Nuove frontiere per la famiglia e per la civiltà


È inutile girarci intorno con le parole: probabilmente mai, nei millenni che ci hanno preceduto l’istituto familiare, così come noi lo conosciamo, ha subito prove e crisi maggiori di quelle che  esso incontra ai nostri tempi.

Lo fanno tutti”. Queste le parole del nuovo vangelo. I giovanissimi fidanzati fanno insieme le vacanze al mare e da soli; vanno in crociera insieme e da soli; vanno a dividere la stanza nella città in cui lavorano o studiano insieme e da soli. Quasi sempre ormai col consenso, o almeno con la non opposizione dei rassegnati genitori che hanno preparato loro la camera provvisoria e magari gli rifanno anche il letto se essi devono uscire presto per l’università o per il lavoro.

Sempre meno le coppie che si sposano solo “in due”; sempre più spesso c’è già pronto il terzo, o già nato o in arrivo: tutti lo sanno e nessuno trova più niente da ridire.

Anzi: se il bambino è già nato e i genitori decidono di sposarsi in chiesa, non è raro che chiedano anche di celebrare insieme matrimonio e battesimo. La festa sarà più solenne e si risparmierà sulle spese. Vuoi mettere la tenerezza che fa sposarsi con già in braccio il frutto del proprio amore, da esibire a tutti per far vedere quanto si è stati bravi? Del resto non è forse vero che la vita, comunque  sia stata concepita, sempre vita è, e che il bambino, indipendentemente da quando e da come è nato, sempre figlio di Dio è? E allora perché perdersi in ubbìe d’altri tempi? “E poi un prete che ci faccia buon viso e ci faccia anche i complimenti lo troveremo di certo”.

So di essere in netta minoranza, ma io mi sono sempre rifiutato di farlo, e così credo che farò ancora. O non è più vero ciò che dice Qoelet 3,1, che «ogni cosa ha il suo tempo sotto il sole»? Dunque c’è ancora un tempo per concepire, un tempo per nascere e un tempo per battezzare. Diverso il caso d’una intera famiglia giunta da poco alla fede,  o ritornata da poco alla pratica religiosa, chiede di poter essere accolta (o riaccolta) nella comunità dei fedeli. Ma in un caso diverso da questi, con i tempi che corrono, sarebbe solo una corsa al “prendi due e paghi uno”.

Perché ci si potrà anche aspettare che, dopo anni di convivenza “irregolare” (la chiamerò ancora così, ma per quanto tempo ancora la si potrà considerare tale?), con o senza figli, i due conviventi, decidano di porre fine alla pubblica clandestinità (passi l’ossimoro) della loro unione, e vengano a chiedere una cerimonia in chiesa, importante, bellissima, con l’abito bianco, magari generosamente scollato e con intero set tele-foto-cinematografico al seguito. Una location (come oggi si ama dire con inglesismo stucchevole) dove l’unica cosa superflua in tutto questo movimento risulta l’altare che però ci dev’essere e allora lo si utilizza anche come senso rotatorio per evitare di scontrarsi nella spasmodica rincorsa allo scatto. Perché niente deve negato alla memoria visiva, nemmeno le lingue degli sposi alla comunione. A perpetuo trionfo di Sua Maestà il Kitsch.

Tanto dissipata è l’atmosfera di alcuni matrimoni che il celebrante, a volte, non può fare a meno di chiedersi perché poi quei due si saranno decisi di venire a sposarsi proprio in chiesa, visto che da anni non si facevan più vedere, e così per certo continueranno a fare per il futuro. “Vogliamo regolarizzare la nostra condizione” è l’immancabile risposta. Regolarizzare davanti a chi? Per lo Stato bastava il comune. Per la Chiesa ci vorrebbe ben altro! Quanto a Dio, poi… meglio sorvolare!

