Diaconi o Diacone, per me pari sono


 

Sento il bisogno di ritornare sul tema del diaconato. Del diaconato in quanto tale, prima ancora di fermarmi a riflettere sul diaconato femminile soltanto.

La inaspettata apertura di papa Francesco allo studio e all’ipotesi del ripristino del diaconato femminile nella Chiesa cattolica ha sorpreso e meravigliato un po’ tutti, sia tra i fautori del diaconato femminile, sia fra gli oppositori: che non saranno neppure pochi, se il card. Walter Kasper, una delle voci che il papa ascolta più volentieri prima di assumere decisioni di tale portata, ha potuto  dire di  prevedere “contrasti feroci” nella Chiesa cattolica.

Che la decisione di papa Francesco sia sembrata, un po’ a tutti, clamorosa e inattesa, lo si spiega bene per il fatto che lo stesso Francesco aveva in precedenza già detto che, per quanto riguarda l’ordinazione di donne ai sacramenti dell’Ordine sacro, la cosa sembrava da escludere per il fatto che quella porta sembrava essere stata chiusa una volta per tutte da Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica Ordinatiosacerdotalis, del 22.5.1994. Ed è proprio su questo punto che vorrei invitare oggi a riflettere chi avrà la curiosità e la pazienza di leggermi fino in fondo.

Pongo subito la domanda, nella maniera più brutale possibile: può un papa, pur con tutta la sua infallibilità, sopprimere un modo di pensare, vivere e praticare un sacramento che la Chiesa ha già pensato vissuto e praticato anche in altri modi, oltre a quello che noi oggi pensiamo viviamo e pratichiamo?

La mia risposta, per quello che può valere la mia parola e la mia povera autorità accademica, è:  NO!

Ciò che la Chiesa ha ricevuto come deposito di fede e di grazia dal suo Fondatore Gesù Cristo e dalla Chiesa apostolica (sec. I – inizio II) va assolutamente oltre l’autorità del papa e perfino dei concili ecumenici.

Avrebbe dunque commesso un imperdonabile abuso la Chiesa del III-IV-V secolo a lasciar cadere il diaconato femminile, così come nel corso dei secoli seguenti si farà in altri campi, con altri papi e con altri concili?

La mia risposta è ancora una volta NO.

No, perché non si trattò di vera soppressione, ma solo di pratica sospensione dell’uso e del ricorso a quel servizio. Come dire, si giudicò (e questo giudizio, come avviene per ogni giudizio controverso, poté essere giusto o sbagliato, utile o improvvido, mai però illegittimo, ereticale o intenzionalmente scismatico.

Una cosa però dovrà essere assolutamente chiara: quel giudizio non fu una sentenza sulla validità e sulla legittimità della donna diacono, bensì sull’utilità o meno di quel servizio o di quella figura ministeriale (servono alla Chiesa donne diacone?). Allora si decise per il no, e ciò è rimasto “vero e giusto” fino alla decisione di papa Francesco di riprendere in mano l’antica questione per giudicarla di nuovo, alla luce dei mutamenti intervenuti negli ultimi cinque decenni.

Perché proprio questo era accaduto nei sec. III-IV, quando, chiaritasi ormai la situazione Chiesa-Impero, quella decisione fu presa nella persuasione che ormai di donne diacone la Chiesa poteva benissimo fare a meno. Decisione essenzialmente pratica, non dottrinale, dunque certo indifferente per la dottrina. I problemi in questo senso, appariranno solo più tardi, e fu solo allora che si incominciò a parlare di incompatibilità fra sesso femminile e condizione clericale.

Ora, da qualche tempo a questa parte, sta riemergendo la consapevolezza che i doni di Dio sono per sempre (Rm 11,29): se dunque un suo dono un giorno fu accolto nella sua Chiesa, basterà cercare da qualche parte ed esso sarà certamente ritrovato, perfettamente in ordine e pronto per l’uso.  È il messaggio della parabola di Mt 13, 52 del paterfamilias. Questo è già avvenuto, e dunque può avvenire ancora.

