Tanto tuonò che piovve. A dirotto!


Molte volte e in molti modi Dio aveva già parlato ai nostri padri, nei tempi antichi, per bocca dei suoi profeti, ma ultimamente (il 22 dicembre 2014) Dio ha parlato a noi per mezzo di Francesco, successore di Pietro a capo dell’universa Chiesa sparsa per l’ universo mondo.
Con queste parole, un po’ Lettera agli Ebrei (Ebr 1,1) e un po’ cronaca che più attuale non si può, mi sento spinto ad aprire questo mio insolito intervento infrasettimanale che non potrei rimandare neppure di pochi giorni.
Da cosa mi viene tanta urgenza? Dalla gioia che mi viene dalle parole che papa Francesco ha pronunciato in una circostanza normalmente fra le più soporifere che si possa immaginare: lo scambio degli auguri natalizi fra papa e Curia romana. Doveva essere routine. È stato un terremoto.
In tutti i resoconti e commenti si coglie stupore, meraviglia, quasi incredulità o almeno difficoltà di capacitarsi di fronte a parole tanto dure in un’occasione tanto impropria per le accuse e la denuncia di mali e vizi tanto gravi. In fondo tutti quei cardinali (e non solo!) si trovavano lì solo per scambiarsi gli auguri di buon Natale e qualche accademica notifica di cose e scadenze: un incontro del capo supremo coi suoi collaboratori più stretti: il suo senato, come ama farsi chiamare.
L’impressione che se ne ricava è che il papa li abbia chiamati tutti lì per prenderli tutti a schiaffi, per coprirli di rimbrotti e per dire loro, a brutto muso: “amici, la ricreazione deve finire, da oggi si farà sul serio”.
15 parole ha elencate, 15 peccati, o vizi, o debolezze… fate voi! 15 pesci in faccia per una fame di onori mai sazia, davanti a facce impietrite dalla vergogna o dalla rabbia, o magari da tutte e due.
Sia chiaro che non tutti i cardinali o altri altissimi prelati presenti avrebbero meritato quel trattamento.Sarebbe ingeneroso il solo pensarlo. Ma non c’è che dire: se tutti i commentatori sono rimasti allibiti davanti a certe espressioni e all’elenco dei peccati della Curia romana, figurarsi come sarà rimasto chi era là dentro come destinatario della reprimenda. Del resto è uno spettacolo già visto lo scorso settembre: ricordate i politici romani alle 7 del mattino, tutti in San Pietro, tutti arrivati trafelati a piedi alla basilica, e trattati loro pure a pesci in faccia?
La verità è che la sordità alla voce della coscienza, propria o altrui che sia, è uno dei frutti avvelenati di quella pianta benefica e malefica allo stesso che si chiama IL POTERE, le cui virtù ti possono salvare o condannare secondo che lo usi, e proprio per questo ambìto o esecrato, davanti al quale puoi prostrarti in adorazione o “mostrar le terga” in segno di disprezzo e quasi d’esorcismo nel timore di rimanerne vittime. L’aveva già detto Voltaire che «il potere è bello se se ne abusa». Molti non ne hanno afferrato l’ironia.Ma che certe cose ce le venga a dire un rompiscatole di papa venuto dalla fine del mondo può anche renderci la cosa più indigesta! E che per di più pretenda di insegnare a noi dove deve andare la Chiesa e con la Chiesa il mondo; e che il potere «non è comando ma servizio»! Perché se così fosse avrebbe avuto ragione il massone Giosuè Carducci, quando rimproverava «al galileo di rosse chiome» d’aver guastato la stirpe e l’indole della Città dei Cesari, quando «gittolle in braccio una sua croce e disse / portala, e servi» (Alle Fonti del Clitunno).
