La triste sorte di tutte le cassandre


Il fatto risale a un anno fa, ma la notizia e di questi ultimi giorni. Un ragazzo, allora di 15 anni, ha ucciso, in una moderna e squallida versione di cavalleria strapopolare, un compagno di 13 anni, suo rivale in amore. L’oggetto della discordia una ragazzina, anche lei di 13 anni.
È di ieri invece la notizia d’un immigrato che in strada ha massacrato a pugni una povera donna, anche lei immigrata, una filippina, che ha avuto l’unico torto di trovarsi a passare di lì, proprio mentre l’energumeno usciva di casa con un fiero proposito, ben preciso: ammazzare la prima donna che avesse incontrato, per vendicare, su di lei, donna, l’addio che la sua ragazza gli aveva detto, definitivamente, poco prima. Il “selvaggio”, con l’hobby del pugilato, carico di una rabbia e di odio, si è avventato sulla sventurata fracassandole faccia e corpo con una gragnuola di colpi in cui scaricava tutto il suo furore contro la donna che l’aveva lasciato. Tale la furia dell’uomo che, colpendo la donna, è riuscito anche a fratturarsi un paio di dita delle mani.
Ampiamente comprensibili e giustificati i commenti severi e la quasi incredula meraviglia dei commentatori alla straordinaria gravità dei due episodi. Sai tutti i com’è possibile, dove siamo arrivati, dove andremo a finire, dove è finita quella bella felice stagione che una volta si chiamava fanciullezza, adolescenza, poi giovinezza, quando cominciavi ad accorgerti che, accanto a te, c’era anche “l’altro”, anche “l’altra”, ed era una scoperta meravigliosa, e cominciavano i primi sospiri, i primi sorrisi, le prime occhiate insistite e un po’ vergognose, i primi avanti e indietro davanti a un portone o sotto una finestra. Una stagione di cui la felicissima memoria può durare per l’intera vita.
Certo, poi poteva accadere che di quelle prime emozioni, ben poco restasse in piedi per il futuro, la vita poteva prendere altre sensazioni, ma di quei giorni, di quei mesi, a volte di quegli anni poteva restarti una nostalgia che non ti avrebbe abbandonato mai più.
E oggi, dove è finito quel tempo? Come poté accadere che la volgarità abbia potuto far tanta strada da trasformare in riccio di castagna anche il più gentile bocciolo di rosa?
La risposta potrebbe essere desolante: e se fossero la fanciullezza e la gioventù profanate che si prendono la loro atroce rivincita?
Non mancheranno certo coloro che cercheranno risposte ben più dotte a domande ben più complesse. Io per parte mia, col mio poco sapere, ma con la mia molta passione per l’uomo e per il suo futuro, cercherò né di volare troppo alto, né di scavare troppo in profondità, ma di camminare sulle strade e sui sentieri che percorrono gli uomini miei fratelli, tenendo sempre presente che i colti, gli iniziati hanno anche pascoli dove pascolare e altri pozzi a cui bere: io mi limiterò a scrivere per coloro che cercano nelle mie parole un’indicazione che mostri loro un sentiero da seguire e un ovile dove cercare riposo.
Davanti a certi commenti ai tristi episodi cui abbiamo fatto riferimento, la mia reazione è assai più di irritazione che di consenso. Certi lamenti sono soltanto sterili esercizi di retorica, per sentirci a posto, per sentirci migliori.
La realtà è più semplice. La realtà è sotto gli occhi di tutti: tutte le società opulente hanno già fatto da tempo le loro scelte e tutto quello che sta accadendo sotto i nostri occhi sono soltanto le logiche conseguenze delle nostre scelte a livello di famiglia, di società, di civiltà e di valori. Poiché i due casi di cui mi sto occupando qui, sono ambedue attinenti alla sfera sessuale e sentimentale dell’uomo, mi atterrò qui alle sole scelte che hanno per oggetto questa materia.
È un fatto: le società del ricco Occidente hanno fatto, a questo proposito, delle scelte ben precise e forse definitive. Avendo operato per esempio, la scelta della totale libertà di espressione, rappresentazione, locuzione ecc.; essendo questa libertà senza vincoli né limiti né freni, perché adesso dovremmo meravigliarci se tanti nostri giovani sono coerenti con tutto ciò che da queste scelte deriva? I loro comportamenti sono assolutamente coerenti con quello che abbiamo loro insegnato.
Se non ci possono essere limiti alla rappresentazione dell’errore, dell’orrore, dell’osceno, del male, e di tutto ciò che a tutto questo appartiene o assomiglia – e ciò perché, a loro dire, tutto ciò che viene pensato merita d’essere rappresentato e detto (solo che se ne sia capaci) –, perché dovrebbero esserci limiti e freni al fare? Perché io non potrei fare ciò che voi potete farmi vedere?
Per di più, il male è sempre stato al centro delle rappresentazioni: si pensi solo alle grandi lezioni della tragedia greca e della grande letteratura mondiale, e si vedrà che esse traboccano di sangue, di tradimenti, di incesti, di crudeltà, di perfidia. Perché allora meravigliarci se anche oggi la produzione letteraria, teatrale, filmica, televisiva batte le stesse vie?
Il fatto è che tra l’oggi e il passato una è la grande differenza: l’antica produzione puntava alla “catarsi”, alla resurrezione, alla riparazione, alla riabilitazione, al riscatto del colpevole mediante il pentimento interiore o la pena. Un intento che traspariva netto e chiaro da tutto il contesto. Il lettore, lo spettatore, doveva capire bene da che parte stava la giustizia e quali erano i sentieri da seguire.
Oggi tutto questo parrebbe un gioco da educande; forse anche per questo di educande oggi non ce ne sono più.
Oggi si ragiona più o meno così: siamo adulti abbastanza per decidere da soli ciò che possiamo o non possiamo vedere. Un discorso assolutamente tendenzioso e, potenzialmente perfino criminale. Mi spiegherò con pochi esempi.
A me piace fumare: perché mi si proibisce di fumare? Io so che fa male, ma non me ne importa. Te lo proibiamo per gli altri. Ma nei parchi? È cattivo esempio. Ma tu mi togli la mia libertà. È per il bene comune.
A me piace correre in macchina, in moto. Perché togliermi questo piacere? Perché è pericoloso, per te e per gli altri. Capisco per gli altri ma di me che t’importa? La tua vita è un valore per tutti. Ma mi togli libertà. Non importa.
A me piace la droga? Non puoi ti fa male e ti rende un peso e un problema per l’intera società. Ma tu mi togli la mia libertà. Ecc.
Giusto diciamo tutti. Ma perché i vizi morali, etici non sono un pericolo per la società. Basta leggere le cronache di questi giorni. Sulla salute è intervenuto l’incubo del salutismo. In morale, domina il permissivismo.
Sul sesso l’Occidente ha scelto il permissivismo. Libertà senza limiti, o quasi.
C’è una cosa di cui sono convinto: qui la libertà c’entra poco. Qui è solo questione dell’«auri sacra fames». Il mondo ha capito da tempo che il sesso tira molto più dell’arte (a meno che l’arte non usi anche il sesso), molto più di un mare di altre cose, di altre merci. Ormai di sesso si vive (anche economicamente) e di sesso si muore (anche fisicamente).
Ma tu che scrivi queste cose, sai bene d’essere solo un povera cassandra sulle cui labbra e sulla cui penna ha sputato il divo Apollo. E allora ì datti una calmata, tanto non sarai tu a salvare il mondo.

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