Il Natale ai tempi del relativismo laico


Tempi duri per il natale:
un Natale più povero
potrà favorire
un Natale più religioso?

Su tutti i fronti. Mancano i soldi (ai più). Manca l’allegria. Manca la fiducia nel domani. Manca il lavoro ai giovani e ai senzalavoro ultracinquantenni. Aumenta l’inflazione, crescono i prezzi (anche dei generi di prima necessità). Il cenone di natale sarà più caro e meno abbondante del solito e anche Babbo Natale sarà più povero. Qualcuno già si domanda: che c’è da festeggiare?
Anche al piccolo Gesù andrà peggio del solito: sentirà certamente più freddo di allora, perché di questi tempi sarà dura trovare un bue e un asinello disposti a scaldarlo col loro fiato. Sono animali in via di estinzione. Un chihuahua e un gatto siamese scaldano molto meno.
Anche i preti si aspettano un natale più magro di presenze e di soddisfazioni. Se è vero che le chiese a natale torneranno quasi a riempirsi, sarà difficile rivedere quei pienoni di solo trent’anni fa, quelle file di molti metri ai confessionali, quelle lunghissime processioni alla comunione. Non si badi a San Pietro a Roma: non fa testo.
Gesù Bambino e tutto ciò che concerne la sua apparizione nel mondo non gode più degli antichi slanci popolari: i pastori non ascoltano più le voci angeliche che annunciano «una grande gioia che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10) e quando a mezzanotte gli umani sentiranno suonare le campane a festa (jingle bell) penseranno più alla grande abbuffata che li aspetta che non alla messa che sta per cominciare. Così va il mondo, bellezza! Non puoi farci niente. Il passato è passato. Per sempre.
È la visione ‘laica’ del mondo, di un mondo dove non c’è più posto per Dio. L’uomo ha imparato a ‘bastarsi’; a pensare e a dire: mi basto da solo, mi basta quello che sono e quello che ho. Non ho bisogno d’altro, né tanto meno d’un Altro. Ho la mia intelligenza, la mia forza, il mio cuore, il mio sesso, la mia fantasia, la mia libertà: ho tutto ciò che mi occorre per essere felice. Questo Gesù è solo un ingombro: così piccino e già con tante pretese. Non gli consentirò di giudicarmi né di condizionare tutta la mia vita.

Il Natale cristiano è da buttare?
O è il natale pagano
della società dei consumi
che lo minaccia?

Questa è la sentenza emessa da gran parte del pensiero contemporaneo. Si noti bene: non sono le festività natalizie che devono finire, ché anzi mai come in questo nostro tempo il natale ha conquistato il favore e il gradimento del mondo sotto tutte (o quasi) le latitudini del pianeta.
Abolire le festività natalizie? Per carità, giù le mani dal natale! Dal Giappone alla Russia, dalla Terra del Fuoco alla Lapponia, dal deserto dei Tartari al Mato Grosso il natale è ormai patrimonio intoccabile dell’umanità. Dovunque il natale è la festa del nuovo sole, della pace, della famiglia, del business, dei bambini. Chi mai vorrà privare i bambini del natale, di babbo natale, dei regali, dell’attesa della vigilia e della sorpresa del risveglio la mattina del 25 dicembre? E chi vorrà privare gli adulti del cenone, del veglione, della bisca in casa, della pelliccia da esibire con le scarpe nuove, degli stracci da decine o da centinaia di euro che fanno sempre tanto ‘trend’ per i giovani!
E poi vuoi mettere la settimana sulla neve, la crociera ai Carabi? E senza andar tanto lontano, Cortina è ancora Cortina, Il Sestriere è sempre il Sestriere, Saint Moritz poi!… Tutti in fila verso le destinazioni sciistiche. Non dimentichiamo: ci sono decine, centinaia, migliaia di aziende, di imprese piccole e grandi che aspettano solo il natale per sperare di rimettere a posto un bilancio traballante o addirittura passivo: le vuoi mettere tutte sul lastrico? Il natale è ormai parte essenziale della civiltà del benessere. La religione? Che c’entra la religione? Il natale ormai è un fatto di civiltà, non di fede; di economia, non di spiritualità; di cultura, non di sacrestia.
Perciò, niente equivoci per favore: non è il natale dei consumi che va seppellito, ma l’altro, il natale cristiano, il natale del vecchio mondo che sta per cedere passo e posto al Nuovo Mondo: il mondo dell’Homo technologicus, moderno, evoluto, razionale, critico, libero, in una sola parola: laico. Del resto non accadde così circa 1700 anni fa, quando al natalis solis invicti dei pagani, la festa del solstizio d’inverno e della rivincita del sole (e del giorno) sulla notte, il cristianesimo, nuova cultura trionfante, sostituì il Natale di Gesù Cristo, vero Sole vincitore sulle tenebre dell’errore e del peccato del mondo? Bene: come accadde allora, così avviene oggi: la nuova cultura trionfante, la cultura secolare e laica, impone la sua festa sull’antica, sostituendo i vecchi valori con i nuovi. Nessuno dovrà gridare all’usurpazione: i momenti ‘critici’ dell’anno astronomico sono sempre gli stessi, e sarà inevitabile che su quelli si concentri l’interesse dei ‘cercatori di simboli’. È una tesi classica dell’antropologia culturale: i simboli non si creano, si trovano; ed è su quei simboli che si affaticano gli umani di tutti i tempi e di tutte le religioni e culture. È la ragione per cui i simboli archetipici (C.G.Jung) sono gli stessi in tutte le culture e le religioni.

