La guerra di papa Francesco in tre parole


Settimana intensa per papa Francesco, specialmente nei primi giorni della stessa.
Nel segno della scomunica alla mafia, anzi ai mafiosi. Già, perché di scomuniche morali la mafia ne ha avute molte, cominciando da quella del non dimenticato card. Pappalardo ai funerali del Generale Dalla Chiesa (ucciso il 3 settembre 1982) con la celeberrima frase: “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. Mai il celebre aforisma di Sallustio fu più citato nei secoli. La scomunica era nell’aria e nella voce, non nelle parole del porporato. E certo era nel suo cuore.
Anche lui senza usare il termine scomunica, Giovanni Paolo II, ad Agrigento, il 9 maggio 1993, aveva pronunciato uno dei suoi più memorabili discorsi, evocando sui mafiosi il severo giudizio di Dio; non aveva usato la parola, ma tutti ne ebbero la certezza: le sue parole equivalevano a una vera condanna, anzi proprio alla scomunica della mafia come società che usa la morte per imporre la sua legge.
Ora invece la parola fatale è stata detta, e a dirla è stato nientemeno che il mite, ma quanto risoluto papa Francesco: “Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione. La “ndrangheta è adorazione del male, i mafiosi non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”.
Di quale scomunica si tratta? Di che tipo? Perché forse non tutti sanno che le scomuniche non sono tutte uguali, ma si distinguono in due tipi: quelle che scattano per il solo fatto d’aver commesso un peccato per il quale la scomunica è prevista automaticamente; e quelle che per divenire effettive hanno bisogno d’un atto ufficiale dell’autorità competente, dopo adeguata valutazione dei fatti. I due tipi hanno ciascuno il suo nome: latae sententiae (letteralmente: sentenza già pronunciata una volta per tutte) la prima, e ferendae sententiae (sentenza da pronunciare) la seconda e si ha quando si tratta di casi particolari che vanno denunciati, provati e sentenziati. È del tutto evidente che i casi più frequenti rientrano nel primo tipo.
A quale dei due tipi di scomunica si riferisce il papa? Evidentemente al primo, anche se, l’affiliazione alla mafia non sembra figurare nel codice di diritto canonico come causa di scomunica (ma poiché io non sono un canonista, invito tutti a prendere le mie parole giusto con le molle).
Così sembra ragionare Francesco: l’attività mafiosa è attività criminale per sé stessa: delittuosa, avida, feroce, sanguinaria, aperta a tutti i campi del malaffare, dalla droga, alla violenza, dal riciclaggio di denaro sporco all’estorsione ecc… e già il farne parte introduce in una spirale di delitti che non lascerà scampo all’incauto che si sarà lasciato adescare: vessazione, intimidazione, minacce, estorsione, corruzione, violenza fisica fino all’omicidio e alla strage, tutto questo è messo preventivamente nel conto dell’aspirante mafioso; e una volta entrato nell’ingranaggio non ne potrà più uscire se non con gravissimo pericolo per la propria vita. Perché chi sgarra è un uomo morto.
Inevitabile che la severissima condanna di papa Francesco producesse il grande scalpore che in realtà ha provocato. Neppure papa Giovanni Paolo II era arrivato alla scomunica, pur con tutta la terribilità del suo attacco.
Convinta e appassionata la condivisione del giudizio del papa italoargentino da parte di tutta la stampa e dell’opinione pubblica in Italia e nel mondo. Più caute, comprensibilmente, le dichiarazioni del vescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini, Presidente della Commissione per i problemi sociali, del lavoro, della giustizia e della pace della CEI il quale, di fronte all’ammutinamento dei portatori della statua della Madonna che davanti alla casa del boss mafioso Giuseppe Mazzagatti hanno voluto prodursi in un inchino della statua al ben noto padrino, ha voluto dare un’ indicazione di grande coraggio: si sopprimano per dieci anni i padrini di battesimi e cresime per poi rivedere la cosa in termini completamente nuovi.
All’episodio si collega un’altra proposta coraggiosa: quella del vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, Francesco Milito, il quale avanza un’altra proposta: fermiamo le processioni a tempo indeterminato. Lo scopo è chiaro: c’è bisogno d’un tempo di riflessione allo scopo di vedere più chiaramente in che direzione muoversi per evitare che certi fatti si ripetano.
C’è stata anche un’altra reazione, di segno opposto stavolta, e che ha per protagonisti proprio i mafiosi. Parlo di quelli detenuti nel carcere di Larino, i quali di fronte alla scomunica con relativo allontanamento dall’eucaristia, hanno fatto sapere che loro, senza la comunione, a messa non andranno. Quindi, scomunica o non scomunica, o avranno la comunione o diserteranno anche la messa.
Ha cercato di comporre la vertenza il vescovo Gianfranco De Luca, cercando di affrontare la delicata questione nel modo più irenico possibile.
Purtroppo, come spesso succede, quando si cerca un compromesso, qualche mossa sbagliata può scapparci. Gli argomenti del vescovo erano i soliti: non conviene disertare la messa domenicale, perché la messa ha valore sempre, anche se non si può fare la comunione: si prega, si ascolta la parola di Dio, ci si incontra con i fratelli, insomma è tempo speso bene comunque.
Un ritornello che si sente in bocca a cardinali, vescovi e preti indifferentemente. Ogni volta che si parla agli esclusi dalla comunione eucaristica a causa di qualche irregolarità matrimoniale (divorziati risposati, coppie di fatto, coppie omosessuali…). Lo si dice come fosse una verità sacrosanta e invece… È come se io invitassi un amico alle mie nozze e lui mi dicesse di no, non vengo perché non ho un vestito adeguato. E io, per metterlo a suo agio gli dicessi: “non ti preoccupare del vestito, vieni pure, tengo molto alla tua presenza: vedrai, starai bene, ti divertirai, ti sederai a tavola con noi, vedrai tanta bella gente, sentirai bella musica e potrai anche ballare. Ti mancherà solo una cosa: non ti sarà dato niente né da mangiare né da bere. Che vuoi che sia? Si mangia e si beve tutti giorni! Se una volta lo salti che succede? Surreale? Eppure è quello che diciamo a tanti nostri fratelli tutti i giorni.
Ma torniamo al nostro problema. Che il guanto di sfida lanciato dalla mafia alla Chiesa di Papa Francesco a Oppido Mamertino sia stato raccolto dalla Chiesa è ormai una certezza. Concetto riassumibile in tre parole contenute in tre fatti: la proposta di abolire per almeno dieci anni la presenza dei padrini di battesimo e di cresima per impedire che fra loro si nascondano dei padrini di mafia; sospendere tutte le processioni a tempo indeterminato per impedire che i mafiosi vi giuochino ruoli di rappresentanza; i preti di Oppido non hanno avuto il coraggio dei carabinieri nel lasciare la processione dopo l’inchino. Urgono preti-coraggio. Vi par poco?
Sì, la sfida è lanciata. Sarà dura per la Chiesa interpretare una nuova parte rispetto al passato, perché le mafie non mettevano solo paura, davano anche sicurezza; in passato non di rado le chiese hanno prosperato sulle fortune della mafia. Se la Chiesa accetterà davvero la sfida, sarà davvero guerra. Quelli non si tirano mai indietro. Chiesa, attent’ a tia!, ti grideranno i mafiosi. Possa la Chiesa rispondere: non ci fate paura!

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