Chi la chiama sogno e chi speranza. Per tutti è fede


Una delle più autorevoli testate del mondo, l’americana TIME ha scelto papa Bergoglio come personaggio dell’anno per il 2013. La ragione: «una star settantenne in procinto di trasformare un luogo dove i cambiamenti si misurano in secoli».
Primo cittadino americano (sebbene di ascendenze italiane) a salire sulla cattedra di Pietro, questo papa s’è imposto all’attenzione del mondo con il «suo misto di semplicità e di senso dello humor», che ha fatto mutare “la percezione di una delle più grandi istituzioni del mondo”. Alla base di questo mutamento «la sua modestia e umiltà», che gli hanno guadagnato l’attenzione e la simpatia mondiale, ponendolo «al centro delle conversazioni del nostro tempo su ricchezza e povertà, giustizia, trasparenza, modernità, globalizzazione, ruolo delle donne, natura del matrimonio e tentazioni del potere». La rivista americana spiega ancora la sua scelta, con la denuncia di Francesco contro «l’idolatria del denaro e lo scandalo globale di un miliardo di affamati».
A me pare che ce ne sia abbastanza per continuare a sognare. E a sognare in grande. A sognare cioè che sotto la guida di Francesco il Terzo Millennio rappresenti davvero il Millennio cristiano per eccellenza, epifania dello Spirito di Gesù Cristo per un mondo finalmente liberato dal dominio dell’odioso Mammona, l’idolo competitore, l’avversario di Cristo, il tentatore e il nemico di tutti i cristiani.
Una Chiesa-profeta che sappia spogliarsi di tutti gli orpelli, ciondoli, ninnoli e cianfrusaglie che la storia ci ha trasmesso e ci ha attaccato addosso dicendoci di farci un regalo – oro e pietre preziose! – : piombo in realtà e pietruzze come macigni; catenine d’oro come catene di ferro e palle al piede, di cui faremo bene a sbarazzarci prima possibile, prima che ci anchilosi corpi e gambe e braccia e cuore soprattutto.
Si noti bene: sui tre papi che Time ha insignito del titolo di Uomo dell’anno due sono assolutamente speculari fra loro, quasi sosia o gemelli, Francesco e Giovanni XXIII e vanno ambedue nel senso appena descritto. L’altro, il secondo, fu diverso: un globetrotter, (sciatore, nuotatore, montanaro e arrampicatore, poeta, attore drammaturgo): un superman in talare bianca con pastorale/ferula incorporato; figura solitaria, atletica, eroica perfino, su quegli immensi altari-palcoscenici allestiti solo per lui davanti alle folle oceaniche estasiate, commosse, plaudenti, piangenti, sorridenti e acclamanti. Il suo trionfo assoluto i milioni di fedeli in fila per ore e ore e per giorni e giorni, per poter rendere omaggio alla sua salma prima della sua sepoltura. E quel grido imperioso Santo subito! Ma il suo passaggio non scavò tanto a fondo quanto gli altri due.
Altra cosa fu la morte del Papa Buono, del papa contadino, del papa della «carezza del papa a tutti i bambini del mondo» sotto la magica luna di Roma, la sera dell’11 ottobre del ’62, sera dell’inizio del Vaticano II: un discorso che anticipò sia l’«ich bin ein Berliner» (J.F.Kennedy, 26.6.1963), sia l’«I have a dream» (M.L. King, 28.8. 1963). Fateci caso: di quei tre sogni (due dei quali spenti nel sangue a due mesi l’uno dall’altro), tutti e tre formulati nell’arco di soli dieci mesi (che mesi quei mesi, ragazzi!!!), tutti e tre sono oggi realtà! Berlino è unificata e libera e più bella che mai; i neri, almeno in Sud Africa, hanno sconfitto l’apartheid; quanto all’America di Kennedy oggi, un nero siede per un secondo mandato alla Casa Bianca. Ci sarà ancora qualcuno, che oserà dire che tutti i sogni muoiono all’alba!