E poi ci sono i nuovi inquilini
Dietro il paravento
degli immigrati
una strategia laicistica

Poi ci sono i nuovi vicini di casa, i nuovi inquilini della vecchia Italia che non la pensano mica come noi: non credono mica in Gesù Cristo e nelle belle favole del Vangelo, la grotta di Betlemme, gli angeli, i pastori, Erode, la strage degli innocenti, e su tutti il parto d’una vergine, Maria. Hanno altre fedi, credono in altri dei, o forse anche nello stesso Dio, ma chiamato con nome diverso, Allah per esempio, o Buddha forse, anche se Buddha non è il nome d’un Dio, ma di un uomo e il buddismo non è propriamente una religione, ma una dottrina etica e filosofica che col tempo ha assunto forme parareligiose. Che diritto abbiamo di imporre a loro le nostre tradizioni, i nostri simboli, le nostre leggende. In un paese laico e multiculturale, tollerante e ospitale verso tutti, meglio mettere il silenziatore a tutto ciò che non unisce e forse anzi divide.

Ma il vecchio Natale piace ancora

A me per esempio. A me che ho in uggia il nuovo natale, quello dei consumi e delle mangiate, delle baldorie e delle ferie; a me che amo ancora veder la gente che a mezzanotte esce per andare alla Messa (adoro la scena dello Schiaccianoci di Tchaikovsky); a me che ancora mi faccio un obbligo di esporre in casa mia i pochi presepi che ho raccolto qua e là per il mondo, ai quali chiedo sempre la stessa cosa: parlatemi dell’Amore che lo ha spinto a venire quaggiù a parlarmi d’amore: a dirmi, a ricordarmi che saremo giudicati sull’amore, perché è solo l’amore la forza che può salvare il mondo.
Vederlo ancora lì, nella sua grotta «al freddo e al gelo» continua a piacermi e a commuovermi, intanto che mi fa nascere in cuore un rifiuto sincero per i lussi sfrenati di quelle dimore per edificare le quali tante generazioni di poveri hanno dovuto vivere di stenti e morire di fame, di fatica e di percosse; dimore che ora passano come esempi di somma civiltà. Bene, quelle forme di civiltà io le rifiuto e senza promuovere rivoluzioni io le contesto e con le mie poche forze le combatto. Finché in Africa ci sarà un bambino nero che muore di fame, di malaria o di aids, a nessuno sarà lecito dotare la propria casa di rubinetterie d’oro. Questo m’insegna quel fantolino avvolto in fasce. A lui solo do la mia fede.

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