Il francescanesimo bianco di papa Francesco


E se ci chiamassimo tutti Francesco? E se ci vestissimo tutti di bianco? E se dessimo vita a un movimento che avesse, per nonno, Francesco d’Assisi e, per padre, Francesco vescovo di Roma? E se noi ci dicessimo tutti francescani, (né neri come i conventuali, né marroni come i minori e i cappuccini), ma tutti rigorosamente bianchi? Francescani bianchi appunto: bianchi come si veste lui, per distinguerci pur nella contiguità. Perché tra il primo Francesco e il secondo la differenza è grande; e se il primo rimane il modello impareggiabile, il numero zero, il prototipo fuori commercio, irripetibile e irriproducibile, il secondo è quello che l’umanizza, quello che lo rende accessibile, abbordabile, che lo rende avvicinabile da tutti e lo mette alla portata di tutti.
Perché talmente grande fu Francesco d’Assisi, che non aspettarono neppure la sua morte per metterlo da parte perché rimanesse un’icona per sempre. Il potere è un’altra cosa e va messo in altre mani, quelle di frate Elia per esempio, o quelle di Bonaventura di Bagnoreggio. Bisogna riconoscerlo: Francesco era vissuto troppo a lungo, 41 anni, non molti ma troppi. A Gesù erano bastati solo 33. Tutti e due ebbero bisogno di chi traducesse nei canoni di una Regula la suprema libertà dello Spirito Santo.
Perché la sua regula, non era di quelle che potevano piacere a tutti e dovette rimetterci le mani più di una volta prima che a Roma gliene approvassero una. E quando questo finalmente avvenne, Francesco era già troppo malandato e stanco per poter continuare a resistere e a lottare. E lasciandosi andare con fiducia alla volontà di Dio rimise tutto il potere in mano a gente più esperta di lui nelle cose del mondo. E a lui, che non volle avere neppure una pietra dove posare il capo, proprio come il suo Maestro, seppero costruire a tempo di record un monumento funebre degno d’un Faraone d’Egitto o d’un Imperatore romano.
Anche in questo egli fu simile al suo Maestro: non come lui vivranno i suoi discepoli ma come altri decideranno dopo di lui. Come Gesù, infatti, anche Francesco, subito dopo la sua morte vide moltiplicarsi movimenti e tendenze in profondo contrasto tra loro e tutti nel nome dello stesso Francesco d’Assisi: proprio come Gesù, anche lui dovette rinunciare a qualcosa della purezza dell’ispirazione e dell’eroismo della prima ora. Un dazio pesante che quasi tutti i Fondatori devono essere disposti a pagare.
Perché non può esserci dubbio: il Francesco Papa rimarrà nella storia della Chiesa come Gregorio il Grande, come Gregorio VII, come Pio V (ma più di quest’ultimo fu importante il Concilio di Trento, di cui fu il vero attuatore): tutti spartiacque decisivi sui crinali vertiginosi della storia: dopo il crollo di Roma e del suo impero in Occidente il primo; all’alba del nuovo Millennio e dopo la terribile crisi del secolo di ferro della Chiesa (sec.X) il secondo; all’alba del nuovo evo, l’età della Riforma e della scoperta del Nuovo Mondo, della scienza nuova e della nuova filosofia, delle dichiarazioni sui diritti dell’uomo e delle grandi dittature, dei Premi Nobel per la Pace e della Shoa, il terzo. E ora, proprio all’inizio del terzo Millennio, colui che sarà il profeta del nuovo cristianesimo, quello del francescanesimo bianco, papa Francesco appunto: un Francesco imitabile, questo, umano proprio perché imitabile, che ti attira proprio perché è in tutto come te e tu capisci che potresti benissimo essere come lui è, solo che tu lo volessi.
È proprio questa umanità di Francesco che colpisce nel ritratto che se ne ricava dalla sua lunga intervista riferitaci da Eugenio Scalfari sulle pagine di laRepubblica di martedì 1 ottobre: un uomo, un vero uomo, un uomo a tutto tondo, anche in certe sue debolezze candidamente riconosciute e confessate.
Rispetto a lui, l’altro Francesco, quello d’Assisi, ti appare sideralmente lontano: chi potrebbe mangiare quello e quanto mangiava lui? Vestire come vestiva lui? Dormire dove e come dormiva lui? Nessuno, nemmeno i suoi, hanno mai avuto il coraggio di imitarlo davvero, tranne i santi che hanno saputo trovare la forza di ripercorrere passo passo le sue vie, seguendone gli esempi, condividendo con lui la fame e il freddo, la nudità e la stanchezza, la povertà e le umiliazioni.
Papa Francesco lo senti subito dalla nostra parte: veste (più o meno) come noi, mangia come noi, dorme come noi, ride come noi, gli piace il calcio come a molti di noi, e si commuove e si indigna come noi (almeno lo dice anche se non si fa mai vedere arrabbiato…). Allora ci sentiamo inclini a prendere sul serio tutto quello che lui dice, perché è uno come noi e se lui è come noi, perché noi non potremo essere come lui?
Mentre voi leggerete queste righe, io starò celebrando con lui la Messa in piazza san Francesco, ad Assisi. È un bel dono che il Signore mi fa, tanto più grande in quanto io non l’avevo né sperato né tanto meno richiesto. Un amico, saputolo, mi ha scritto: «Io credo che la tua partecipazione alla messa di Francesco ad Assisi sia un segno del Padre che riconosce quanto tu hai sofferto per amore dell’autentica Chiesa, autenticità che Francesco sta fortemente riproponendo ai vertici come anche a tutti gli uomini di buona volontà. Forse il Signore ha voluto prolungare la tua vita perché tu vedessi riconosciute e anche attuate le tue buone ragioni che sono le ragioni del Vangelo. Sono molto contento di questo che mi dici e gioisco con te!».
Queste parole mi hanno confortato non poco.

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