Cose nuove e cose antiche: tutto è grazia!


In un vecchio registro del 1956, conservato nel modesto archivio della mia parrocchia di Casalina, ho trovato, certamente lasciatovi dal mio predecessore don Egisto Baroni, un foglio dattiloscritto dal titolo accattivante: “DOPO LE ELEZIONI”. La data è quella del 29 Maggio 1956.
Due scritte a mano, non certo dell’autore, riportano le parole MESSAGGIO (che precede il titolo) e PIETRO PARENTE ARCIVESCOVO che segue, a mo’di firma, la data.
È dunque lecito pensare che il testo posto fra l’intestazione e la firma sia un testo da attribuire a mons. Pietro Parente, teologo di scuola romana (aveva studiato e insegnato all’Ateneo Lateranense) ed era noto internazionalmente come uno dei più autorevoli rappresentanti della scuola neoscolastica romana. La sua autorevolezza era accresciuta dalla sua qualifica di consultore della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, testa d’ariete dell’ ortodossia romano-cattolica, molto più temuta che amata dagli addetti ai lavori.
Parente fu eletto arcivescovo di Perugia il 15 settembre 1955 e vi rimase fino a 1959, quando fu richiamato a Roma come assessore della stessa Congregazione del sant’Uffizio (oggi Congregazione per la dottrina della fede: Paolo VI, 1965).
Parente era noto al tempo del suo arrivo a Perugia come una delle punte di diamante della teologia romana contro le spinte rinnovatrici del pensiero teologico “transalpino” (Francia, Germania, Belgio, Olanda ecc.), fama che si era conquistato per il suo severo giudizio sull’Osservatore Romano di un piccolo libro di M.D. Chenu messo all’Indice dei libri proibiti, nel quale il famoso teologo dei preti operai aveva parlato del rinnovamento nell’insegnamento della teologia come praticato nella celebre scuola domenicana del Saulchoir (Parigi). Parente vedeva in essa una “nouvelle théologie”, termine che sarebbe diventato sinonimo di pericolosa apertura alle istanze del pensiero laico contemporaneo.
Erano quelli i tempi in cui i De Lubac, i Guitton, i Casel, ecc. non avevano vita facile; l’occhiutissimo Sant’Uffizio non era certo disposto a passar sopra alle effervescenze teologiche dei suoi migliori spiriti.
Lo stesso Mons. Parente, uomo sicuramente intelligente, onesto ed evidentemente attento ai segni dei tempi, fece in tempo a cambiare indirizzo: con grande sorpresa dei suoi colleghi romani, nel 1964 si dichiarò a favore della collegialità episcopale nella Chiesa, lui!, un consultore della Congregazione del Sant’Uffizio, vicinissimo al card. Ottaviani, indiscusso campione, quest’ultimo, del centralismo e del conservatorismo romano. Ma fra il ’56 e il ’64 di acqua ne era passata sotto Ponte sant’Angelo e Ponte Vittorio e anche Parente aveva fatto in tempo a cambiare qualcosa del suo pensiero. E molta più acqua è ancora passata dal 1964 ai giorni di papa Francesco. Perché neanche a Roma lo Spirito Santo dorme mai troppo a lungo.
Ma è tempo ora di proporre ai lettori il testo di cui ho fatto cenno al principio. Eccolo dunque.

Messaggio (scritto a mano)

DOPO LE ELEZIONI

Riflettendo sul risultato delle ultime votazioni ho motivi di gioia e di dolore insieme: di gioia per quei paesi in cui i fedeli, coscienti del loro dovere, hanno lottato e vinto, eleggendo degni rappresentanti e tutori della fede cristiana; di dolore invece per quei paesi in cui hanno trionfato correnti contrarie ai nostri ideali.
Un popolo che si dice e si professa cristiano, ma che manda poi al governo del paese delle persone senza fede, anzi avverse alla religione cristiana, compie un vero tradimento della fede e della Chiesa di Cristo e merita la condanna e la deplorazione da parte nostra e di ogni vero cristiano; ed è anche una inesplicabile incoerenza, tanto più grave in chi ha conosciuto Gesù Cristo ed il suo Vangelo che insegna a testimoniare coraggiosamente la fede e la verità fino al supremo sacrificio della vita!
Il falso cristiano è il peggiore nemico di Cristo e della sua religione. Noi non malediciamo, ma mentre preghiamo per il ravvedimento degli erranti, non possiamo più oltre permettere nella Chiesa di Dio questa ibrida mescolanza di Cristiani veri e di Cristiani falsi.
La discriminazione è esigenza di verità e dovere di coscienza.

