C’è un uomo in fuga da tutto.


C’è un uomo in fuga da tutto. Dal mondo.
Quell’uomo sono io.
Qualcuno mi ha fatto giorni fa una domanda: come mai parla tanto spesso di sé? Che ci trova di interessante in sé stesso?
La mia risposta fu, e resta, questa: perché io so, e conosco, solo me stesso. D’altro non so niente. D’altro, o di altri, io non so parlare. Perché, che vuoi dire di uno che non conosci?
Io sono l’unica cosa che mi è dato conoscere perché io ci vivo dentro, anzi mi identifico con lui: lo guardo e non sempre mi piace. Anzi, molto spesso non mi piace. Forse il più delle volte. Specialmente, se mi guardo bene: rughe, macchie della pelle, pochi capelli d’un grigio che non vuol saperne di diventare il nobile venerando bianco delle capigliature e delle barbe dei vegliardi. Vanità? No, solo fastidio.
Allora preferisco fuggire in un mondo reale e vicinissimo, i cui confini coincidono esattamente con i miei. Qui, a differenza di quel mondo da cui fuggo, io credo di sapere e di conoscere tutto.
È il mio mondo di fede, di speranze, di rimorsi (quanti!), di desideri, di progetti, di affetti, anzi d’amore vero e profondo, esigente e generoso al tempo stesso.
In un antico libretto di meditazione è scritta, in latino, questa massima: “Nella tua cella regna la pace; fuori di essa invece c’è la guerra”. Come dire: resta contento/a là dove sei, e non cercare di fuggire dal tuo nido, che qualche cacciatore non abbia a impallinarti.
O che non abbia a seccarti il cervello l’ardore del mezzogiorno, o a intorpidirti il cuore il freddo dell’inverno.
È in quel romitorio che io mi ritrovo con Colui che solo sa dare senso pieno alla mia vita.
Non vi è piaciuto il mio discorso. Perdonatemi.
Vi ha fatto bene? Ringraziatene Dio. Che vi benedica tutti!

Don Antonio