Credo: dunque sono


Questo articolo è la risposta a un Lettore che esordisce così:
“Carissimo don Antonio: leggo da sempre con crescente interesse i suoi articoli domenicali pubblicati sul Giornale dell’Umbria”.
Spero che il gentile Lettore, che è la prima volta che mi scrive, non se ne avrà a male se colgo l’occasione, molto stimolante in verità, per estendere a tutti i miei Lettori le riflessioni che il suo scritto ha suscitato in me. Tanto più che egli ha scoperto subito le sue carte in questa partita a poker. Così ho deciso di stare al suo gioco e di scoprire le mie.
“Le dico subito che io non ho il dono della fede. Sono ateo. Ma nonostante questo mi sento profondamente cristiano. Potrei andare in guerra per difendere il cristianesimo”.
Questa frase mi ha reso felice. Essa è esattamente ciò che scrivevo mesi fa in un mio articolo dal titolo “Eugenio Scalfari mio fratello post-cattolico”: «Scalfari si pone qui come una delle tante pietre miliari che costellano la storia del cristianesimo, o forse del metacristianesimo: è il segno che un’era nuova sta iniziando: l’era di un cristianesimo che chiamerei appunto post-cattolico; un’era che accanto al cristiano che crede in Gesù Cristo e nel suo Dio, contempla anche la presenza d’un cristianesimo ateo innamorato di Gesù di Nazaret, del Gesù uomo, integralmente totalmente uomo». Uomo come nuovo tipo di umanità che del Vangelo di Gesù di Nazaret accetta tutto ciò che gli permette di andare oltre l’uomo lupo per l’uomo (Plauto, Hobbes), oltre l’uomo a una dimensione (H. Marcuse), oltre l’uomo oeconomicus (di Wall Street), oltre l’homo ludens et epulans alla Trimalcione”. Fra noi, dunque, caro Lettore, non c’è un abisso. Io concordo con Francesco quando dice a Scalfari: «Dio non è cattolico ma universale» (strana tautologia, no?), e ancora: «Dio è di tutti e ciascuno lo legge a suo modo”.
Il mio Lettore continua: “Sono un divoratore di libri sin dalla mia fanciullezza. Ho letto di tutto: i grandi scrittori del passato, italiani e stranieri, i grandi russi dell’Ottocento, i classici latini ecc… Tutte queste letture mi hanno portato alla convinzione che Dio non esiste. Del resto basta guardare come è programmata ogni forma di vita, vegetale o animale che sia. Due sole priorità: mangiare per vivere, e vivere per propagare la specie”. Chiarissimo, anche se l’uomo ne esce un po’ male.
Infine parlando di me dice: “È chiaro che lei è uomo di grande cultura” e questo lo spinge a chiedermi: “Ma Lei crede veramente che Dio esista? Magari quello della Bibbia: permaloso, crudele, vendicativo, partigiano. Oppure quello del Vangelo tutto pace e perdono?”. Tradotto: ma come può, uno come lei, credere a simili favole?
Qui, secondo me, sta l’errore: innumerevoli grandissimi nomi della grande cultura occidentale hanno professato e tuttora professano la loro fede in Dio. E quanti grandi uomini, abbandonata la loro fede, han finito col credere ad altri miti, ad altre favole?
Qui il mio Lettore azzarda un’interessante analisi del mio subpensiero. Scrive infatti: “Mi creda: leggendo i suoi scritti, traspare…sotto sotto… non so, uno scoramento… un pessimismo… uno sbigottimento…nei confronti delle cose del mondo… quasi voglia dire, come Primo Levi nel libro Se questo è un uomo: – Ma se Dio esiste, perché permette tutto questo?–. Non pensa lei che dopo morti torneremo ad essere quello che eravamo prima di nascere, cioè niente?».
No, non lo credo. Semmai torneremo a essere pura energia. Del mio corpo sarà così senz’altro. Ma cosa sarà del mio IO, io non lo so. Io spero che, oltre la morte, ci sia un’altra vita, migliore di questa, Ma posso sperarlo solo perché credo in Gesù di Nazaret.