Perugia, 29 Maggio 1956

(scritto a mano) Pietro Parente

Arcivescovo

Di fronte a questa prosa oggi ci può venire quasi da sorridere (o da gridare allo scandalo), riandando a quei tempi in cui la Chiesa si permetteva interventi così diretti e pesanti nei confronti di chi aveva idee e formulava giudizi diversi dai suoi sui partiti politici. Erano ancora i tempi di Pio XII e della sua scomunica agli ideologi, attivisti e perfino iscritti al PCI; i tempi di Gedda e dei suoi comitati civici; i tempi della guerra fredda; i tempi in cui certi parroci negavano l’assoluzione a chi aveva votato PCI. E neppure era ancora venuto quell’ ”uomo chiamato Giovanni”, il XXIII di questo nome. E non c’era ancora stato il Concilio.
Ma i segni premonitori di profondi cambiamenti si cominciavano già a manifestare. Quello stesso anno (1956) il brillante giovane dc Giuseppe Dossetti avrebbe espresso al cardinal Lercaro la sua intenzione di farsi prete e di darsi a una vita più contemplativa (anche se la cosa si realizzò solo nel ‘58); sempre nel 1956 si sarebbero aperte quelle voragini che avrebbero dilaniato il mondo comunista internazionale con i moti di Budapest (Ungheria) e di Poznan (Polonia) che avrebbero permesso di capire, agli occhi che sanno vedere, che cos’era veramente quel tanto vagheggiato comunismo reale.
A decine, a centinaia di migliaia di uomini di buona volontà e di coscienza pura, dettero l’addio a quella parte e a quella fede politica di cui avevano costatato il tralignamento.
Anche nella Chiesa cominciavano a manifestarsi segni non dubbi d’insofferenza e di bisogno di cambiamenti profondi. Furono gli anni preparatori e poi dello svolgimento e poi della messa in atto del Concilio a compiere il prodigio di ciò che sarebbe stato follia immaginare solo dieci anni prima. Io ho potuto essere lì proprio grazie a Mons. Pietro Parente al quale avevo manifestato la mia aspirazione a recarmi a Roma per studiare teologia, ed egli, con mia grande meraviglia aveva subito detto sì. In quel clima conciliare io crebbi e mi formai, lì appresi ad amare il rischio del cambiamento e ad apprezzare il valore dei mutamenti sapienti e prudenti.
Proprio nell’aula conciliare appresi il valore del porsi “in ascolto delle voci di fuori”, ascoltandole come voci che Dio ci manda perché impariamo a comprenderle e ad amarle, in modo da sapere e poter rispondere loro.
E come io debbo essere grato a mons. Pietro Parente per avermi mandato a studiare a Roma, così ora gli sono grato per questa ulteriore insegnamento che mi da con questo suo Messaggio. Già perché, se preso a sé quel messaggio non fu certo un miracolo di saggezza o di profezia, alla luce di quel che è accaduto poi può essere un messaggio che ci trasmette un consiglio prezioso: non consideratevi mai arrivati, avrete sempre qualcosa da apprendere. Nel 1976 non avrei certo scritto lo stesso messaggio che avevo scritto nel 1956. Ci sarebbe stato un concilio di mezzo. E il Parente di dopo, non sarebbe più stato il Parente di prima. Avrei avuto il Concilio alle spalle, come l’avete voi. Nel 1956 c’era Pio XII. Voi avete Francesco. Se vi par poco!