Possiamo ancora sperare? Sì, nel dialogo


Questo articolo è una risposta a due lettere scrittemi da un mio lettore come risposta critica a quanto scrivevo nei miei due articoli dedicati alla strage di Parigi, alle polemiche che ne erano seguite, ai tre milioni di copie del nuovo Charlie Hebdo, divenute sette milioni una settimana dopo, ai gridi di vittoria dei filocharlie, al pugno di papa Francesco e al suo “calcio dove non batte sole”.
Quel mio Lettore dev’essere davvero arrabbiato. Una rabbia come la sua non si esaurisce “nello spazio d’un mattino” come la rosa di François de Malherbe. Se la risposta è una lettera aperta è solo perché penso che ciò che dirò potrà aiutare anche qualcun altro che abbia gli stessi problemi. Anche perché è difficile che un pensiero nasca o “attecchisca” in una mente sola: in genere, per una sola che ri risolve a renderla pubblica, ce ne sono sempre dietro a centinaia, forse a migliaia che l’hanno pensata senza risolversi a renderla pubblica. Ciò risulta evidente quando, fra i tanti che la leggono o l’ascoltano, alcuni o molti sentiranno la voglia di dire: ha ragione; l’ho sempre detto io; hai visto che avevo ragione?
Queste alcune parole del mio Lettore: “Complimenti!!! Se io fossi un capo di una qualunque associazione islamica, proporrei di assegnarle la carica di imam ad honorem. Il suo articolo mi ha fatto inorridire. Secondo il suo parere la causa e la colpa degli eccidi di Parigi sarebbe di quei senza Dio di Charlie Hebdo. Sono loro i cattivi, non certo i poveri musulmani offesi in ciò che hanno di più caro, il profeta Maometto… “La ringrazio. Una volta di più, ho capito la mia superiorità (di ateo)” [la parentesi tonda è autografa]. E continua: “Mi dispiace solamente vedere coloro che dovrebbero essere i primi difensori del cristianesimo… prestarsi a fare da cavallo di Troia, favorendo così la conquista dell’Occidente da parte… (la citazione è interrotta per censura: ah, questo incorreggibile vizio cattolico!).
La seconda lettera è di tre giorni dopo. Questa volta l’occasione l’ha data il mio articolo su Giuliano Ferrara e il mio discorso sul carattere intrinsecamente totalizzante di una fede religiosa.
Qui il mio Lettore vede nella mia critica a Ferrara un’altra forma di miopia o forse di totale cecità: “Così tocca a noi atei difendere il cristianesimo… Un paradosso, ma è così nei fatti”. Ateo convinto, ma anche discepolo di Voltaire, il quale ateo non era ma piuttosto un deista (credeva a un essere d’intelligenza superiore, organizzatore dell’universo, ma che niente ha a che fare con il Dio personale, provvidente e giudicante, sempre protagonista nelle vicende umane. A Voltaire il mio Lettore si ispira quando dice d’essere “disposto ad andare in guerra per difendere i valori, la cultura di noi occidentali e anche del cristianesimo”. E poiché mai come in questo momento quei valori sono stati a rischio “ecco il momento di schierarsi da che parte stare”. Quanto a lui non ha dubbi da che parte schierarsi. Infine mette in guardia tutti quelli come me: “Ma non capite che quando loro avranno vinto, sarete i primi a essere fatti fuori?”.
