Mons. Ravasi: l’uomo giusto al posto giusto. Ma…


Difficile immaginare una scelta migliore di quella di Mons. Gianfranco Ravasi al ruolo di ‘Ministro della cultura’ in una Curia romana targata Benedetto XVI, tutta costruita a sua immagine e somiglianza. Il grande e fine teologo non poteva scegliere, per un posto così rilevante e prestigioso, che un uomo della sua stessa statura, ma al tempo stesso un uomo che fosse il più lontano possibile dal clichè del grande teologo sul quale si era costruito lui stesso.
Intanto non un teologo come lui, ma un esegeta, un esperto di cose bibliche, la cui vicinanza potrà tornare utile anche al papa-teologo. Non aveva fatto così, e proprio con lui, Giovanni Paolo II?
Un’altra differenza importante. Ravasi non è solo un grande specialista della Sacra Scrittura. Egli sa arricchire il suo pensiero e il suo dire con tutte le risorse della sua enciclopedica cultura, con citazioni da tutti gli ambiti dello scibile umanistico: dalla letteratura all’arte, alla filologia, alla storia, alla geografia, alla poesia, alla musica, all’architettura, all’archeologia; lettore inesausto e dalla memoria prodigiosa, egli attinge con disinvoltura a tutto ciò che legge e che gli resta lì, nella memoria, pronto a riemergere, solo che lui ne abbia bisogno.
La sua lingua è elegante, forbita, mai approssimativa, mai trasandata, talvolta addirittura preziosa; la parola gli nasce disinvolta, naturale, ‘facile’, sia dalla bocca sia dalla penna, senza mai un ritardo, come se le parole fossero per lui tutte presenti, sempre pronte. Quando tiene una conferenza, una lezione, un discorso, poche parole annotate su un foglietto di pochi centimetri quadrati gli bastano per parlare un’ora: un’ora piena di citazioni, di riferimenti precisi a Salmi e a testi biblici (tutti con il loro numero e versetto), ai Padri, agli autori più diversi. Se le trascrivi alla lettera, non hanno bisogno di ritocchi.
Libri scritti? 150 (ho letto); i suoi articoli? Migliaia. Le sue letture? innumerevoli come i libri della sua personale biblioteca, 15-16.000 volumi, (notizia desunta da Maurizio Crippa, dal Foglio di oggi, 6 ottobre); ogni settimana una recensione di un libro sul Sole 24 ore, supplemento della Domenica. Mai polemici, mai provocatori (questo aggettivo che oggi piace tanto) i suoi articoli. Preziosi, spesso deliziosi, quei brevi, anzi ormai brevissimi ‘respiri di meditazione’ del ‘Mattutino’, la rubrica quotidiana che da anni immette un soffio di spiritualità nel limitatissimo spazio di testata del quotidiano Avvenire.
Il suo aspetto fisico, i suoi tratti, il suo contegno corrispondono in pieno alle doti del suo intelletto e della sua parola: sempre preciso, mai ricercato; dignitoso, anzi di più: distinto. Un volto e una parola che sanno ‘forare lo schermo’ e volare sull’etere; e sì che non si nega a nessuno e, appena può, cerca di accontentare tutti, dalle più prestigiose collaborazioni alle più umili. Personalmente lo ricordo una volta a Verona, che sedevamo accanto in una tavola rotonda. Molte delle cose che ho scritto sopra le costatai di persona in quell’occasione.
Quest’uomo che parla (così ho letto) ben 14 lingue, siede ora su una delle poltrone più prestigiose della Curia romana, e tra poco sarà cardinale. A quel posto l’ha voluto personalmente Benedetto XVI. Certamente non sarà una presidenza banale, come niente in lui è banale. «Cosa può succedere ora?» si domanda nell’articolo citato Maurizio Crippa. L’autore tende a prevedere un importante salto di qualità per quello che, grazie alla presenza di Ravasi, «potrebbe trasformarsi nel potente Ministero della Cultura della Santa Sede». Niente di più probabile. L’uomo ha indubbiamente tutte le qualità del grande «organizzatore culturale che ha retto per anni, tirandola a lucido, la Biblioteca Ambrosiana di Milano» (ivi).
Un uomo dunque e un intellettuale senza limiti né difetti? Quelli più spesso segnalati sono il suo estetismo a volte esasperato fino all’autocompiacimento per la citazione colta e rara e una certa freddezza nell’eloquio. La passione, il calore non fanno parte delle sue prerogative oratorie.
Tuttavia un moscone mi ronza per la testa, disturbandomi. Questa carta ha molte probabilità di avere successo, se risulterà vincente la ricetta di papa Ratzinger: il primato della cultura nel dialogo interreligioso. Trovo questa ricetta assai promettente, ma anche molto rischiosa. E mi domando se sia coerente con tutta la storia dell’ex Prefetto dell’ex Sant’Uffizio. È tuttavia possibile che queste mie parole nascano da un’opzione volontaristica e forse anche un po’ anti-intelletualistica. E se il problema non riguardasse tanto la cultura, quanto, piuttosto, la volontà, cioè una scelta di visione e/o di stile di vita? Perché è evidente che questa scelta è quasi sempre pre-intellettuale e nasce piuttosto dal fatto che noi apprezziamo molto più ciò che ci piace e ciò che amiamo, che non ciò che sappiamo. Non è quello che già ci dicevano S. Paolo e il Ludovico Ariosto dell’ «io vedo il meglio ed al peggior m’appiglio»?
Lo svuotamento delle chiese da parte dell’uomo occidentale (ricco, sazio, gaudente ecc.) secondo me non dipendono dai dubbi o dalle opzioni di natura intellettuale; assai più lo faccio risalire a opzioni esistenziali imposti dai nuovi modelli oggi imperanti: il culto del denaro, anzi della ricchezza (l’evangelico ‘mammona’) simbolo di successo, di piacere, e soprattutto di potere. È questa ormai la vera religione dell’Occidente, dove tutto si può comprare con l’oro (dollaro, euro); davanti a questo idolo spietato non c’è vita che non si possa sacrificare, non c’è valore che non si possa calpestare, non c’è infamia che non si possa commettere. Questo macroscopico fenomeno mi induce a pensare che il principale problema della Chiesa oggi non sia quello culturale. Che in questi ultimi anni la cultura agnostica o ateistica stia portando un pesante affondo contro la religione in generale e contro il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare, è del tutto evidente. Contro questo assalto senza esclusione di colpi, forse, mi dico, assai più che le formule dei dotti, serve la testimonianza della carità (vedi Madre Teresa). Ma di questo, la prossima volta.

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