Ma è proprio qui che si apre la partita certo più importante, più affascinante e promettente. La sfida assai impegnativa per Madre chiesa, è questa: che farne di questa nuova ricchezza della chiesa? L’uso che se ne è fatto e se ne fa tuttora, sembra ai più attenti osservatori e agli stessi protagonisti, largamente insufficiente e perfino ampiamente frustrante per gli stessi diaconi, che si sentono alternativamente più tappabuchi che protagonisti, più corpo di parata che ministri effettivi di riti e sacramenti, più rappresentanti del parroco (benedizione delle case, dei cibi, funerali, ore di adorazione…) che seminatori veri e generosi della Parola di Dio.

Da qui la domanda: avrà mai la Chiesa il coraggio e la forza profetica per reinventare un ministero dopo almeno sette secoli di letargo sotto naftalina, quando si rimaneva diaconi giusto il tempo per essere ammessi al presbiterato (dai tre ai dodici mesi).

Perché ormai sarà proprio questa la vera sfida da giocare: quali diaconi servono veramente alla Chiesa, uomini o donne che siano? Potranno mai rappresentare la scoperta di una nuova prateria da esplorare e far propria per acquisire nuovi spazi di libertà e di sicurezza e di serenità per il popolo di Dio, assai più che dei quadri diocesani? Perché è proprio questa la vera posta in palio del coraggioso passo compiuto da Francesco: ora per la Chiesa ogni gioco è aperto, e diventa possibile anche  immaginare e perfino sperare che la Chiesa ritrovi tutta la fede, lo slancio, il coraggio d’invenzione che l’hanno condotta attraverso i duemila anni della sua storia, a essere quella che è… probabilmente irriconoscibile agli occhi degli stessi Padri fondatori.

Immaginatevi oggi Giustino, Ignazio, Policarpo e gli stessi Pietro e Paolo, che vengono o liberamente (Pietro), o trascinativi in catene per esservi giudicati (Paolo), o per esservi giustiziati (i primi tre): che penserebbero essi  della basilica di San Pietro e della macchina vaticana? Si potrebbero mai riconoscere in questa Chiesa ricca che veste di porpora i suoi capi e che si descrive e si presenta al mondo con il suo CIC (Codice di Diritto Canonico) che soltanto pochissimi sanno leggere e capire e nel quale nessuno di quei cinque personaggi citati si riconoscerebbe? Ebbene anche qui la risposta dovrà essere NO, perché la Chiesa dal tempo che fu il loro, è cambiata moltissimo, e in niente o quasi in nulla oggi somiglia a ciò che era allora.

Oggi però il problema può essere almeno posto con assoluta chiarezza. Perché la Chiesa, che sa bene che essa non avrà mai la stessa autorità né del Fondatore né della Chiesa nell’età di fondazione, può riprendere coscienza del fatto che a lei è stata concessa un’altra autorità, anch’essa ordinaria e incondizionata, sull’amministrazione del depositumfidei e della grande tradizione liturgica, che insieme costituiscono il vero tesoro sul quale di fonda la sua missione e la sua autorità. Un’autorità che le consentirà di poter tirar fuori da ripostigli, soffitte, scrigni, bauli tutto ciò che essa un tempo ha ritenuto necessario doversi servire e che poi a un certo tempo non le servirono più.

Di quell’officina di servizio e lavoro nulla è andato perduto, perché tutto è stato ben conservato negli scrigni del paterfamilias, il quale potrà sempre, a sua assoluta discrezione, farvi ricorso.

Per ridare al diaconato (maschile o femminile, per me pari sono) la possibilità di espletare tutte le sue ricche possibilità, ci vorrà però molta fede, costanza, fantasia, coraggio e soprattutto dottrina certa e fedeltà assoluta. Tutte doti che, come il coraggio, uno non può darsi da solo. Che la Chiesa li sappia chiedere e ottenere dallo Spirito Santo. Sempre che gli uomini acconsentano alla sua azione.

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