Il ciclone Francesco tra entusiasmo e paura


E dopo la pesante borsa nera, in mano a un uomo non più giovane, vestito di bianco, che sale a fatica la scaletta d’un aereo, mai comoda per nessuno che non sia un atleta (e Francesco non è un atleta), appoggiandosi al passamano e con la schiena vistosamente ricurva nella fatica del salire e del portare quella borsa pesante, piena certo non solo d’aria fritta (tanto per fare scena), ma di carte da consultare o da leggere, il mondo intero l’ha potuto vedere bloccato e assediato dai fedeli che correvano dietro davanti e intorno alla sua macchina obbligandola a fermarsi per stringere mani, per abbracciare bambini, per fare carezze sulle teste e dare benedizioni a centinaia, senza mai stancarsi di lanciare saluti, sbracciandosi a destra e a sinistra senza sosta, in un gioco per lui divertentissimo, faticosissimo per ogni altro che non fosse lui su quella “misera” fiat Idea bianca sulla quale s’era “fiondato”, probabilmente di sua iniziativa forse per sottrarsi a una macchina ben più “degna” del successore di Pietro, d’un Capo di Stato, del Capo supremo della più diffusa religione del mondo: lui, quell’uomo vestito di bianco che il mondo stava imparando ha guardare ormai con rassegnata disperazione: una specie di monarca che non conta niente, che costa molto, ma che dobbiamo mantenere perché fa spettacolo e fa parte d’un copione che ha bisogno d’essere immutabile per funzionare; che anche se non se lo fila più nessuno finché c’è lo devi prendere com’è, come la Regina d’Inghilterra o l’Imperatore del Giappone.
Ma proprio qui è la sorpresa: che quando tutti vedevano finalmente vicina la sua fine, eccoti apparire quest’uomo, rigorosamente vestito di bianco con la variante delle grosse scarpe nere ai piedi, che invece di piangere sulla tristezza delle umane sorti, si diverte come un bambino a sbalordire il mondo con le sue pirotecniche inesauribili “invenzioni”: un uomo di 76 anni che avrebbe già dovuto da più d’un anno avere smesso di fare il vescovo, e si ritrova invece a fare il papa e lo fa divertendosi un mondo, tanto che ti vien da chiederti che è mai questa storia delle dimissioni dei vescovi a 75 anni, se pare che i papi non te li sappiano eleggere se non a 75 anni finiti, come Giovanni Paolo I (76), Benedetto XVI (78), e ora questo Francesco (76 anche lui), tanto per mantenere in essere la prassi.
Ora: non è mica strano che chi non ha più l’età per guidare una diocesi, possa invece essere ritenuto capace di cominciare a guidare la Chiesa universale “diffusa per l’universo mondo”? Misteri della fede dirà qualcuno; prodigi dello Spirito Santo professerà qualcun altro; poi magari pensi che Benedetto non ce l’ha fatta a portare a termine il suo mandato e abbia preferito gettare la spugna; a riprova che le regole della natura possono valere anche per i papi! La verità è che di Giovanni Paolo II, il papa polacco solido e roccioso come le sue montagne che neppure il piombo aveva potuto abbattere e spezzare – ce ne sono ben pochi. Eppure, alla fine, anche lui fu tentato di dire basta, o magari qualcuno non gliel’ha fatto dire. La vecchia bandiera di guerra è tanto più sacra e ha tanto più valore quanto più è lacera e strapazzata.
Ma poi si dà anche il caso che le due più grandi rivoluzioni dei tempi moderni le han fatte proprio Giovanni XXIII indicendo il concilio e Benedetto XVI con le sue dimissioni, due pietre miliari nella storia futura del papato. Ebbene tutt’e due avevano 78 anni quando furono eletti, a riprova che lo Spirito soffia dove vuole e che lui non deve andare a scuola da nessun teologo e da nessun canonista per farsi spiegare come deve muoversi.
Così ecco ora Francesco che scorrazza per la capitale mondiale del samba in utilitaria, che vuole confondersi con la poverissima gente di Varginha, che vorrebbe entrare casa per casa, a bere un cafezinho, che va dove vuole lui, senza farsi imporre un’agenda preparata da altri, a base di pontificali a ripetizione, di incontri ufficiali, discorsi su discorsi uno dietro l’altro; che preferisce accarezzare e baciare le teste dei bambini che stringere le mani dei politici, abbracciare gli spastici molto più che assistere a concerti e a feste in suo onore.
Francesco: uno che all’ordine preferisce la spontaneità e l’entusiasmo, che al milione e passa di giovani che l’acclamano dice fate lio, fate casino, disturbateci, obbligateci ad ascoltarvi, a darvi retta.
Fate casino! Un’altra parola-simbolo, programmatica. Non vi accontentate mai. Rompeteci sempre. Obbligateci a convertirci. Questo è il vostro ruolo oggi nella Chiesa. Non lo dimenticate mai. Non è meraviglioso?
E infine l’ultimo punto: Francesco e i poveri. Egli li ama e ha costretto tutti a prenderne atto. Lui sa molto bene che se lui si limitasse a predicare quell’amore al mondo, tutti lo applaudirebbero per dimenticarsene subito dopo. Allora ha detto ai potenti: io non verrò da voi; se mi volete, sapete bene dove trovarmi; io sto dove sono i poveri. O lì o niente, come l’altro Francesco, quello da cui ho preso il nome, che se lo volevi trovare lo dovevi cercare o dove abitavano i lupi, o dove cantavano gli uccelli, o dove languivano i lebbrosi e morivano i poveri.
Solo allora, ci renderemo conto che noi abbiamo sempre odiato i ricchi solo perché noi siamo poveri, che abbiamo sempre maledetto le ricchezze solo perché non erano nostre, che mentre diciamo che i soldi non ci bastano mai, poi li buttiamo a decine, a centinaia, forse a migliaia nel lotto o negli altri specchietti per le allodole, nella speranza di diventare ricchi anche noi, e senza fatica: poi ci accorgiamo che gli specchietti non si rompono mai, e sullo spiedo finiscono sempre le allodole. E noi diventiamo ancora più poveri e allora torniamo a maledire la nostra sorte.
Perché la novità di Francesco sta proprio in questo: egli non promette, non predica mai una ricchezza giusta (ipocrita mestiere del politico); egli si limita a ripetere sempre di prediligere i poveri, li dichiara beati della beatitudine del Vangelo; non assicura loro la beatitudine d’una ricchezza futura, si limita a predicare e a testimoniare la letizia del sapersi accontentare del necessario, e soprattutto del sapersi fidare di Dio perché per il cristiano il superfluo non è né dovuto né dovrebbe esserci mai promesso, perché il nostro superfluo è privazione del necessario per gli altri. E allora?
Allora Francesco ha la sua ricetta da offrici: imparate a essere contenti del sufficiente, del giusto e tutto andrà molto meglio: se l’acqua rimane tutta nell’invaso, le terre a valle deperiscono e muoiono. Ce ne ha dato subito l’esempio: che me ne faccio dell’appartamento papale? Meglio un pensionato. Che me ne faccio d’una papamobile blindata? Meglio un jeepetta scoperta; che me ne faccio della guardia del corpo? A me basta il buon Pastore, nulla mi potrà mai mancare. E non sono pochi quelli che si domandano: dove vorrà arrivare?
E davanti a questa rivoluzione il mondo che fa? Guarda e allibisce, ammirato. Applaude e si commuove. «Fate casino e smuovete la Chiesa!». Buon Dio, e io che ho solo provato ad avanzare qualche problema, ma non ho mai fatto casino! Che abbia sbagliato davvero tutto?