A volte viene un sospetto… malignissimo! E se si fossero detto “Abbiamo fatto tanti di quei regali agli amici e ai parenti che è giusto che adesso qualcuno ce li faccia anche a noi”.Ah, il divo Giulio!«A pensar male si fa peccato, ma finisce che ci si azzecca».

Alla ricerca d’una via d’uscita.

Si può pensare di poter porre qualche rimedio a una situazione tanto delicata e difficile? Credo che non sarà facile, anche perché la Chiesa, invece di prendere il toro per le corna, preferisce fargli una doccia con acqua benedetta.

Così la Chiesa anziché metter mano ai veri problemi della convivenza, sembra convinta che ciò che manca è un supplemento di catechesi (evangelizzazione è la parola magica): un po’ di catechismo, un po’ di morale sessuale, un po’ di psicologia di coppia, un po’ di puericoltura. Alla fine del corso una bella festa, tutti contenti, “ci terremo sempre di vista”. Poi le nozze e dopo pochi anni i primi divorzi. I surrogati non bastano; ciò che serve è una vera rifondazione della famiglia e della teologia della famiglia. Perché alla base di questa crisi c’è niente di meno che la crisi di tutta una cultura, d’una storia, anzi d’una intera civiltà. Di quella che si è convenuto chiamare la civiltà cristiana.

Ernesto Galli della Loggia, che non è un ideologo cattolico, ha scritto, con molta lucidità, già qualche anno fa, un articolo dal titolo e dai toni davvero allarmati: Le spalle al cristianesimo (Corriere della Sera, 3.11.2008).

«Si sta consumando una gigantesca frattura storica; non vogliamo essere, non ci sentiamo più delle società cristiane. Non vogliono più esserlo non solo le grandi maggioranze, ma soprattutto le élite intellettuali. La critica della religione, infatti, è rimasta, alla fine, il solo vero denominatore comune sopravvissuto alle infinite vicissitudini della cultura moderna…Tutti gli “ismi”, tutti gli snodi e gli assunti sono stati di volta in volta smentiti, contraddetti e abbandonati. Una cosa sola però, comune ad ognuna di esse, è restata come acquisto generale: l’idea che la religione, e quindi innanzitutto il cristianesimo, rappresenta la prima “alienazione” dell’umanità pre-moderna, di cui i tempi nuovi esigono che ci si sbarazzi». Più chiaro di così!

Un’idea ripresa recentemente da Guido Ceronetti, sempre sul Corriere della Sera (10.9.2014), dal titolo ancor più drammatico: Se muore il cristianesimo, nel quale il raffinato scrittore così si esprimeva: «Quel che posso dire è che mi duole il cristianesimo che muore: si tratta d’una amputazione enorme, in anestesia totale, in modo che nessuno se ne accorga. Non ho idea però di quel che sarà quando ce ne accorgeremo, qui nelle nazioni cristiane dell’emisfero… Tuttavia adesso la cosa è talmente evidente dovunque, e così tanti i segni di morte, da poterla risentire come una personale ferita».

Più recentemente ancora (domenica di Pasqua 5 aprile 2015), ancora Galli della Loggia, scriveva: «Cristiana la nostra identità? Ma quando mai! Innanzi tutto non ce lo permette forse neppure la nostra Costituzione; sicuramente poi ce lo vieta l’Europa e ancor più sicuramente ce lo vieta il pensiero dominante. Secondo il quale tutto ciò che ci distingue, a cominciare dallo stesso termine identità, è sospetto: allude a possibili discriminazioni, esclusioni, persecuzioni. Se vogliamo essere dei bravi democratici (come vogliamo), possiamo avere quindi solo identità cosmopolite, universali, fruibili e condivisibili, senza distinzioni da chiunque, sanzionate da diritti altrettanto universali. E poiché ognuno di noi deve sentirsi libero di essere qualunque cosa, ne segue che come collettività, come insieme, non possiamo essere nulla, consistere in nulla, identificarci in nulla di storicamente o culturalmente determinato. Neppure lontanamente possiamo pensare, ad esempio, di avere “radici” (ambiguo termine biologico che, come è stato denunciato, solo per questo già sa di razzismo), radici in una storia, in una tradizione, in una cultura. Figuriamoci poi in una religione…E se in una contrada d’Africa o d’Asia da anni abbattono croci e incendiano chiese a decine, fanno schiave e violentano donne solo perché cristiane, se per la stessa ragione decapitano o freddano con un colpo alla nuca chiunque non preghi Allah, non riusciamo a scomporci più di tanto».

