Lo scandalo della risurrezione


I due testi (che seguono) ci informano che i contrasti sulla resurrezione di Cristo non sono nati con noi. E neppure con l’evo moderno (rinascimento), né con l’età dei lumi, né con quella del positivismo scientifico, né con quella della cibernetica, dell’era spaziale o di internet. Fin dall’inizio ci fu chi la negava: sia fra gli ebrei, sia nella culla della filosofia (antica Grecia), sia perfino fra gli apostoli e i discepoli di Gesù.

Lc 24,13-35
Ed ecco, in quello stesso giorno, due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?».
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro. Essi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

At 17,29-34
Essendo dunque noi della stirpe
di Dio, non dobbiamo pensare che la
divinità sia simile a oro o ad argento o
a pietra che porti l’impronta dell’arte e
dell’immaginazione dell’uomo.
Ma ora Dio fa sapere agli uomini che
tutti, si convertano, poiché egli ha stabilito
un giorno nel quale giudicherà il mondo
per mezzo di un uomo che egli ha designato,
accreditandolo di fronte a tutti, col risuscitarlo da morte.
Quando sentirono parlare di risurrezione
dei morti, alcuni lo canzonarono, altri
dicevano: «Su questo argomento ti
sentiremo un’altra volta».
Così Paolo se ne uscì di mezzo a loro.
Ma alcuni uomini aderirono a lui
e abbracciarono la fede. Tra essi c’era
anche Dionigi l’areopagita, una donna
di nome Damaris e altri con loro.

Che dunque oggi non manchino quelli che si rifiutano di credere, o che confessano di avere dubbi sulla risurrezione di Gesù, non può certo sorprendere.
Né è mia intenzione impegnarmi qui in una disputa senza speranza.
Sì, proprio senza speranza. In nessun modo, infatti, potrei sperare di riuscire a convincere qualcuno, per via di dimostrazione dialettica o storica, che Cristo è veramente risorto. Se la risurrezione di Cristo fosse dimostrabile, accettarla non sarebbe più fede, ma puro raziocinio.
Si potrebbe certo dire qualcosa che aiuti qualcuno a dissipare qualche dubbio, ma una fede fondata soltanto sul raziocino sarà sempre precaria. Già Pascal lo aveva fatto notare. La fede non si fonda sui ragionamenti, ma sull’esperienza di luce e d’esultanza che invade la nostra anima (qualunque cosa questo termine significhi per ognuno di noi) quando incontra il mistero e questo le si svela, concedendosi al cuore in ricerca d’una verità nascosta.
Giovanni e Pietro videro e credettero (Gv 20, 7); i discepoli di Emmaus lo riconobbero e credettero (Lc 24,30,32); ugualmente Tommaso (Gv 20,28), e Maria di Magdala (20, 16-17); lo stesso fu per gli altri apostoli la sera stessa di pasqua (Gv 20, 19-25).
Prima di vederlo, nessuno di loro aveva voluto, o saputo, o potuto credere: né Maria di Magdala (Gv 20,13); né gli apostoli (Gv 20, 19-23); né i due di Emmaus (Lc 24, 21-24), né Tommaso (Gv 20,25). Così quel primo giorno dopo il sabato fu quasi stablita una regola: si crede solo ciò che si vede.

«E allora noi?» immagino si chiederà qualcuno. Nessuno di noi ha mai visto, se non qualche rarissimo mistico, la cui testimonianza non è mai un assoluto per nessuno. Come potremo credere, noi che non abbiamo veduto?
Qui il discorso si fa molto più delicato e difficile, perché qualcosa dovranno pur vedere anche loro per poter credere: anche se non come Paolo sulla via di Damasco, o come i due discepoli sulla via di Emmaus e gli Undici nel cenacolo.
Vederlo come, allora, noi suoi contemporanei neon siamo?
Un solo modo c’è dato, e non certo più debole e povero del vederlo in carne e ossa. Ce l’ha detto lui stesso «la carne non giova a nulla” (Gv 6,63). Così egli ha provveduto a lasciarci un suo altro-sé-stesso un suo prolungamento mistico, sacramentale, signico (sotto le spoglie di un segno). Questo segno, questo suo corpo sacramentale è la Chiesa.
Immagino le proteste: «La Chiesa?».
Ebbene sì, proprio: la Chiesa!
Quale Chiesa? Quella dei preti pedofili e dei vescovi omertosi?
Proprio questa, sì; questa che ci sta davanti, che ci troviamo continuamente tra i piedi: dal papa all’ultimo parroco, dalla madre abbadessa all’ultima suora portinaia. La Chiesa dei mariti fedifraghi e delle mogli disinvolte, degli squali della finanza e dei carcotrafficanti, delle prostitute e dei papponi; ma anche delle suore di carità e degli apostoli delle favelas, degli angeli del fango e delle macerie e dei medici senza frontiere: tutti ugualmente, santi o peccatori che siamo, aquile o pidocchi, eroi o burattini allo stesso modo, tutti noi siamo Chiesa, e la Chiesa è tutti noi.
NOI SIAMO LA CHIESA!!!
Così, se tu ami l’uomo devi amare anche la Chiesa e se ami la Chiesa devi amare anche l’uomo.
Anche i preti pedofili? Certo anche loro, come l’ultimo padre che violenta la sua figlioletta, come l’ultima madre che stuzzica il “cosino” del suo bimbetto.
Perché la Chiesa è tutto questo: è il Francesco d’Assisi giovane gaudente e fraticello straccione; è Margherita di Cortona donna di peccato prima e penitente poi; è Agostino d’Ippona giovane scapestrato e ambizioso prima, più tardi vescovo e dottore e santo fra i più grandi della storia; è Charles De Foucault, giovane e galante ufficiale che pianta tutto per andare a seppellirsi nel deserto dove verrà ucciso dopo una vita di muta testimonianza a Cristo. E si potrebbe continuare all’infinito.
Proprio per questo il Verbo s’era fatto carne, per aiutare la carne a trasfigurarsi nello spirito. Ma se ci vogliono milioni di anni per trasformare una scimmia in un uomo, quanti più ce ne vorranno per trasformare il bruto in un angelo?