Francesco di Roma: e per la chiesa fu III millennio


Il mio articolo era pronto per essere inviato al giornale, già ieri, primo giorno dell’era di Francesco vescovo di Roma, vero inizio del terzo millennio per la Chiesa che fu di Pietro.
Ma per farmi un dispetto, il computer se l’è inghiottito. Ho dovuto riscriverlo daccapo. Spero non ci abbiate perduto.
Non sarà lo stesso articolo. Sarà del tutto nuovo. Ho passato tutta la notte a leggere su di lui, ma non di ciò che ho letto scriverò, ma di ciò ch’è venuto in mente a me.
Ho ripercorso e rivissuto ciò che avevo visto al mattino da piazza san Pietro, e sapevo ormai di non sbagliarmi: era arrivato ciò che la Chiesa aspettava, forse senza saperlo, da quasi 1700 anni, da quando con Teodosio, imperatore romano, la religione cristiana, divenuta religione di Stato, aveva potuto finalmente uscire dalla clandestinità, mostrarsi a viso aperto, puntare ad avere i suoi luoghi di culto e a farli sempre più grandi, più ricchi, più sontuosi e splendidi. I suoi paramenti si fecero preziosi, i suoi vasi sacri, prima di coccio o di vetro o di metallo vile, cominciarono a prediligere l’oro. E con l’oro comparvero anche le gemme preziose.
Le liturgie si fecero sontuose: a Roma centinaia di persone fra chierici dignitari parroci e laici di alto rango avevano, di diritto, parte e posto nelle processioni e negli spazi attorno agli altari.
Col tempo tutto questo crebbe a dismisura, fino a rappresentare veri oltraggi alla semplicità evangelica: per chi parlavano quelle sacre pagine?
La risposta era pronta: le parole di Gesù non vanno prese alla lettera: la lettera si sa, uccide; è lo spirito che vivifica. Allora si individuò nello sfarzo la vera manifestazione dello zelo per le realtà divine del culto cristiano. Quindici secoli più tardi, perfino il Santo curato d’Ars, che personalmente viveva in una casa miseranda e mangiava in tutto una patata al giorno, 8 in un’intera settimana perché la domenica, il golosone, se ne concedeva ben due (però, questi santi penitenti!). Ma era l’unica “debolezza”. Le sue vesti scolorite erano tutte un rattoppo, ma per la sua chiesa e per il suo altare voleva i paramenti più preziosi e i vasi sacri più belli. Se questo avveniva ad Ars, figurarsi a Roma, e non a Roma soltanto, ma dovunque ci fosse un re, un principe , un duca, un barone, un vassallo… o una confraternita, o un ricco borghese. I patrimoni ecclesiastici erano secondi solo a quelli dei re, tanto che non di rado proprio per il dominio di quelle terre si combatterono autentiche crociate e guerre rovinose fra Chiesa e Stato, fra Chiesa e Signori vari. Chi più povero e più innamorato di Madonna Povertà del giullare di Dio Francesco d’Assisi? Eppure fra i suoi innumerevoli figli, pochi gli somigliarono veramente. Non era ancora morto il loro padre Francesco, che già l’avevano eretto a icona, dispensandolo dalle odiose e noiosissime incombenze secolari, provvedendo da soli al disbriugo delle più secolari incombenze. E mentre lui non voleva che i frati dormissero in conventi di loro proprietà, essi ne avevano già parecchi sparsi per il mondo.
Non è un atto d’accusa ai francescani, è una semplice presa d’atto di come sono (quasi) sempre andate le cose nella Chiesa: lo stesso fu per Cluny, lo stesso per le grandi certose, per i potenti ordini religiosi che in ogni tempo presero a fiorire ricevendo donazioni che poi seppero portare i loro frutti, non sempre in benedizione.
Non fu così solo per i religiosi: le diocesi poterono assursero al rango di vere potenze economiche: i latifondi ecclesiasti facevano concorrenza a quelli dei sovrani.
La stessa basilica di San Pietro, fu all’origine dell’immane tragedia della Riforma protestante, e i tesori dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme e del Sovrano Ordine di Malta non possono certo essere indicati a campioni di povertà evangelica.
Ma perché proprio oggi ricordare tutto questo?
Ma è chiaro, perché se no non si capirebbe niente di ciò che sta avvenendo nella Chiesa in questi ultimi otto giorni, e dell’emozione che ha conquistato tutti i figli, anche i più assuefatti e distratti della Chiesa.
Perché quello che sta accadendo è davvero la fine del mondo: ieri sera, per esempio, andando a benedir le famiglie come si è soliti fare par pasqua), tutti a domandarmi: “che ne dice, che le pare, che pensa di papa Francesco?”. E io a dire a tutti che mi piace molto, e loro tutti a dirmi che a loro fa lo stesso effetto, e giù a ricordarmi il bacio al portatore di handicap, chi la papa mobile finalmente scoperta, chi la sua semplicità e le uscite fra la gente in strada e tutti a scommettere che questo è solo l’inizio e che ce ne farà vedere delle belle.