Come non pensare allora che oggi la Chiesa si trova in Occidente nella stessa situazione in cui vennero a trovarsi le religioni del mondo greco-romano nei secoli IV e V dell’era cristiana, e che la celebre Ipazia, filosofa matematica e astronoma  d’Alessandria d’Egitto, trucidata dai cristiani mentre cercava scampo presso un altare pagano, sia solo un lontano presagio, forse un segno o un ammonimento del destino: fede come testimonianza, testimonianza come martyría, martirio come sangue seminale (haimaspermatikósse mi si consente questo neologismo), dal quale possono nascere vere legioni di nuovi cristiani.  Altissimo il prezzo – l’atroce orrore della persecuzione – ma sovrabbondante sarà il sicuro raccolto.

Epoca di trapasso e dunque di trasformazione la nostra: da un mondo a un altro, da una visione del mondo a un’altra più evoluta, più criticamente avvertita, ma anche sempre più scettica e arida. Un segno l’abbiamo già avuto, e tale da costringerci ad aprire bene gli occhi se non vogliamo ritrovarci sotto un metro di terra senza neppure sapere che stavamo morendo: la schiacciante vittoria del nel referendum sul matrimonio omosessuale nella ex cattolicissima Irlanda, è un segno da non sottovalutare. Mi colpì in quei giorni una noterella data così, senza neppure marcarla troppo,  da un telegiornale. Eccola: «Il NO si è difeso bene e ha potuto prevalere solo nelle campagne. Nelle città il SÌ ha stravinto».

Ecco, mi son detto: ora noisiamo i nuovi pagani. Pagani erano detti, dai latini, gli abitanti delle campagne (pagus, villaggio rurale, gruppetto di case di campagna, (come più tardi villani erano detti quelli che abitavano nelle ville (oggi villaggi, piccoli centri rurali): gente culturalmente arretrata, mentre le città, naturali avanguardie della cultura, erano già tutte, o quasi, cristiane. Dunque, “attenta Chiesa, sei avvertita!”, sembra ammonirci severamente la Storia, sempre presaga e sempre inascoltata maestra di vita.

In realtà la nostra è un’epoca difficile e contrastata, dove le strategie di aggressione al vecchio mondo e, per contro, di sopravvivenza da parte di quest’ultimo, andranno continuamente evolvendo alla ricerca di nuovi e sempre più efficaci strumenti di persuasione.

Quello che è certo, è che la lotta non sarà breve, e ci vorranno generazioni ancora, sia perché il vecchio superi la sua crisi ed esca finalmente dal tunnel (non senza e non prima di essersi profondamente rinnovato), sia perché a prevalere sia il suo contrario, il nuovo ordine che, forte dei suoi sempre più numerosi successi parziali, cercherà di prevalere spodestando definitivamente il vecchio ordine o quanto meno di ridurlo a pura insignificanza, imponendone uno nuovo, nato sì dal vecchio, ma a lui inesorabilmente alternativo. In realtà si assiste a una lotta senza quartiere fra il vecchio potere che si difende come può, e il nuovo che lo incalza sperando di potergli assestare prima o poi il colpo che lo stenderà definitivamente al tappeto.

Questo, a mio parere, il quadro di contorno dell’attuale crisi della famiglia e, di conseguenza, del matrimonio cristiano come significativa tessera dell’intero mosaico.

Qui mi fermo, dando a tutti l’appuntamento a domenica prossima. Dio volendo.

                                                                              Antonio Santantoni

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