La Strana Sorte Di Un Grandissimo Riformatore


Immagino che, se io ponessi la domanda “chi è San Colombano?”, la risposta sarebbe la stessa di Don Abbondio davanti al nome di Carneade: «Chi era costui?».
Già, chi era san Colombano?

Ebbene, pur sapendo che qualcuno mi accuserà di bestemmia, io oso dire che la sua influenza storica fu pari, se non addirittura superiore (almeno per ciò che riguarda un aspetto preciso della vita cristiana) a quella d’un Sant’Antonio Abate e d’un San Francesco d’Assisi. A tal punto che (equasi tutti senza saperlo) ogni cristiano cattolico, s’è dovuto necessariamente servire, e almeno per tanti di noi per innumerevoli volte, di una sua formidabile “invenzione”. E credetemi, non sto vendendo nuvole, ma sto narrando una storia ben documentata e precisa.

Ho scritto invenzione, ma potrei dire con altrettanta verità, rivoluzione. Parlo infatti della confessione dei propri peccati a un prete, per riceverne l’assoluzione e così riconciliarsi con Dio.

Immagino la sorpresa e l’obiezione: “Ma come? La confessione non l’ha inventata Gesù Cristo?”. E se san Colombano (forma latinizzata del gaelico: ColumBán, ‘colomba bianca’) nato a Navan, intorno al 542 d.C. e morto a Bobbio (Piacenza) il 23 novembre del 615, come può essere stato lui a fondare/inventare la confessione sacramentale, più di 500 anni dopo ?

Una domanda molto pertinente per la quale esiste una risposta molto precisa, ma per passare alla quale bisognerà far precedere qualche informazione altrettanto precisa. È quanto mi propongo di fare con questo articolo. Avrò bisogno d’un po’ di spazio, ma oso sperare che i miei lettori sapranno seguirmi sino in fondo.

Del resto tutti i sacramenti hanno avuto bisogno di molti secoli per raggiungere la forma alla quale siamo abituati a vederli celebrare oggi nelle nostre chiese. Il caso della penitenza è forse il più complesso e perfino il più contraddittorio di tutti.

Rapidissimamente: in tutto il primo secolo, non esistono testimonianze sull’esistenza di un rito per il perdono dei peccati personali. Si sa solo che in caso scandalo la comunità poteva e doveva intervenire per riprendere il fratello che aveva mancato. Se il fratello si dichiarava pentito e prometteva di emendarsi, veniva perdonato; in caso contrario veniva in qualche modo abbandonato a sé stesso (Mt 18,17). Ciò è durato fino a verso la metà del sec. II.

A quel punto della storia cristiana, erano molti i fedeli che si rendevano colpevoli di peccati gravi, specie di apostasia, per paura delle persecuzioni e le comunità cominciarono a porsi il problema di come agire con costoro. La dottrina era chiara: chi è rinato nel Battesimo (il sacramento della grande e perfetta penitenza), essendo una nuova creatura, mai più “poteva” peccare ancora. Invece erano sempre più numerosi quelli che anche dopo il battesimo tornavano a peccare. Che fare con loro? Espellerli come “come pubblicani e peccatori (ancora Mt 18,17), o usar loro misericordia secondo la parola del Signore che esortava a perdonare fino settanta volte sette (Mt 18,22)?

Ne nacque una disputa, risolta da Erma, fratello di papa S.Pio I, giusto alla metà del sec. II. Egli disse d’aver avuto una visione che annunciava una “seconda penitenza” per chi nel frattempo era ricaduto nel peccato grave. Una penitenza per “una sola volta”, né mai più ce ne sarebbe stata una “seconda”.

Sembrò un passo avanti, nel senso della misericordia. Mai previsione si rivelò più errata. Ebbe inizio una specie di tempo del terrore. A spaventare era quell’una sola volta.  Neanche in punto di morte!

E poi c’erano le penitenze durissime che potevano durare anni e anni con digiuni per diversi giorni ogni settimana, e anche questo per anni; i penitenti erano esclusi dalla presenza in Chiesa o relegati agli ultimi posti, vestiti di panni scomodi e ruvidi (capra); divieto assoluto di radersi, o,  al contrario obbligo di farsi crescere barba e capelli senza mai radersi né lavarsi; divieto di praticare carriere prestigiose (giustizia, amministrazione pubblica, militare);  e, su tutto,l’obbligo di astenersi a vita dall’uso del matrimonio!: tanto che se il colpevole era coniugato, la parte innocente poteva opporsi a che il coniuge entrasse in penitenza.

Gli stessi Santi Padri della Chiesa (Cassiano, Agostino, Cesario di Arles…) consigliavano i cristiani peccatori a entrare in penitenza solo in età decrepita o in punto di morte.

