Si stava meglio quando si stava peggio?


«L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha impostato lo slancio in avanti di tutta l’umanità» (dal film Wall Street, di Oliver Stone, 1987).
Oggi le sale delle borse di tutto il mondo pullulano di personaggi simili: gnomi nevrotici, isterici, che passano dall’esaltazione più scomposta alla disperazione più tetra nel giro di un solo minuto, secondo quello che appare sui monitor, macchine infernali da cui dipende la vita di quei dannati. E, ahimè, della nostra.
Oggi però la situazione è ancora più grave, perché nel frattempo il contagio si è diffuso e incattivito di molto, e al confronto dei nuovi signori della finanza «Gordon Gekko era un puro e semplice dilettante allo sbaraglio».
Perché, se prima la borsa rispondeva almeno a certe regole fondamentali, oggi l’unica regola che vale per tutti è una sola: aumentare i profitti. In tutti i modi, con tutti i mezzi, chi paga paga, chi fallisce fallisce: purché io ci guadagni. Non è questa la regola di ogni speculatore? O a quale altra regola, se non a questa, obbedisce la speculazione internazionale?
Avidità come unica forma vitae, come unica dimensione dell’essere (qualcuno si ricorda il saggio di Erich Fromm, Essere o avere? Quanti secoli sono passati? Eppure era solo il 1976!). Da allora l’avidità ha guadagnato terreno in tutte le direzioni, rubando spazio a tutti gli altri valori, corrompendo e inquinando tutti i settori della vita sociale e conquistando anche spazi finora negatigli. Vien voglia di citare un altro celebre titolo: Qualcuno volò sul nido del cuculo! E i metodi del cuculo sono ben noti.
Se poi lo vuoi conoscere meglio questo finanziere d’assalto, ecco come lui stesso si descrive: «Io non creo niente; io posseggo. Noi facciamo le regole, le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo… È il libero mercato, e tu ne fai parte». Questo però era vero nel lontano 1987.
E oggi? Oh, oggi abbiamo fatto grandi progressi: «Oggi, dopo quanto è accaduto, l’avidità non la si grida più, non la si ostenta, la si pratica, giornalmente. Nessun limite, nessuna regola, nessun ostacolo, questa è stata la legge che ha esaltato la finanza e l’economia in questi ultimi anni, questo è il pensiero unico, dominante» (Icebergfinanza). Quanto a Michael Douglas oggi dice: «Ho orrore dei quarantenni; non hanno scrupoli né senso morale».
Non posso fare a meno di costatare che, per quanto possa sembrare strano, l’uomo era meno avido proprio quando era più povero, quando più forti e più essenziali erano i bisogni e le necessità della vita. L’uomo che nasceva povero e cresceva considerando la povertà come la sua necessaria forma di vita, a quella forma cercava di abituarsi e adattarsi; certo, anche lui cercava di migliorare la sua condizione lavorando di più, ingegnandosi, arrotondando i suoi proventi con qualche mestiere acquisito: le donne filavano, cucivano, lavavano, ricamavano; gli uomini lavoravano il ferro, il legno, il mattone. Qualcosa di più ottenevano con lo studio i preti. Degli altri studiava solo chi se lo poteva permettere. Salvo rari casi, chi nasceva povero, moriva anche povero.
Era quella una condanna all’infelicità? Se io ponessi questa domanda ai giovani, la risposta sarebbe una sola: «Era la suprema ingiustizia! L’uomo deve crescere, puntare sempre più in alto, guadagnare sempre posizioni. In questo rientra anche il guadagnare di più: avere di più per essere di più».
Più sfumata sarà la risposta delle persone che hanno conosciuto e vissuto il miracolo economico postbellico, e dunque le persone che, prima del benessere, hanno conosciuto l’indigenza, forse la povertà, forse la miseria e forse anche la fame: quelle che allevavano i polli solo per venderli e loro li mangiavano solo a natale o a pasqua, o solo quando in casa c’era un malato, perché poi i soldi servivano per pagare il dottore e il farmacista.
Spesso li sento dire, questi “sopravvissuti” ormai sempre più rari, che «si stava meglio quando si stava peggio». Che non vuol dire che sarebbero disposte a ritornare indietro: questo no, certamente; ma che rimpiangono un tempo in cui bastava ballare un valzer sull’aia quando si “scartocciava” il granturco per sentirsi felici. Oggi se non spendi decine di euro per una sera, come fai a divertirti?
In un mondo così, dove tutto ha un prezzo, dove non puoi far visita a un amico se non hai qualcosa in mano e non puoi accettare un invito a pranzo senza portare un “pensiero” che costi almeno quanto costa il pranzo che ti viene offerto, come fai a vivere senza soldi? Meglio ancora: senza tanti soldi?
È proprio da qui che nasce l’avidità, anzi la cupidigia.
Non sono proprio la stessa cosa: cupidigia (dal latino cupio desiderare fortemente, da cui anche il termine concupiscenza, incoativo intensivo di concúpere, desiderare intensamente) aggiunge il concetto di ansia, bramosia di possedere l’oggetto del desiderio). Una bramosia che ti rende infelice se non la puoi appagare.
Povero vecchio Gesù di Nazaret, che brutta fine ha fatto la tua predicazione! Ma d’altra parte un po’ te la sei cercata… e te la cerchi tutt’ora! Tu vieni ancora a parlarci d’un pane del cielo, a noi!, che non mangiamo più neppure quello della terra se non è almeno ai semi di sesamo o di girasole, o condito con yogurt, burro o oliva: va a dare un occhiata ai secchioni dei rifiuti e vedi quanto pane noi buttiamo ogni giorno.
Tu continui a prometterci un paradiso nell’altra vita, quando, di paradisi, ce ne sono tanti e tanto belli quaggiù, accessibili solo ad alcuni e negati a tutti gli altri: negati a noi, gente qualunque, gente che non contiamo niente, che non abbiamo il pass per entrarvi perché noi siamo i nip (not important person).
Certo tu potresti dirci: «Non date la colpa a me; io li ho fatti come tutti gli altri; come gli altri son nati, come gli altri son fatti, e come gli altri moriranno. Le differenze sono roba vostra. I VIP li avete creati voi. Io come quando ero laggiù, con voi, continuo a preferire i nip. Ma come in tante altre cose, mi avete lasciato solo anche in questo».