A cosa è servita fin qui la mia fede? A risparmiarmi la disperazione che invece divorò un altro “divoratore di libri”, ancor più vorace di Lei, lo sfortunato Giacomo Leopardi, mia grande passione di gioventù, che con «sette anni di studio matto e disperatissimo» riuscì a perdere salute, gioventù e fede. Il risultato? Lascio a lui la parola: 1. È funesto a chi nasce il dì natale; 2. A me la vita è male; 3. La morte? abisso orrido, immenso nel quale chi vi precipita, il tutto oblia (Canto notturno d’un pastore errante dell’Asia).
Beato chi non è nato, si diceva una volta, dalle nostre parti e ciò, secondo Leopardi, vale per tutti, che tu sia nato uomo o animale (entro covile o cuna); per questo appena tu nasci subito chi ti sta attorno «prende a consolarti d’essere nato”.
Quanto a me, credo di dover rendere questa testimonianza: se non avessi la mia fede, il mondo mi farebbe semplicemente schifo. E ogni giorno di più! Chi mi scrive adduce, a sostegno della sua mancanza di fede, il fatto che in natura esistono “due sole priorità: mangiare per vivere, e vivere per propagare la specie”. Sacrosanto. Tutti vivono lottando per la vita, a qualcuno riesce, ai più va male. Così per gli animali e perfino per i vegetali. Così per gli ominidi prima e per gli umani poi. Dovremmo essere contenti di rientrare fra quelli che ce l’han fatta? Beh, io no Se mi sapessi figlio del Caso, lo rinnegherei come genitore e gli restituirei immediatamente il suo dono. Anzi sarei ben lieto se la mia carne disfatta potesse tornare da subito a nutrire altri infelici e altre illusioni, purché io ne sia liberato. In ogni caso mi rifiuterei di continuare a far parte o dei lupi di Plauto, o dei paperoni di Wall Stret, o degli unidimensionali di Marcuse, o dei trimalcioni di Petronio.
È solo questa la ragione e la causa di quello che il mio Lettore chiama il mio struggimento: è la coscienza di sapermi membro dell’unica specie animale che ha motivo di vergognarsi di sé stessa. Feroci le tigri e i leoni che ammazzano solo per fame o per difesa? Noi siamo gli unici animali che sanno godere e divertirsi col dolore degli altri. Perché allora Dio non ci mette una mano, si chiede il mio lettore. E perché dovrebbe? Ci ha dato l’immenso dono della libertà e Lui la rispetta. Ne siamo così gelosi, che non ci farà mai questo torto. Siamo tutti bambini viziati: prima compiamo danni, poi ci lamentiamo che non viene la mamma a tirarcene fuori. Dio ha fatto quel che ha potuto: ci ha donato suo Figlio e noi l’abbiamo subito rispedito al mittente. Abbiamo costruito un mondo fondato sull’ingiustizia (G. Bernanos), e guai a toccarcelo!
Chi mi legge avrà certo capito che “io non credo nell’uomo”. Il solo dirlo è gigantesca stupidità! Chiedetelo ai decapitati dell’Isis, alle giovanissime donne rapite per farne schiave sessuali, ai naufraghi del Mare nostro che nessuno vuole, alle centinaia di migliaia di vittime degli Assad padre e figlio, o alle decine di teste umane trovate nei frigoriferi di Idi Amin Dada, passandfo naturalmente per Ausschwitz e per la Siberia.
Che se qualcuno mi dicesse “vedrai alla fine l’uomo ce la farà”, risponderei “E a chi non ce l’ha fatta, sai che consolazione!”.
Ma per fortuna ho Gesù di Nazaret. È a Lui che ho creduto, perché senza di lui non sopporterei mai d’essere uomo. Lei magari mi chiede: “e se fosse solo illusione?”. Risponderei: “meglio vivere di illusioni che di disperazione”. Del resto siamo alla pari: Lei scommette (senza poterlo provare) che Dio non esiste. Io scommetto (senza poterlo provare) che Dio esiste. Anzi sarò franco: per me, credere in Dio è sperare con assoluta fiducia che Dio esista. Non è così ogni volta che uno s’innamora? Si può solo sperare d’aver trovato la persona giusta. Per sapere se è così, ti devi buttare. Comunque vada , “è così dolce sperare!” (Carmen, atto II).
L’amore infatti non è mai certezza. Sua essenza è la fiducia. Una catena di tre anelli chiusi a braccialetto: non c’è amore senza fiducia; né fiducia senza speranza; né speranza senza amore. Questo è, per me, credere in Dio.

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