Francesco, Francesco e ancora Francesco!


D’accordo, ditemi pure che sono ormai fissato con Francesco. Che lo sogno anche di notte. Che non so più scrivere e parlare che di lui.
Ma che altro volete che possa essere con un uomo che ogni giorno te ne combina una, ognuna più geniale dell’altra, più coraggiosa dell’altra, più straordinaria dell’altra. Guardate solo alle ultime 48 ore: due uscite una più straordinaria dell’altra: ieri, i conventi vuoti non sono per fare ricchi chi li possiede, ma par alleviare le sofferenze della carne di Cristo, che tra noi sono gli immigrati, i senza patria. Una proposta straordinaria, che andrà bene calcolata. Ma su questo tornerò forse un’altra volta.
Oggi poi qualcosa che non s’era visto mai nella chiesa: un giornalista gli scrive due “lettere” su uno dei quotidiani più diffusi e autorevoli d’Italia. Il giornale è d’ispirazione decisamente laica, con un passato attraversato da più d’un sussulto d’anticlericalismo. Oggi laRepubblica è il secondo quotidiano d’Italia per diffusione e concorre ormai alla pari col ben più antico Corriere della sera.
Il suo fondatore, Eugenio Scalfari è oggi, forse, il più autorevole giornalista d’Italia, certo colui che, tra i mostri sacri viventi meglio rappresenta la professione che fu di Luigi Albertini e di Indro Montanelli.
Scalfari, si professa “uno che non ha la fede ma neppure la cerca” e che “ritiene che l’uomo sia solo una scimmia pensante” ma che si è sempre impegnato a far sì che l’uomo “non inclini troppo verso la bestia da cui proviene”. Allo stesso modo egli crede che gli uomini non saranno mai angeli, ma anche a lui piacerebbe, come è scritto nel vangelo di Giovanni, “che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre, anche se sa che quelle che noi chiamiamo tenebre, sono soltanto l’origine animale della nostra specie”.
Ora, questo stesso uomo che non crede in Dio e neppure lo cerca perché non gli serve, dal momento che gli basta quello che egli sa di essere, si dà il caso che sia un uomo che si è sempre impegnato nella sua professione a far sì che l’uomo diventi sempre meno scimmia e sempre più cresca verso la luce, ben sapendo che “non è nostra la natura angelica, ove mai esista”.
Orbene, quest’uomo che s’è appena descritto come scimmia pensante dice d’essere “da molti anni interessato e affascinato (ieri sera, interrogato da Lilli Gruber a otto e mezzo, ha usato il termine “innamorato”) dalla predicazione di Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe ebreo della stirpe di David”. Ma si ferma qui, non sentendo affatto il bisogno di compiere il grande salto che gli farebbe dire “ Gesù è figlio di Dio”. Prima di lui lo disse, quasi con le stesse parole, il massone Giosuè Carducci, già avanti negli anni: “La divinità di Cristo non l’ammetto… Ma io, senza adorare la divinità di Cristo, mi inchino al Gran Martire umano”. Non so se Eugenio Scalfari gradirà questo accostamento: nessuna intenzione in me di accostare le diverse figure, le diverse idee e le diverse storie di queste tanto diverse icone delle molte e diverse Italie che la storia nazionale ha conosciuto. Ma su questo punto le due posizioni coincidono in pieno.
È notevole, a me pare, che Scalfari non si attribuisca mai, in queste lettere a Francesco, il termine ateo: che lo faccia per distinguersi da chi si professa campione d’un ateismo militante che mira a cancellare Dio dalla storia umana? Lo chiamano antiteismo alla Dawkins, Hitchens, Hawking….
Scalfari oggi non si prefigge affatto una guerra al nome di Dio. Di Dio egli non sente il bisogno e non invidia affatto chi dice di avere la fede, ma rispetta chi la pensa diversamente da lui: l’unica condizione per un utile incontro è che questo avvenga sui valori che si riconoscono comuni, e su fini che ci possano unire. Fu questa la formula che saldò la preziosa amicizia di Scalfari con il card. Carlo Maria Martini, che tanti stimoli preziosi ha suscitato in chi di quella relazione ha potuto cogliere i frutti attraverso i puntuali resoconti che Scalfari ne dava sulle pagine del suo giornale e nel libro che ne è seguito..
Oggi, nella sua risposta a Scalfari, Francesco raccoglie senza indugio la timida richiesta di poter continuare il suo dialogo col grande Interlocutore credente, ora nella figura dello stesso Francesco, per poter riprendere e continuare il dialogo con il Mistero, dialogo interrotto dalla morte del grande amico credente. E ieri è arrivata la risposta, che non poteva essere che positiva: “Egregio Dott. Scalfari, concludo così le mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa ( ! ) e provvisoria, ma sincera e fiduciosa all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme”. Un gesuita, dunque, sostituirà un altro gesuita, due che più diversi non potevano essere e forse neppure più uguali.
Ecco, a mio modo di vedere e d’intendere l’assoluta novità di ciò a cui stiamo assistendo: una relazione epistolare aperta (quì sta l’unicità, non certo nella relazione epistolare) fra un papa e un non credente, perché molto di quello che verrà detto fra loro verrà reso pubblico e quello che sarà detto in segreto all’orecchio, verrà predicato sui tetti (Mt 10, 27; Lc 12,3) per l’edificazione di tutti.
Da questo punto di vista ha certamente ragione chi ha fatto notare che l’enormità dell’evento mediatico non sta tanto in ciò che il papa ha scritto a Scalfari, ma nel fatto che gli abbia scritto, e nel modo (gli strumenti) usati per scrivergli: posta ordinaria, una lettera portata dal postino, come una lettera qualsiasi. E pubblicata non sull’Osservatore romano, ma su laRepubblica di cui forse qualcuno ricorderà che ormai molti anni fa un suo vaticanista, Domenico del Rio, fu escluso dal numero dei vaticanisti al seguito d’un viaggio intercontinentale di Giovanni Paolo II (non chiedetemi di quale viaggio si tratti), proprio a causa della testata sulla quale scriveva. E sarà anche difficile pensare che tutto questo sia accaduto a completa insaputa della Segreteria di Stato (o prima o dopo) e che non vi sia stato qualche sussurrato consenso. Non si pubblica con tanta leggerezza una lettera riservata d’un papa. Che poi Scalfari e il giornale siano stati felicissimi di dare pubblicità alla cosa, nessuno avrebbe potuto dubitarne. È così che io ho vinto la mia scommessa.
Mi rimane più poco spazio, per darmi un voto per le mie tre domande. A me pare d’aver azzeccato tutte le risposte. Anche sulla terza, là dove dicevo che sulle mie ragioni per giustificare una risposta che coincide in tutto con quella di Francesco, non avrei potuto mettere la mano sul fuoco. Infatti il papa dice solo che Scalfari non ha ragione quando dice che, morto l’uomo sarà morto anche Dio, perché senza l’uomo che lo crea pensandolo, Dio non avrà più chi lo faccia esistere. Come me, Francesco dice che no: Dio è un essere sufficiente a sé stesso: un’altra mente può solo conoscerlo, non dargli la vita e quando l’uomo o lo stesso universo non saranno più, Dio resterà sé stesso. Io aggiungevo solo: per esistere, Dio non avrà mai bisogno di chi lo pensi, perché Dio ha già in sé chi lo pensa. Si pensa da solo, grazie alla sua Trinità di persone. Perché la verità non è mai una frase assoluta. È sempre nella verità di una relazione. Grazie Francesco, per avercelo ricordato.