E il teologo disse: voglio decidere da solo


Hans Küng colpisce ancora.
E questa volta il colpo è molto duro, perché tocca uno dei gangli nervosi fra i più dolorosi per il magistero della Chiesa: la sacralità della vita, espressione con cui si intende normalmente che la vita, quando è già in atto, non va mai minacciata, in nessuna occasione e per nessuna ragione. La vita è vita e basta. Va sempre accettata, difesa, migliorata finché è possibile, rispettata fino a che non si spegnerà da sola.
Orbene, è proprio su questo punto che verte l’ultima esternazione pubblica di Küng, il quale rivendica a sé il diritto di scegliere quando e come porre fine alla sua vita, se questa dovesse un giorno trasformarsi in una sorta di camera di tortura. Bastava molto meno per attirare gli strali dei più ligi ai dettami della morale cristiana tradizionale.
Qualcuno si chiederà: ma perché e per chi parlano uomini come Hans Küng? A chi e a che cosa rispondono con il loro comportamento provocatorio, quasi ci prendessero gusto a toglierci le uniche sicurezze che ancora ci restano? Tutta gente con la sindrome del rompiscatole, o del narcisismo, o saranno proprio loro le prime vittime delle loro inquietudini; non di rado della loro stessa rovina? Già, perché per un Küng che ha incassato milioni di euro con i suoi libri, le sue lezioni, le sue conferenze in tutto il mondo, ci sono migliaia di altri miniküng che per la fedeltà alla loro missione di galli rompiscatole finiscono dritti nel tegame dei padroni.
Ecco questo è il vero problema: parlano a nome proprio o credono davvero di parlare a nome di Dio? Perché è certo che fra loro ci sono di quelli che si credono davvero raggiunti dalla parola di Dio che dice loro, come al profeta Ezechiele: tu va e annuncia quello che io ti dirò. Se ti ascolteranno e faranno ciò che tu comandi, loro saranno salvi e tu ti salverai con loro. Se poi non ti ascolteranno e continueranno a dormire e verrà il nemico che ne farà strage, loro periranno, ma tu sarai salvo, perché hai fatto quello che io ti ho comandato.
Perché è questa la maledizione del profeta: di dover dire quello che nessuno vuol sentirsi dire, d’essere lui a spezzare il sottile ghiaccio su cui altri vorrebbero arrischiarsi per precipitare tutti nell’acqua gelata. O, per dirla con Primo Mazzolari, profeta dei nostri giorni, dobbiamo saper riconoscere l’amore della mano che spezza per noi il bicchiere che contiene il veleno al quale io vorrei dissetarmi. Ma ora una scelta delle frasi del teologo, come riportate da Tarquini su laRepubblica di mercoledì 3 u.s..

