla fiorente attività mondano-concertistica» e a un sacco di altre cose: il via vai continuo, lusso, presenze molto discusse: fra tutte la Ciccone, alias Madonna.
Tutta la mia approvazione, Santo Padre! Tanto ciarpame non si addice al tesoro più prezioso conservato nella basilica che per vocazione ricorda i luoghi gerosolimitani della passione: il più grande frammento della croce ritrovata da sant’Elena, la Madre dell’imperatore Costantino, sul Golgota. Su quel sacro legno, i lussi di quei vip sono come un secchio d’immondizia sull’altare.
Meno lieta è la riflessione a cui ci costringe l’ultimo libro di Franco Cardini, uno di più autorevoli medievisti italiani: “Cristiani, perseguitati e persecutori” il titolo, dove il grande storico ricorda come fra il IV e il VI secolo, dopo l’avvento dei cristiani ai vertici dell’Impero o di ciò che di esso rimaneva, questi si industriarono a rendere pan per focaccia agli ultimi pagani,
Qualcuno forse ricorderà il film “Ipazia” e ciò che di esso scrivevo circa un anno fa. Scrive Cardini: «il Vangelo non solo non è stato attuato nel cristianesimo, ma questo non si esaurisce affatto in quello». Qui c’è tutto quello che ci serve per farci una ragione del crescente rifiuto che la civiltà occidentale oppone al messaggio cristiano: perché dovremmo essere o diventare o vivere da cristiani se i cristiani li troviamo in tutto uguali a chi non crede? Con gli stessi vizi, le stesse smodate ambizioni, lo stesso cinismo: essi sono presenti la dove si consumano le peggiori e più esecrabili scelleratezze del pianeta. Al Dio di Gesù di Nazaret hanno sostituito Mammona; alla Vergine Maria il culto di Eros, il divino furfantello che ha riempito di sé il pianeta.
E neppure ci vogliono sentir dire, che i peccati dei cristiani sono i peccati dei “singoli cristiani”, battezzati sì, ma che poi hanno o espressamente o tacitamente ripudiato la Chiesa, mentre la Chiesa è un’altra cosa. Ma su questo hanno ragione loro.
Eppoi un’altra cosa come? Come don Riccardo Seppia, il ripugnante prete di Genova? Dicono che nessuno sapeva, e forse era vero, anzi speriamo proprio che sia vero “davvero”, ma…come potè un prete bestemmiatore passare inosservato? E anche se fosse vero che nessuno sapeva – va bene, cercherò di crederlo – ciò non toglie che don Seppia esista, che magari sia anche monsignore (se no perché quella mantellina rossa con la quale appare vicino al suo arcivescovo?).
Non ne faccio colpa alla Chiesa, anche se non la sollevo da tutte le sue responsabilità. No, perché nessuno dovrebbe essere prete a 27-30 anni. Che non vuol dire che non si possa essere santi a 27-30 anni, ma che ben difficilmente un ragazzo di quell’età può offrirti una ragionevole sicurezza di vita integerrima per sempre.
Neppure si potrà dire, facendo il confronto con la società civile, che a 25-30 anni ci sono parlamentari e docenti universitari degnissimi, che a 30-40 anni ci sono capi di grandi aziende e ministri di Stato, che a 40-50 anni ci sono capi di governo e presidenti della Repubblica: perché dunque no ai preti giovani? Sarà mica più difficile dirigere una parrocchia che uno Stato o un governo?
La mia risposta è: non è la stessa cosa. Un ministro incapace lo cambi, un capo di governo lo abbatti negandogli la fiducia, un capo di Stato dopo un certo numero di anni decade. Uno di loro che si macchia di un reato o commette qualcosa di turpe, normalmente si dimette (meno che in Italia) o lo si fa dimettere (meno che in Italia) e se non si dimette lo si processa. Nella loro rovina non trascinano nessuno. Il partito se ne dissocia, e cerca un sostituto. Per loro vale il principio: chi sbaglia paga, perché la responsabilità è sempre personale. E soprattutto nessuno di loro è tenuto a fare quel lavoro a vita. Se si stufano o se ne sono indegni, lasciano e cambiano. Il prete no.
Non così per la Chiesa che dovunque vada pretende d’essere presa per parola di Dio, sua immagine e volto nella storia, sua autentica interprete. Da lei non si ammettono debolezze, distrazioni, cadute di stile.
Ecco perché non le conviene mandare allo sbaraglio degli adolescenti. E se ben mi ricordo, gli antichi Romani dicevano che l’adolescenza dura fino ai 40-45 anni. San Paolo la doveva pensare anche lui così. Che ci guadagniamo a ignorare la sua lezione?