L’improbabile allenza tra Cristo e il fisco


Nella pigra atmosfera vacanziera di questa lunga estate calda, non sono molti gli stimoli alla riflessione e alla discussione. Così ti può anche succedere di accontentarti di qualche assai poco meditata parola di Prodi e di una sciocchezza di Gianni Baget Bozzo per imbastirci su una riflessione che possa sperare di non risultare banale.
Il Presidente del Consiglio si è lamentato del fatto che i preti dall’altare non raccomandino ai fedeli di pagare le tasse. Tra questi preti ci sono anch’io. Un motivo credo di averlo: tra i miei fedeli qualcuno che guadagni più di centomila euro all’anno è difficile trovarlo. Perciò io non faccio testo.
Altri preti potrebbero invece parlarne: gente che guadagna più di centomila euro all’anno ce ne dev’essere molta in Italia. Lo sanno tutti, o per lo meno lo pensano in tanti; anche Prodi l’ha detto. Poi però l’esecutivo non fa nulla per rendere praticabili certi percorsi alla Guardia di Finanza. Gli italiani per esempio, sanno percorrere la via induttiva. Il fisco no. Non vuole o non può? La domanda non è oziosa.
Il fatto è che lo potrebbe solo se il governo gliene offrisse gli strumenti. Molti seri Paesi, specie del Nord Europa lo fanno. In Italia no. Forse perché sui banchi di governo siedono molti che guadagnano più di centomila euro all’anno? Forse non d’imponibile, ma se si mettono insieme esenzioni, diarie, vitalizi, rimborsi e benefit vari, oh allora si va molto al di sopra. Sembra che sia in arrivo anche un piccolo aumento, 800 euro e rotti, va a saper perché; forse per compensare qualche piccolo taglio su un calo di stipendio che si avrebbe in animo di introdurre.
È possibile che io mi sia espresso rozzamente, con il linguaggio approssimativo del più approssimativo uomo di strada, ma non credo d’essere andato lontano dalla sostanza. E anche se i destinatari di questo discorso (i politici) non mi leggeranno, mi piacerebbe dir loro che così la pensano quegli italiani ‘brava gente’ dei quali essi sembrano non darsi pensiero: sicuri che tanto, alla fine, torneranno a votarli; anche se nel frattempo ci avranno fatto mantenere alla greppia 101 (se non sbaglio) bocche, tutte collegate a stomaci da struzzo capaci di digerire anche le pietre (meglio se di qualche valore). Con poche lodevoli eccezioni. Dev’essere duro rinunciare ai privilegi della ‘casta’.
La politica si dice, ha i suoi costi. Nessuno lo contesta. Ma la politica non può essere dichiarata ‘zona franca’, sottratta a ogni obbligo d’equità e di decenza. E troppe prerogative dei politici e dintorni (vera costellazione dai contorni in continua espansione, proprio come quelle dei suoi modelli celesti) se ne considerano esenti. Ci dicono: abbiamo cominciato a disboscare la giungla. Come sempre si comincia dal sottobosco. Che volete?, a tagliare i cespugli si fa presto: bastano forbici robuste o un macete affilato. Per tagliare i tronchi secolari, invece, bisogna prime aprire le strade ai mezzi pesanti. Cioè bisogna eliminare il sottobosco. E i conti tornano, perché quando si giungerà ai grandi tronchi, la conclusione sarà ancora la stessa: chi verrà dopo, farà.
Ma come mai oggi si mette a parlare di politica, si chiederà qualche lettore. Domanda legittima alla quale rispondo che io ho scelto questa strada per parlare di morale. Sì, di morale; dal momento che il Capo del governo mi ci ha portato e Baget Bozzo gli ha fatto da spalla. Prodi chiede ai preti di parlare del dovere di pagare le tasse. Sembra sfuggirgli che il discorso è falsato all’origine: purtroppo in molti casi i redditi importanti, quelli capaci di cambiare il volto del Paese, i redditi degli imprenditori italiani hanno già preso altre strade, finiti in un paradiso fiscale dal quale niente ci torna. Quegli uomini hanno guadagnato con il lavoro dei loro dipendenti, ma quel guadagno va ad arricchire altre banche in altri Paesi. Da quei guadagni imboscati, il Paese non riceverà alcun beneficio, e i dipendenti non ne avranno alcun ritorno in servizi. Dal mio lavoro d’operaio o d’impiegato l’imprenditore ha tratto un guadagno che poi ha trasferito all’estero, per mangiarselo in pace su una mensa separata. Il mio lavoro, assai più che il suo denaro, ha reso possibile quell’utile e ora egli ne godrà in esclusiva i benefici. Quanto a me non godrò neppure dei servizi che le tasse pagate su quei redditi avrebbero permesso di realizzare. Perché senza quelle somme, le opere non saranno realizzate. Oppure quelle somme sono andate a finire nei mille rivoli del sottogoverno: centrale, regionale, provinciale ecc. ecc. ecc…
Dunque fa bene chi cerca di evadere le tasse? Dunque ha ragione Baget Bozzo, quando dice che non pagare le tasse non solo non è peccato, ma anzi, diventa un gesto di legittima difesa contro uno Stato che è diventato, in mano a questo governo, «un regime di Guardia di finanza»?
No, non ha ragione; e non può averla perché dimentica che il problema morale non nasce dalla casalinga e dal pensionato che chiede all’idraulico di non fargli pagare l’Iva, ma per chi evade il fisco in maniera massiccia, macroscopica; dove entrano in gioco capitali che incidono sulle sorti d’un Paese civile. Gente che Baget Bozzo, conosce bene perché nella sua lunga carriera li ha frequentati tutti: dal card.Siri alla Democrazia cristiana degli anni Sessanta-Settanta, da Craxi a Berlusconi.
E mi fa quasi tenerezza Prodi quando cerca una sponda alla sua politica fiscale nella predica domenicale dei parroci: quegli evasori cui lui si riferisce, non vanno in chiesa, o, se ci vanno, hanno il cuore e il cervello sintonizzati su altre lunghezze d’onda, e se dovesse accader loro di sentire parole di riprovazione, non ne sarebbero più colpiti di quanto non accadrebbe a me se uno mi dicesse in cinese di non percorrere quella strada perché c’è una voragine. L’unica reazione possibile sarebbe d’indifferenza, o al massimo, d’insofferenza. Di questi uomini si dice che alcuni siano molto generosi in beneficenza. Preferirei che fossero molto più equi nei salari e molto più scrupolosi con il fisco.

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