L’affondo finale lascia trasparire una passione che sarebbe certo condivisa da Magdi Cristiano Allam, che per Cristo ha abbandonato l’Islam. E certo avrebbe concordato con lui anche Oriana Fallaci, grande antesignana nella lotta contro un Islam minaccioso e sempre pericoloso per l’Europa. Aveva passato tutta la sua vita a raccontare gli orrori e le stragi delle guerre, gli intrighi e le ipocrisie della politica, a prendere posizione sui problemi della donna nel sociale, ma negli ultimi anni si è vista rifiutata proprio a causa di questo fuoco antislamico, suscitato e alimentato in lei dalla visione assai chiara d’un’intolleranza che le faceva paura. Quante volte nel leggere quelle appassionate profezie, ho pensato di trovarmi davanti a una moderna Cassandra che, con tutte le forze di cui ancora disponeva, cercava di convincere i suoi concittadini e contemporanei a non deporre le armi, a non credere a chi si presentava come un innocuo cavallo offerto per trofeo, mentre il suo ventre era pieno di gente che voleva solo uccidere, armata fino ai denti. Oggi quella lezione resta ancora lì, integra, urgente, drammatica, ad ammonirci e a suonarci ancora la sveglia, perché non abbiamo mai a dimenticare che accanto a un islamismo sinceramente pio e rispettoso dello spirito più vero dell’Islam, ne esiste anche un altro che costruisce la sua strategia di potere proprio sul gioco di parole legato al termine Islàm: pace, ma anche sottomissione, e dunque pace nella sottomissione totale della realtà secolare alla parola del corano, letta da ciascuna scuola teologica in maniera diversa, spesso in competizione feroce fra loro.
Proprio su questo gioco degli equivoci è costruito il tanto discusso romanzo di Michel Houellebecq, non certo per caso intitolato, in francese, Soumission, sottomissione, che prefigura per il 2022 l’anno in cui la Francia si vedrà trasformato, da quella che fu la patria dei Lumi, nel primo paese europeo a finire sotto l’egemonia politica prima, culturale poi dell’Islàm.
Appare chiaro qui come i timori dell’amico Lettore non vadano poi presi come peregrini incubi postprandiali. L’ espansione islamica in Europa è un fatto oggettivo, nutrito e rinforzato anche dal massiccio esodo dalle terre islamiche di disperati alla ricerca di una terra in cui si possa vivere ancora dignitosamente, nella fiducia, almeno in prospettiva che, vada come vada, andrà comunque meglio che nella terra là dove s’è nati. Che poi in quella terra sia prevalente una fede o una religione diversa da quella coranica, non potrà certo essere questo a scoraggiare quell’esodo. Chi fugge da una terra lo fa per fame, e chi va in una nuova terra ci va perché spera di poter sfuggire alla fame e alla miseria. Islamizzare la terra d’arrivo? Non escludo che qualcuno se lo possa anche augurare, ma che sia questo il primo pensiero dei più, lo escluderei del tutto.
Perché a voler essere sinceri, se c’è qualcosa che mi fa temere per il futuro religioso dell’Europa, non è certo l’afflusso degli islamici, per lo più brava gente rispettosa ed educata, per come li ho conosciuti io. Il vero pericolo io lo vedo assai più nella pratica apostasia dell’Europa, che ormai rifiuta apertamente e anzi sembra vergognarsi delle sue stesse radici cristiane. Ormai si dicono tutti figli dei Lumi, dimenticando che ogni lume, anche quello del sole, è destinato un giorno a spegnersi, non importa fra quanti miliardi di anni.
E al di là di questo: chi (o che) è Cristo ormai per l’Europa? In quanti lo riconoscono più come il Signore? E la sua croce? Quello che fu sempre uno scandalo fin dai tempi di Paolo, ora è un simbolo tragico e avvilente che in molti non vogliono più nemmeno vedere. Anzi è tempo ormai di ripulire le scuole, gli ospedali, gli edifici pubblici, le strade, le campagne di quel lugubre simbolo di morte che per troppo tempo ha mortificato e intristito la nostra vita. Chi ha cantato La Marseillaise non può più cantare Noi vogliam Dio. Chi ha sognato le levata del Sol dell’avvenire, non vuol più saperne della “valle di lacrime”. La Terra è la nostra casa, anzi la nostra madre, e l’uomo non ha più niente da aspettarsi dal cielo dal momento che ormai si avvera l’antico detto: “ciascuno è artefice della sua fortuna”.
Tutto finito dunque per Cristo e per la nostra fede? Lo si è potuto temere per un lungo momento della storia recente, ora non più. Ora che Francesco, in questo sulla scia dei suoi predecessori ci ha ricordato che esiste il dialogo, noi possiamo tornare a sperare. Ma qui il mio spazio è finito. A una prossima volta.

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