Se la tentazione ha nome Francesco


Domenica scorsa il discorso era rimasto a metà, ed è buona cosa finirlo. In questa nuova e feconda stagione del francescanesimo, in questa rinnovata primavera francescana, una domanda e un problema mi tornano continuamente presenti: chi è oggi Francesco per i milioni di uomini che annualmente passano per le vie e per le chiese d’Assisi? Cosa cercano in lui gli uomini che tanto dicono d’amarlo?
Stendo queste note con l’occhio e il cuore occupati da un’altra figura ‘impossibile’: quella d’un altro Francesco, molto ante litteram, e vissuto molti secoli prima, di cui proprio oggi si celebra la festa: Giovanni, l’austero predicatore che attirava anche lui le folle che a lui accorrevano e che a lui chiedevano di volerli purificare dei loro peccati. E lui li ‘battezzava’: chiedeva loro di immergersi nelle acque allora limpide del Giordano, il fiume sacro degli ebrei, con il proposito di cambiar vita, di accontentarsi di quello che avevano, senza far male a nessuno. Una predicazione innocente, come si vede, che non poteva certo apparire sediziosa, ma che pure riuscì a disturbare qualcuno: una donna in particolare, e questo bastò a procurargli il taglio della testa.
Chi era Giovanni? Il figlio di un sacerdote, uomo mite lui stesso come il padre, un uomo dedito al culto. Strano anche lui quanto basta: Giovanni mangiava ciò che gli offriva il deserto, locuste (cavallette) e miele selvatico, con la cera e tutto, probabilmente. Rustico, anzi selvatico l’aspetto (come i nazirei non si tagliava i capelli e non si radeva). La sua parola era tagliente e si abbatteva contro i vizi dei potenti: non ti è lecito, faceva sapere al tetrarca Erode Antipa, tenerti la moglie di tuo fratello. Il re in cuor suo l’ammirava, ma anche lo temeva: un uomo di Dio, chissà, meglio non nuocergli. Ma poi la cosa degenerò. Venuta l’occasione propizia, la donna pretese la testa del Profeta. La testa ruzzolò sul terreno, e su un vassoio d’argento fu consegnata all’adultera ormai paga. Il corpo del martire fu raccolto dai discepoli e sepolto in un luogo sicuro. Anche a Francesco, a parte la testa, capitò la stessa cosa.
Come Francesco, soldato mancato, anche Giovanni sapeva che la forza è una forma di potere; e anche a quei tempi, come sempre del resto e anche oggi, le armi danno potere a chi le maneggia e di quel potere si sono sempre servite per insegnar la modestia alle fanciulle e alleggerir le fatiche del raccolto ai villani, ci ricordava il Manzoni. Come Giovanni, anche Francesco prende la parte delle vittime e si fa simile a loro per insegnare la mitezza e la pace ai detentori della forza e del potere.
I contemporanei di Gesù ne avevano subito il fascino e davanti a quell’uomo vestito degli aspri peli di cammello si chiedevano se non fosse lui il Cristo. E lui apertamente li dissuadeva e li esortava a cercare altrove: colui che voi cercate, colui che voi aspettate sta per venire, ma non sono io; io anzi sono venuto per lui, per preparare a lui la strada, ma non sono degno neppure di sciogliergli i legacci dei sandali. I suoi ascoltatori, che venivano da Gerusalemme e da tutta la Giudea, continuavano a chiedersi chi era mai quello stano personaggio vestito di peli.
Vedo più di un punto in comune tra la sua vita e quella di Francesco, tra la sua parola e quella del Poverello d’Assisi, tra la sua missione e i suoi esiti e quelli del frate delle stimmate. Su una sola di queste affinità mi soffermerò qui, e immagino che a molti la mia tesi apparirà audace, forse scarsamente motivata. Ma non si tratta di una tesi: io non voglio dimostrare nulla, mi limito a indicare alla riflessione comune un qualche spunto che pone a me dei problemi.
Questa riflessione parte dal singolare interesse degli umani per tutto ciò che appare fuori del comune e della tradizione, e la tendenza a vedere in esso una funzione, o anche solo una vocazione salvifica. Questo interesse per il nuovo è innanzitutto indice di una sfiducia nel tradizionale: se il vecchio non ha portato la salvezza sperata non ci resta che cercarla nel nuovo che appare. Tale novità non è necessario che sia assolutamente nuova; può bastare che appaia nuovo l’approccio e foriera di nuove speranze la rivisitazione del vecchio. Molti erano i profeti riconosciuti in Israele, ma di fronte a ogni nuova figura carismatica – a Giovanni come a Gesù – il popolo tornava a chiedersi: sarà lui quello che deve venire, quello che aspettiamo? Che poi davanti a lui gli individui si dividano è perfettamente comprensibile, anzi normale. Così fu per Giovanni, così, ancora, per Gesù.
Ed ecco allora la mia domanda? Non sarà che in questo interesse per Francesco da parte di un pubblico assai più vasto di quello compreso entro i confini della Chiesa cattolica, non sia da vedere una crescente sfiducia verso la parte più istituzionale della religione (e di conseguenza della Chiesa) e della stessa dottrina cristiana? La povertà di Francesco contro l’ostentazione di potenza e di autorità dell’istituzione, la povertà della sua parola contro la rivendicata superiorità della dottrina ufficiale, l’umiltà della sua predicazione contro la colluvie di documenti che la Chiesa ufficiale sta proponendo dal Concilio a questa parte, quasi a smentire quell’amore del linguaggio semplice, diretto, ‘povero’ di sapienza umana e ricco di sapore divino (si noti: ‘sapienza’ e ‘sapore’ hanno la stessa radice) che il Concilio aveva raccomandato come segno del rinnovamento e dell’aggiornamento che Giovanni XXIII aveva dato al Concilio come scopi primari.
E allora mi si affaccia un pensiero che mi disturba non poco: non sarà che attorno e dentro a questo crescente interesse e amore per Francesco, stia maturando, contestualmente, un crescente disinteresse e un sempre più accentuato distacco dalla Chiesa-istituzione, avvertita come qualcosa di vecchio e in fin dei conti irredimibile? Un francescanesimo come una forma di cristianesimo postcristiano e magari post-teistico? Sia chiaro, e prego di cuore i cari amici frati del Sacro Convento e delle tre grandi famiglie francescane di volermi credere, che con queste parole non intendo minimamente avanzare il sospetto di una qualche loro responsabilità nel processo. Avanzo questa ipotesi in via esclusivamente antropologica: ogni religione morendo produce il proprio successore. La lezione di Francesco può tornarci utilissima in questi tempi difficili. Francesco ha conquistato e sta conquistando il mondo anche dei non-cristiani parlando di pace, di amore, di bellezza e di perdono. Non sarà che la Chiesa stia perdendo il suo popolo a forza di non-expedit e di non-possumus? Anche perché poi succede spesso che i < non > cadano, ma cadendo succede anche che molte foglie cadano con loro dall’albero della Chiesa. E io non vorrei per nulla al mondo che la quercia avesse a ritrovarsi affatto spoglia di fronde.

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