Innanzitutto il titolo: Morire felicemente?
Dal diritto alla vita non deriva affatto il dovere alla vita e l’autodeterminazione fa parte della dignità umana”.
L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere”.
Se la vita è un dono di Dio, perché non accettare la possibilità di restituire gentilmente il dono” (magari con con il dovuto ringraziamento per avercelo fatto).
È parte del mio modo di concepire la vita, ed è legata alla mia fede nella Vita Eterna, la scelta di non protrarre a tempo indeterminato la mia vita terrena”.
Se e quando giungerà il momento, io vorrei avere il diritto, se potrò ancora farlo, di decidere con la mia responsabilità sul momento e il modo della mia morte”. “È conseguenza del principio della dignità umana il principio del diritto all’autodeterminazione, anche per l’ultima tappa, la morte”.
Dal diritto alla vita non deriva in nessun caso il dovere della vita”.
L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere”.
Anche in questo tema non dovrebbe regnare alcuna eteronomia, bensì l’autonomia della persona, che per i credenti ha il suo fondamento nella teonomia” (= decisione ispirata alla volontà divina).
Hans Küng ci ricorda che nei primi secoli della Chiesa, ci fu chi, davanti al pericolo di rivelare sotto tortura i nomi dei fratelli nella fede, preferirono procurarsi la morte da soli. Comportamento, questo, comune in casi di guerre, persecuzioni, che si verifica spesso in caso di guerra e persecuzione. A scuola ci parlavano di Pietro Micca come esempio di amor patrio.
Il teologo in realtà ci tiene a precisare: «Non voglio esaltare il suicidio». Resta il fatto, comunque, che egli è il primo teologo moderno a prendere posizione in favore della precisa scelta di porre termine alla propria vita di fronte al pericolo di una morte che ti spoglia di ogni dignità. Cosa poi si debba intendere con le parole dignità di vita le opinioni possono essere le più diverse, da quella piuttosto sbrigativa di Indro Montanelli: (“finché potrò andare in bagno da solo”), a quella molto più articolata e appena citata dello stesso Küng. Che poi la scelta di Küng sia certamente in linea con tutto il suo personaggio, non c’è ombra di dubbio, ma che questa scelta abbia il merito di renderci credibili interlocutori con chi vive su un’altra lunghezza d’onda, è altrettanto indubbio. Dovremo considerarla sospetta solo per questo? Certamente no.
Cosa ne penso io?
Non ho abbastanza autorità, né morale, né intellettuale, tanto meno istituzionale per salire in cattedra e impartire il mio non richiesto magistero.
Ma spero di avere abbastanza credito presso i miei lettori per poter dire cosa vorrei che fosse per me, che avvenisse di me, anche perché, alla mia età, certe cose non si possono più guardare con superiore distacco. I miei 75 anni che stanno per scoccare alla mia campana esigono che certi pensieri diventino familiari e perfino cari (sì, proprio, cari!) al mio spirito.
Ho da molti anni (posso dirlo?) gioiosa familiarità con questi pensieri. 75 anni sono tanti, comunque vada, non potrei più infilzare molte perle alla collana della mia vita. Gioie non mi sono state negate, per le quali ringrazio di cuore il buon Dio; non mi sono mancate neppure prove fisiche pesanti, anche molto pesanti: due osteomieliti (18 mesi), un piede da tagliarmi poi guarito (4 anni e mezzo), un trapianto di fegato (65 anni). Ma non mi sono mancati amicizie vere, amore, rispetto; una parrocchia che mi ha dato tutto e tolto qualcosa (come è giusto); qualcosa ho potuto vedere anche del grande e bellissimo mondo sul quale viviamo. Certo molti hanno avuto molto di più, ma a miliardi hanno avuto molto meno di me. In conclusione un bilancio in attivo, un po’ meno forse che col mio Signore, ma da lui so che mi posso aspettare più misericordia che giustizia. Del resto lo dice anche papa Francesco: la misericordia ha sempre la meglio sulla giustizia.
Ora io so solo che qualcosa mi resta ancora da vivere, spero non moltissimo, ma sia pure come Lui vuole; ho un solo desiderio sfruttare al massimo e al meglio questo tempo che mi resta. In proposito io ho fatto mio il motto di Dag Hammarskjold, morto in un incidente (attentato?) aereo nel 1961: «Per tutto il passato grazie; per tutto il futuro sì!».
Tutto questo lo condisco con una preghiera: Fammi vivere bene la mia morte. Intendendo dire con questo: fa che io possa capire tutto, accettare tutto, pregare sempre finché non si spegnerà il cervello e non si chiuderanno per sempre occhi e bocca. Poi che io sia sempre con te, nell’eternità. Possibilmente subito. Perché presso di Te, “tutto è grazia”.
Quanto a un mio possibile testamento di buna morte avrei quattro voci da elencare:

  1. Mai nessuna alimentazione forzata, se non c’è più speranza di ripresa;
  2. Non lasciarmi in balia di un dolore intollerabile che potrebbe privami della grazia della preghiera;
  3. Che nessuno si contamini la coscienza abbreviando col veleno la mia passione;
  4. Che nessuno si accanisca per farmi vegetare un solo giorno di più.

Quod scripsi, scripsi.