Più guardo l’uomo più spero che esista Dio


Non chiedetemi se sono ‘sicuro’ che Dio esista. Più ancora: non chiedetemi se io ‘so’ che Dio esiste. Non chiedetemelo, perché non lo so, perché non ne sono sicuro. Come ogni creatura, anch’io, povera fra le più povere, non posso ‘sapere’ se Dio esiste. O per lo meno dovrei prima mettermi d’accordo col mio interlocutore sul valore e sul senso di quel ‘sicuro’ e di quel ‘sapere’. Perché, detto così, non potrei certo rispondere con un sì sicuro.
Dovrei prima fare dei distinguo, precisare alcune cose importanti, essenziali: dovrei prima dire che credere non vuol dire sapere, e che essere certi non esclude la possibilità dell’errore. Al mio ragionamento e alla mia risposta affermativa io non potrò mai dare il riscontro della prova inconfutabile. Potrò parlare di indizi, mai di prove. E dovrò ricordarmi che ciò che convince me, lascia scettico o del tutto indifferente un altro. Solo la scienza può offrire prove inconfutabili, e solo là dove la prova sarà data col suffragio della sperimentazione, in modo tale che solo quella spiegazione e nessun’altra potrà essere considerata ‘vera’, cioè sufficiente e necessaria allo stesso tempo; se si esce da quest’ambito di prova sperimentale provata, nessun altra certezza potrà essere mai considerata assoluta.
Sulla mia fede in Dio io posso essere certo solo che io credo e confido e spero in lui, Ma più in là di così non posso andare. Se qualcuno me lo chiede io rispondo sicuro: sì, io credo; e se quello insistesse: dunque tu sei convinto che Dio esiste? risponderei: sì, io sono convinto. Ma se quello, non contento, incalzasse: dunque tu potresti dimostrarmi che Dio esiste? Io, volendo essere onesto, dovrei rispondere: no, non posso. Io credo che Dio esista, ma la mia è una certezza soggettiva, morale, che non potrà mai pretendere d’essere oggettiva e assoluta. Proprio per questo dico ‘io credo’; diversamente direi ‘io so’! E quello che vale per il mio sì, allo stesso modo e nella stessa misura vale per il no dell’ateo. Quando l’ateo dice che la scienza dimostra che Dio non esiste, mente sapendo di mentire. Parola di un ateo militante come Richard Dawkins. Con le riflessioni che seguono, vorrei dire qualcosa di più sulla ‘mia’ fede in Dio.
Proprio oggi (sabato 27 ottobre 2007) i giornali pubblicano alcune foto delle sevizie sui monaci buddisti della Birmania. Sono foto agghiaccianti e notizie agghiaccianti: «A2036/08, scritto a mano sulla fronte, proprio vicino a una vistosa ferita, il lato sinistro del corpo ridotto a una poltiglia. La seconda (foto) è ancora più cruda. Mostra un primo piano della nuca: letteralmente fatta a pezzi» (Corriere della Sera).
Sono state diffuse col titolo «le foto orribili della vergogna, perché il mondo sappia che c’è bisogno di molto di più che una semplice condanna di questi bastardi della giunta» (ivi). Prima di scorrere questo articolo (alle due di notte), avevo visto l’ultima parte del film di Terrence Malick ‘La sottile linea rossa’ 1999) in cui una voce narrante leggeva pensieri o versi che posso citare solo a memoria: «da dove viene tutto questo male che ci travolge; a chi, o a che serve questo male? Davvero l’erba dei prati cresce meglio se viene concimata col male?».
Guardavo quelle terribili scene di violenza estrema e gratuita: la ferocia del soldato che, risultato vincitore in quello scontro terminato con il massacro d’un intero villaggio, s’era seduto vicino a un ferito morente, a sbocconcellare ostentatamente qualcosa davanti a lui, e intanto rivolgeva ironiche e crudeli domande a quel disgraziato che lo fissava con straziante implorazione negli occhi, magari solo la grazia di finirlo. Guardavo, e intanto sentivo crescermi dentro un senso di rifiuto e quasi di rancore. Contro chi? Contro nessuno in particolare, semplicemente contro l’Uomo, contro l’unico animale veramente feroce che vive sul pianeta Terra, l’unico che uccide non per bisogno (di mangiare o di difendersi), ma per il solo gusto d’uccidere; l’unico a cui non basta uccidere, ma gode nel veder soffrire, se no che gusto c’è. L’unico che impegna intelligenza e tempo a escogitare nuove forme di tortura sempre più atroci, perché uccidere, eliminare non basta, bisogna potersi divertire col dolore e la paura del nemico: divertimento che solo il dolore, il terrore dipinto negli occhi, meglio ancora le urla straziate della vittima ti regala, insieme a quel senso d’onnipotenza che t’inebria e ti fa sentire un dio! Un dio capisci, tu che appena dieci minuti prima strisciavi sulla terra come un verme, tremando di paura sotto le raffiche dei mitragliatori, delle bombe, dei lanciafiamme. Un dio!
Ecco, davanti a quegli uomini selvaggi e feroci, mi pareva d’odiare tutto il genere umano e di vergognarmi d’essere anch’io uomo come loro. Un senso di nausea e di disgusto mi ha invaso. In preda allo schifo ho esclamato: Dio mio, se questo è l’Uomo! Allora spontanea è nata la preghiera: Signore io ‘spero’ con tutto il cuore che tu ci sia, io ‘voglio’ che tu ci sia, io ‘ho bisogno’ che tu ci sia! Perché se questo è l’uomo, e se l’uomo è tutto qui, meglio per me sarebbe stato non essere mai nato. Quanto a quelli che dicono che è urgente che l’uomo seppellisca il pensiero di Dio, vorrei dire solo: quel corpo ridotto una poltiglia era il corpo di un monaco, dunque d’un religioso; chi lo ha ridotto in poltiglia era uno degli uomini che hanno sepolto il vero Dio da un pezzo. Chi ha voluto la seconda guerra mondiale non credeva in Dio, Stalin non credeva in Dio, Pol Pot non credeva in Dio, e Mao Tze Dong non credeva in Dio. Erano tutti uomini! E io dovrei credere in loro? Conosco un solo uomo che mi ha detto ama il tuo nemico: Gesù chiamato il Cristo. Solo in Lui, e a Lui, io credo.

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