«Speriamo solo che non gli facciano fare la fine di papa Luciani». Questa frase, dettami da un mio parrocchiano, mi ha gelato. Che possano davvero pensare che queste cose, abituali magari in un lontano passato, possano essere ancora oggi possibili o addirittura ricorrenti? Magari si capisce anche, dal momento che La7 ha messo in onda proprio questi giorni un filmaccio sui Borgia e Corrado Formigli, invita un vescovo a parlare del conclave e tutto, o quasi si risolve in un sudicio servizio-dibattito sulla pedofilia nella Chiesa: più o meno come se tu inviti a pranzo un ebreo assicurandogli un menù assolutamente kasher e poi gli servi un piatto di carne di porco.
Ho risposto loro che non lo penso proprio e che se dovesse avvenire, bisognerebbe subito buttare una bomba in Vaticano. Ma son tornato subito ai miei sogni.
Primo sogno: quando voi mi leggerete sarà il primo giorno di primavera: non è meraviglioso? Non è la primavera che il nuovo vescovo di Roma ci fa presentire e sognare? A proposito: non leggerete più, nei miei articoli, né il termine papa, né il termine pontefice, visto che proprio lui, Francesco, ha sempre evitato di attribuirsi sia il primo sia il secondo titolo. A ragion veduta. Papa per sé non sarebbe uno scandalo: anche in oriente un vescovo un prete, si chiama Pope. Però lui lo evita. Perché? Perché in oriente sono tutti pope: il patriarca di Costantinopoli e quello di Mosca, tutti i vescovi d’Oriente e tutti i preti. Anche noi diciamo padre a un prete di cui non conosciamo il nome. E a un frate anche col nome: padre Cristoforo.
Ma l’Occidente ha riservato il termine papa al vescovo di Roma: quasi fosse il padre per eccellenza. Nulla nella storia della Chiesa e della liturgia autorizza quest’uso esclusivo. Dire padre Francesco, vescovo di Roma, sarebbe corretto. Papa Francesco sa un po’ di abuso.
Lo stesso bisogna dire del termine pontefice: ogni vescovo è pontefice. Per sé anzi anche ogni prete lo è: un ponte lui stesso, o in alternativa, uno che lancia un ponte tra l’uomo e Dio. Ogni vescovo, e perfino ogni prete consacra l’Eucaristia, battezza, perdona i peccati, impone le mani per donare lo Spirito Santo e unge i malati con il sacro olio. I vescovi in Occidente si sono riservate molte cose che i preti possono fare in Oriente. Eppure abbiamo tutti la stessa fede.
Ecco questo è il primo sogno per questa nuova primavera che sta fiorendo: che la Chiesa di Roma ritrovi la verità dei suoi segni, dei suoi nomi, dei suoi segni, delle sue parole. Di tutto.
Secondo sogno. Ci eravamo dovuti riabituare al camauro rosso-cremisi con bordo di pelliccia d’ermellino, alle scarpe rosse, alla mozzetta rossa, alle pianete romane, agli altari girati verso il muro, le spalle del celebrante ai fedeli. Con Francesco vescovo romano abbiamo rivisto la casula, la faccia (e non le spalle) del celebrante, il celebrante che dopo la messa va a salutare i fedeli… Oggi si può sognare che l’addio a mons. Lefebvre sia per sempre.
Terzo sogno: qui si va un po’ sull’audace: ci sarà dato vedere cardinali vestiti di nero in conclave, o di qualunque altro colore purché non da principi rinascimentali? Purché non di pizzi e merletti che costano una fortuna? Certi paramenti una volta ci parlavano della grandezza di Dio: oggi ci dicono solo della vanità dell’uomo che li indossa.
Quarto sogno: si potrà sperare che nella santa Chiesa di Dio siano aboliti tutti i titoli onorifici, che servono solo a vellicare la vanità degli umani, e che restino solo validi i titoli sacramentali vescovo, prete, diacono, lettore… ecc? E che gli uffici di curia non comportino altri titoli che quelli dell’ufficio: economo, segretario, vicario ecc… rinunciando ai mons. ai can., agli ecc.mi ecc., ai camerieri segreti o non segreti ecc. Ad quid perditio haec? Perché tanto spreco di vanità?
Quinto e ultimo e primissimo sogno: Si potrà mai rivedere tutto il progetto della nuova evangelizzazione partendo dal modello di Francesco di Roma? Che cinquecento, al massimo 600 parole del lessico italiano bastino a raccontare e a spiegare e a mandare a mente tutta la nostra fede? Quanto serve a raccontarla senza spiegarla, perché quando la spieghi incomincia l’eresia: come fece Gesù che delle sue parabole qualche volta offrì la chiave di comprensione, mai le implicazioni dottrinali. Un linguaggio che andava bene per mamma Margherita e per mia madre, e che oggi va bene per la donna che mi viene a rigovernare la camera, non per chi legge i miei libri di liturgia. Perché da questo parlare semplice appaia un Dio per niente difficile, anzi irresistibile da amare, cui non sia possibile dire di no.
Questo è il mio sogno francescano: d’un francescanesimo ispirato a Francesco vescovo romano, versione moderna e credibile di Francesco d’Assisi, abbastanza distante da quel brand nel quale Assisi non sta più per Francesco, nel quale invece Francesco rischia di stare sempre più per Assisi.
Questo ho sognato stanotte durante la mia lunga veglia d’armi. Spero che il sole del nuovo giorno non me lo dissolva nel breve spazio d’un mattino.

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