Il dissenso obbediente di Hans Küng


Lo scambio di lettere fra colui che è certo il più grande e importante teologo vivente della contestazione e dell’aperto dissenso nei confronti della teologia romana e non solo, Hans Küng, e papa Francesco, potrà certo esser vista e salutata con parole e in modi diversi nei vari ambienti della Chiesa.

Il tono rispettoso del teologo e la risposta di Francesco che promette attenzione agli argomenti del dissenso nei confronti di uno dei punti più sensibili e controversi del magistero ecclesiastico, non bastano certo a garantire un concreto passo avanti nella ricerca di una riconciliazione che, se è già avvenuta nei modi e nelle parole dei protagonisti, rimane ancora molto lontana nella sostanza delle cose. Troppo profonda e vasta la ferita o la frattura fra le due parti, perché tutto si risolva in un embrasson-nous veramente risolutore. L’aver privato il teologo svizzero della qualifica e del titolo di teologo cattolico, caso non unico, ma certo raro nella Chiesa dei nostri tempi, fu certamente uno dei gesti più clamorosi, sul piano teologico e disciplinare, di Giovanni Paolo II.

In quegli anni era titolare della Sacra Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger, che lo stesso Küng aveva voluto con sé a Tubinga, dopo essere stati due fra le più vivide speranze della teologia cattolica ai tempi e all’interno del Concilio Vaticano II. Ma le loro strade si sarebbero separate ben presto. Il vento della contestazione nel quale Küng si muoveva perfettamente a suo agio, aveva finito con lo spaventare e intimorire il più giovane collega bavarese, il quale investito dalla contestazione studentesca di quell’università, decise di abbandonarla preferendole la più tranquilla Regensburg (Ratisbona). Oggi molto avanti negli anni (ottantotto), Küng sembra credere o sperare d’aver trovato una possibile sponda nel papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, considerandolo, proprio per questo, meno sensibile e meno legato alle voci delle sirene che vivono e cantano sulle sacre sponde del Tevere, preparando sciagure ai naviganti.

Personalmente, io ho della persona di Küng un solo ricordo “fisico”: una sua conferenza alla Domus Mariae, a Roma, durante gli anni del Vaticano II. Lui era già una star e la sala era gremita di vescovi (fra cui non pochi cardinali) preti giornalisti e laici.

Non ricordo naturalmente l’argomento, senza dubbio attinente ai dibattiti conciliari allora accesissimi, ma ricordo nettamente la sgradevole impressione di trovarmi di fronte appunto a una star, al quale piaceva molto fare la star, e gustarsi i molti applausi, le risatine e le aperte risate di consenso e di approvazione che le sue parole gli procuravano a getto continuo. Ebbi l’impressione di una grande, grandissima mente un po’ troppo ripiegata e compiaciuta di sé stessa. Col passare del tempo questa impressione ha subito degli aggiustamenti. La quantità e la qualità e la vastità dei suoi interessi sono tali da non poterlo non far percepire che come un marziano a Roma. Soltanto con un solido e numeroso staff di collaboratori, mi son sempre detto, era possibile raccogliere tali montagne di testi, citazioni, rimandi sui più diversi ambiti e discipline dell’umano sapere. Poi il suo destino ha girato il timone verso mari e navigazioni sempre più tempestose, fino al grande divorzio sancito da Giovanni Paolo II, un papa che Küng non ha mai amato, che ha anzi bollato più d’una volta con parole molto dure fino all’asprezza, anche se mai irriguardose verso la figura e il ruolo del papa.

Ancora oggi, alla sua venerabile età, egli non smette di stupire, come quando dice di voler decidere da solo quando e come morire, o come quando difende la possibilità d’una unione omosessuale se questa viene giustificata non dal capriccio, ma dal rispetto delle singole individualità.

C’è anche un aspetto, nella personalità senza dubbio straordinaria di Küng, che non può non incuriosire e quasi far tenerezza: la sua irrisolta nostalgia della piena comunione con Roma. Dopo la “cacciata” a opera del papa polacco, egli non ha mai smesso di cercare il dialogo con Roma. Certo un dialogo, non una capitolazione. Ha cercato di ricucire con lo stesso Giovanni Paolo II, che però non ha mai voluto incontrarlo in privato; ha poi chiesto un incontro, concessogli, con l’ex amico e collega Ratzinger dopo l’elezione di quest’ultimo al soglio di San Pietro; oggi ha scritto a papa Francesco chiedendogli di consentire l’apertura d’un dibattito franco aperto e senza tabù di qualsiasi genere sull’infallibilità del papa.

È un fatto, e tutti lo hanno segnalato, che Francesco non ha mai parlato, direttamente e con intenti di approvazione, dell’infallibilità del papa. Può essere questo l’apparire del giallo che prelude al verde al semaforo della storia? È, probabilmente, troppo poco e troppo presto per dirlo. Ma intanto i giochi  sono aperti. E per dire “rien ne va plus”, è probabilmente troppo presto. Chi vivrà, vedrà.

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