E ora posso dirlo: anch’io, nel mio niente, in quei giorni avevo un sogno. Magari, proprio in quei giorni forse no: nel ’62-’63 ero ancora al Seminario Romano, e al Seminario Romano certi sogni, allora, erano proibiti.
Ma appena uscito del Seminario Romano fui ammesso per due anni nell’Aula Conciliare (la basilica di San Pietro) e lì dentro respirai l’aria del Concilio. Così cominciai a sognare anch’io. E questo sogno lo misi in forma 7 o 8 anni più tardi. Solo che allora non lo chiamai sogno, la chiamai speranza.
Quella speranza suonava così.
«Qual è la mia speranza in un momento così delicato e carico di responsabilità verso la storia e verso l’Uomo?
Io vorrei che dalle nostre file cristiane, dalle file dei preti soprattutto, nascesse e si accrescesse un movimento di libertà e di liberazione, che espandendosi e dilatandosi a macchia d’olio raggiungesse tutti gli angoli e tutti i lembi, anche i più remoti, della Chiesa.
E vorrei che questo movimento portasse nella Chiesa uno spirito nuovo, costringendola ad abbandonare tutto ciò che in essa è cultura, ideologia, manicheismo.
E vorrei che il volto nuovo della Chiesa non fosse più il volto d’ un dio fatto a immagine e somiglianza dell’uomo del medioevo e della controriforma, ma fosse il volto stesso del vero Dio, eterno e immutabile, certo, ma visibile e riconoscibile oggi, perché incarnato nel tessuto vitale e sanguinante dell’Uomo d’oggi.
E vorrei che nella Chiesa d’oggi, assai più delle leggi contasse la grazia, assai più del diritto contasse la carità nella libertà, assai più delle tradizioni contasse la creatività inesauribile dello Spirito.
E vorrei che nella Chiesa d’oggi non vi fosse più posto per carriere e onori, per distinzioni artificiose e ingiustificate tra clero e laici, tra celibi e sposati (oggi aggiungerei: uomini e donne).
E vorrei che nella Chiesa ogni fedele avesse un posto suo proprio e i ministeri fossero lasciati alla libertà dello Spirito, pur sotto lo sguardo attento dei pastori.
E vorrei che sul volto della Chiesa d’oggi brillassero le più splendide gemme della sua corona: la carità, la verità congiunta alla veridicità, la libertà dello spirito, la povertà. Ma vorrei anche che queste gemme non fossero false.
E vorrei che tutti i cristiani, guidati dal soffio gagliardo dello Spirito, uscissero dal ghetto della propria individualità e delle proprie abitudini per guardare con cuore nuovo ai propri fratelli:
allora gli occhi incontrerebbero altri occhi, le mani stringerebbero altre mani, i piedi seguirebbero altri piedi, la vita si arricchirebbe d’altra vita, l’entusiasmo sosterebbe l’entusiasmo, la libertà difenderebbe la libertà, la verità garantirebbe la verità, la gioia
alimenterebbe la gioia… e l’Uomo ritroverebbe l’Uomo e la gioia e l’orgoglio d’essere uomo.
Nella Chiesa.
Perché, io lo credo fermamente, non v’è posto per l’Uomo al di fuori della Chiesa. Della vera Chiesa.
Per questo, se vorrò lottare per l’Uomo dovrò lottare per la Chiesa. Allora la mia vita ritroverà il suo senso e la sua ragione. E la sua fecondità.
E la sua gioia.
Nella Chiesa».
Io trovo molto dell’Evangelii Gaudium di papa Francesco in quasta mia pagina giovanile.

Postilla: queste erano le parole conclusive di un mio libretto che era piaciuto molto a P. Ernesto Balducci. Fu pubblicato da Borla nel 1978. Ne feci omaggio della prima copia al mio arcivescovo .
Il giorno dopo egli venne nel mio ufficio in curia. Mi disse: “Prendi le tue cose e lascia quest’ufficio. Oggi stesso”. Cominciò l’ostracismo. Fu la mia Bozzolo. Che non è mai finita. Il libretto scomparve dalla circolazione. Ora c’è chi lo vuole riproporre. Sarà pronto per il 15 marzo 2014, giorno del mio 50° di ordinazione presbiterale.