Non è difficile immaginare molte di quelle guance ben curate sotto lo zucchetto color porpora, indispettite per l’affronto che certamente dev’essere apparso loro immotivato e gratuito. In fondo di che s’erano resi colpevoli loro, cardinali e alti prelati vari, se non di aver messo in pratica fedelmente gli insegnamenti ricevuti in seminario, specialmente in quelli romani, veri e propri vivai di preti in carriera? E quelli formati nell’Accademia diplomatica in piazza della Minerva, sempre a Roma? E di che potranno essere mai essersi resi colpevoli quelli cresciuti nelle curie episcopali dove il primo e forse unico imperativo è obbedire, obbedire sempre, obbedire comunque, perché a obbedire non si sbaglia mai, e se qualcuno sbaglia, pagherà chi ha dato l’ordine, non certo chi l’ha eseguito? Principio che vale dappertutto, nelle parrocchie come negli ordini religiosi, perché per tutti, ormai da secoli, l’obbedienza è la prima virtù, la più preziosa e la più utile, perché un esercito diviso in sé stesso, è un esercito sconfitto già prima di combattere. Quanto a don Milani che ha osato scrivere che «l’obbedienza non è più una virtù», ben gli sta come è andato a finire.
Giustamente però faceva presente Vito Mancuso nel suo articolo di oggi su laRepubblica (ieri per chi legge) «che i mali della Curia romana non possono non essere esattamente i mali dello stesso potere pontificio». Così continua: «Il papato per secoli ha concepito sé stesso come potere assoluto senza spazio per una minima forma di critica e meno che mai di opposizione, traducendo fisicamente questa impostazione in precisi segni di spettacolare effetto quali il bacio della pantofola, la sedia gestatori e la Tiara pontificia (triregno)» (io aggiungerei: ed esemplari punizioni per i trasgressori: carceri, roghi, torture, forche).
Al proposito, Enzo Bianchi, anche lui oggi, ma su La Stampa, fa notare che «da mille anni nessuno parlava così» a Roma. In realtà sono passati 960 anni dal Dictatus papae di Gregorio VII, la magna charta del primato assoluto del vescovo di Roma in materia sia spirituale sia temporale, sia sulla terra(potere politico e di governo) sia in cielo (perdono dei peccati, indulgenze). Da allora i papi non si fecero mancare più nulla: crociate ad intra e ad extra, guerre sante, inquisizione, carcere, torture, roghi, forche, decapitazione. Tutto questo è comprensibile e va secondo le leggi del sentire umano. La vita è stata sempre una lotta di difesa e di offesa: tu per affermare il tuo potere, io per difendere il mio, o quanto meno per difendermi dalla tua prepotenza. Tutti i mezzi saranno leciti: mani, armi, macchine, minacce, menzogna, astuzia. E dove non arrivo a colpire, comprerò, sedurrò, corromperò. Attraverso i secoli, queste armi in Vaticano, sono state a lungo di casa. Oggi la pena capitale, le armi e la tortura non esistono più. Tutto il resto, invece ha ancora i suoi cultori.
Tutto questo ha compreso e denunciato papa Francesco con il suo incredibile discorso di ieri. E io ne rendo grazie a Dio. E mi domando: Ma perché c’è voluto un uomo venuto dalla fine del mondo per ricordarcelo? Non è nato sulle rive del Mediterraneo, dunque a casa nostra, il capostipite di tutta la nostra fede, l’uomo Gesù Cristo. E mi riempie di consolazione il fatto che sia di origine italiana il papa che oggi ha dichiarato avviata la rivoluzione del sistema. Perché di rivoluzione vera si tratta.
Mi resta una domanda da porre. A chi, non lo so. Ma cos’è che fa vera una affermazione? Quando la cosa è vera, o quando chi la dice è un’autorità di governo? Perché sai in quanti e quante volte abbiamo già detto tutto questo (mi si perdoni l’autoinclusione). Perché fino a ieri era superbia e presunzione, e oggi è verità? Chi sa, mi risponda. Se può farlo.

, ,