Ve l’avevo promesso………..


Ve l’avevo promesso, per ieri sera ma mi ero dimenticato che la pasqua è per i preti quello che la battitura era una volta per i contadini.
Solo che non ci sono più né i contadini, né i preti né… il grano.
E allora ve la mando oggi, solo un po’ aggiornata. L’argomento del resto è troppo ghiotto per poterci rinunciare così così.E allora meglio tardi che mai. una volta ogni tanto ci azzeccavano anche i vecchi. Anzi… quasi quasi…
Dunque, s’ha da sapere che ci fu un periodo, facciamo i miei primi quindici’anni, che a Casalina bastava ch’io facessi un fischio che tutta la parrocchia si mobilitava. Fu così che dopo solo due mesi dal mio arrivo, la gelida chiesa di Casalina, ebbe il riscaldamento. E poi via via: la Chiesa completamente ritinteggiata , tutti i legni ripuliti dalle vernici a smalto che li coprivano: portoni, balaustre, cantorie. Infine si dette mano all’altare, non senza qualche contrasto anche forte. Ma alla fine il nuovo altare fu benedetto: era il giorno dell’ascensione. La mattina fu festa grande in chiesa; e la sera fu festa grande in piazza. Da lì nacque una tradizione che durò diversi anni, per l’ascensione e pasqua, quando in chiesa era finito tutto.
Ci si ritrovava tutti insieme davanti alla chiesetta di sant’Antonio. L’idea era quella di fare un giro per le case, chiedendo casa per casa un boccone da mangiare tanto per avere una scusa per chiedere qualcosa per berci su.
Fummo subito in tanti e tutti d’accordo: soprattutto c’erano tutti gli allora molti mattacchioni del paese: ricorderò soltanto i morti, scusandomi con le eventuali dimenticanze, ma sto parlando di trent’anni fà e la memoria qualche cilecca la può fare, soprattutto la mia. La partenza era sempre lì, davanti a Sant’Antonio, e Giannino e la Rina portavano loro il primo boccione di vino. Poi Mazzieri e l’Adelma, Ivo e l’su babbo, Peppe, e Brugino, i campanari; Aldo e Ercolino per gli Spaccini, e poi Gegio e Righino, l’ugola d’oro del gruppo, e Stefanino, quello del “bevemo meglio?” (traduzione: c’iarfacemo?) e Giovanni Scarabattoli l’uomo del tiro alla corda con Mario Giommi; e il Becci Otello , quello che telefonava col dito indice sulla serranda di Maria di Cèncio, chiedendo “pronto, pronto Maria? C’è Cèncio? No? Cencio ’n c’è? E dov’è Cèncio se Cèncio ’n c’è?
E dalle strade nuove giù verso Adelmo e Lucia, Giuseppe e Iole, e tutto il cocuzzaro là attorno. Né mancavano certo le donne, dall’Ersilia all’Eurosia, Carmelina e l’Agnese, e chissà quante altre, che come faccio a ricordarle tutte? E intanto che s’andava verso le scuole l’allegra compagnia cresceva con Pietro il cacciatore e l’Elda canterina; e la Maria Grazia Sambuco, cuoca che condiva con filastrocche al pepe i suoi pranzi di nozze (e anche quelli del prete quando aveva il suo vescovo a tavola); e Francesco il piccoletto, il Rascel della compagnia: simpatico per cento e dispettoso per mille. E Serafino, tranquillo gentiluomo dal cuore d’oro.
Se rimpiango quel tempo? Non potrei, non ha senso: il tempo passa. Piuttosto lo ringrazio per avermelo dato. Perché “quelli eran giorni sì, erano giorni!”.
Concluderò con un mio adattamento a una celeberrima canzone abruzzese:

“Putesse arivenì pe’ n’ora sola
lu tiempe belle de la cuntentezze,
quande pazzja vamme a “beve beve”
pe mbriacà lu prete e ‘n ce riuscimme.”

E per quelle bellissime serate, vi ricompensi Dio, anime care, su nel suo paradiso!
Don Antonio.

(foto prelevate da “sei di casalina se”)