In queste condizioni, i Padri della Chiesa elaborarono metodi alternativi alla penitenza canonica: continuare a vivere normalmente imponendosi da soli opere di penitenza: opere buone in riparazione dei propri peccati: elemosine, preghiere, digiuni volontari, opere di carità,  servizi utili ai fratelli, vivere fervorosamente la propria fede ecc. Così si poteva andare avanti fino a che, in punto di morte, si sarebbe potuta chiedere e ottenere senza difficoltà la riconciliazione.Intanto il peccatore poteva continuare a fare la comunione come tutti gli altri.

Verso il V-VI secolo, in realtà, quasi nessuno entrava più in penitenza. Solo per un peccato gravissimo e notorio poteva intervenire il vescovo (solo il vescovo però, mai un semplice prete), il quale proprio a causa dello scandalo, avrebbe allora dovuto agire d’ufficio, contestando al peccatore il suo delitto, imponendogli di entrare in penitenza. Al momento giusto gli avrebbe detto lui basta così. Allora avrebbe potuto riconciliarlo, riammettendolo alla comunione eucaristica.

Qualcuno forse ricorderà il caso clamoroso del grande Vescovo di Milano Ambrogio  che fermò sulla porta del tempio l’imperatore Teodosio per essersi macchiato del sangue d’un’orribile carneficina ai danni degli abitanti della città greca di Tessalonica colpevoli di avere ucciso una guardia imperiale. Ambrogio lo costrinse a rimanerne fuori per alcuni giorni, finché non avesse fatto adeguata penitenza.

Ma quei tempi erano ormai lontani, e ai tempi di Colombano (sec.V-VI) nell’impero ormai cristianizzato, già più nessuno si sottoponeva a penitenza, se non per l’intervento d’autorità d’un vescovo contro il peccatore notorio.

Fu allora che in Europa scese il monaco Colombano. Il quale, dopo un severissimo tirocinio in Patria, sentendo urgente la sua vocazione missionaria (spinto anche dall’idea del prossimo ritorno del Cristo giudice) volle percorrere le vie d’Europa creando monasteri che diventeranno presto grandi centri di spiritualità e di progresso civile: a Luxeuil (il più famoso dei monasteri francesi), a Bregenz, sul lago di Costanza, in Svizzera (il celeberrimo SanktGallen) e infine in Italia  a Bobbio, dove morirà nel 615.

Una vita straordinaria la sua, dirà forse più di un lettore, ma metterla sullo stesso piano di quella di S. Antonio Abate o di San Francesco, via, ce ne corre!

Eppure ecco la mia sfida: alzi la mano il cattolico che almeno una volta in vita sua, non si sia mai servito della grande rivoluzione colombaniana, cioè che in vita sua non si sia mai confessato! Già, perché chi ebbe l’intuizione e il coraggio di sostituire la penitenza pubblica con la confessione privata dei propri peccati al semplice prete, fu proprio San Colombano.

E il bello fu che neppure lui seppe mai d’aver potuto e saputo osare tanto. E questo fu possibile solo per il fatto che Colombano era irlandese, e in Irlanda, cristianizzata dai monaci come l’Inghilterra, mai era entrata la penitenza pubblica o canonica di stampo romano.  I monaci infatti, in tutto il Continente, non furono mai soggetti alla penitenza canonica, ma a una loro speciale penitenza, che somigliava in tutto a quella canonica, solo che era più leggera e soprattutto era ripetibile!

Ciò non scandalizzò nessuno finché Colombano rimase nella sua Irlanda. Ma le cose cambiarono quando egli scendendo in Europa, continuò a fare l’Irlandese:cioè a confessare e ad assolvere nel Continente  come i suoi monaci facevano in Irlanda.

Ripetibile! E poco importa se sulla carta le pene rimanevano severissime: perché quelle pene potevano ricevere uno generoso sconto grazie alle equivalenze (pene più severe ma di durata molto ridotta). Per di più tale confessione poteva essere fatta “a chiunque fosse facile farla” (dal Penitenziale di Colombano): anche a un monaco non prete, per esempio, anche a un fratello laico.

Questa fu la grande rivoluzione di Colombano: confessione e perdono dei peccati ripetibili e a portata di tutti, tutte le volte che se ne avrà bisogno.

Nata dal basso e subito condannata.  Ci pensò il Concilio III di Toledo, nel 589, giusto un anno prima della discesa di Colombano in Francia. Ciò ci obbliga a pensare che la sua confessione lo aveva preceduto nel Continente, il quale però l’aveva accolta definendola “immonda ed esecrabile”. Ma che volete? Così vanno le cose nel mondo e nella Chiesa. Mai prendere per definitiva l’ultima parola. Ce ne sarà sempre una più ultima dell’ultima.

P.S. Per chi vuol saperne di più, nel mio blog potrà trovare il testo del mio                          LA PENITENZA. Una pagina di storia antica utile per i nostri giorni.

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