Benedetto e Francesco: un audace disegno di Dio


Oggi è un’altra giornata storica: due uomini, tutt’e due vestiti di bianco, si incontreranno a Castelgandolfo, dove certamente pregheranno insieme, pranzeranno insieme, poi, sempre insieme, si scambieranno idee sensazioni speranze timori consigli apprensioni e messinguardia reciproche. Al termine dell’incontro i due faranno ritorno alla loro vita, per l’uno e per l’altro nuova e ormai normale: l’uno in un pontificale ritiro, l’altro in un palazzo troppo grande per lui.
Chissà se un giorno si saprà qualcosa di ciò che in quelle ore si son detti i due biancovestiti, delle tristezze dell’uno e delle speranze dell’altro, del pessimismo del vecchio e dell’ottimismo del nuovo vescovo di Roma e se un incontro si troverà fra quei due mondi che più vicini e più lontani insieme non potrebbero essere.
Buttando giù queste idee mi sento sinceramente a disagio: spesse volte mi son chiesto, in questi giorni di trionfo per Francesco, quali potevano essere le reazioni di Benedetto lassù sul colle, sulla bocca d’un vulcano.
Stupore meraviglia incredulità invidia gelosia rimorso per non aver saputo capire prima qual’era l’arma segreta per vincere la sfida della simpatia popolare, l’unica che può attirarti l’amore la fiducia l’entusiasmo l’obbedienza del popolo, unica chiave per meritarti quel favore del popolo che solo così ti seguirà dovunque andrai, dovunque tu vorrai condurlo, come un gregge segue il pastore da cui si sente protetto, come le truppe seguono il condottiero di cui si ciecamente si fidano.
Quante volte mi son chiesto che avrà potuto pensare il vecchio papa, nel prendere atto dell’immenso favore che raccoglieva il suo successore dalle scarpe nere e grossolane, probabilmente neppure nuove, che paga il conto in un albergo che ormai è roba sua, che viaggia in pulmino e mangia e beve vicino a chi gli capita, che decapotta la papamobile per stare più vicino ai suoi fedeli: che via il camauro, via la mantellina, gli ermellini, gli ori, e che la messa la dice come vuole il Vaticano II, che basta croci e anelli d’oro: che per la croce sul petto anche un metallo più vile può bastare, perché non una croce d’oro ci ha salvati, ma una comunissima croce di legno, mentre l’oro rimane l’odioso simbolo di mammona che è alla base di tutti i guai del mondo, oggi come ieri, perché l’oro non ti sazia mai, che più ne hai più ne vorresti…
Eccoli lì, l’austero ascetico intellettuale tedesco, e il bonario, umanissimo, quasi un po’ banale prete sudamericano di sangue italiano, che rinuncia a fare sfoggio di lingue per non perdere tempo, che a Roma non vuol parlare neppure castigliano (così in Sudamerica chiamano lo spagnolo) preferendogli l’italiano, perché ora lui è il vescovo di Roma, e i romani parlano italiano, e perché italiano parlavano sua madre e suo padre e lui da loro l’ha appreso e dunque adesso si sente ancora a casa sua come prima in Argentina.
Ora lì immagino lì, seduti dopo pranzo, alle prese con una cattiva digestione a causa dei temi che devono affrontare: povera Chiesa nostra, povera Chiesa di Cristo! Ecco che tutti insieme i fantasmi più inquietanti si materializzano, hanno nomi strani, che non erano scritti nei libri di teologia su cui entrambi hanno studiato: vatileaks, IOR, corvi, tabulati; fantasmi che fanno sparire borsate di documenti riservatissimi che ricompaiono poi su giornali e libri non autorizzati e in trasmissioni televisive onnivore. Altri fantasmi hanno nomi diversi e più familiari ma ugualmente odiosi: arrivismo, ambizione, carriera, invidia, gelosia, corruzione e tutti prosperano nelle sacre stanze. Infine immagino si parlerà dei peccati che si pensavano confinati nei quartieri più abietti di quel mondo che “è tutto sottoposto al potere del maligno” e che invece è risultato aver invaso le canoniche, le sacrestie, gli istituti di solidarietà e perfino i palazzi dei vescovi e dei cardinali. Nomi sinistri diventati ahimè popolari come pedofilia, pederastia, molestie sessuali, violenza ai minori.
E poi la galoppante scristianizzazione dell’Occidente cristiano: battesimi, cresime, prime comunioni, matrimoni religiosi in calo costante, offerte e donazioni alla Chiesa sempre più scarse (il 34% in meno negli ultimi 20 anni). Crescono solo i divorzi e le convivenze extraconiugali.
Così io mi immagino quei due uomini biancovestiti e biancocrinati (dove l’antico termine crine sta per capelli) seduti l’uno in faccia all’altro – un Crocifisso solo testimone fra i due – che si raccontano e che s’interrogano, che vicendevolmente si scambiano consigli e conforto, insieme si preoccupano e s’incoraggiano, né puoi più immaginare chi dei due ne uscirà più rasserenato o più turbato.
Poi terminato quel colloquio ognuno tornerà al suo posto, l’uno sulla riva destra del Tevere, l’altro lassù sul monte, a piombo sul lago che ha fatto dimenticare il vulcano che c’era sotto.
Allora ognuno rimarrà solo con i suoi pensieri e forse con i suoi rimpianti o i suoi rimorsi. Chi ebbe torto allora: chi dirottò i suoi voti sull’altro (Bergoglio, a quanto oggi si dice), o chi quei voti li accettò (Ratzinger), accettando si sedersi sul trono oggi fra i più scomodi del pianeta? E oggi chi può dire se stia meglio chi di quel peso s’è finalmente liberato, o chi di quel peso oggi ha accettato sì di farsi carico? Noi possiamo solo ringraziare il Signore che ci ha voluti testimoni d’una delle pagine più belle della storia del papato romano (anche se questa fa seguito a una pagina assai meno bella della Curia romana).
Ce la farà il vescovo Francesco alle prese con questo formidabile compito che si è assunto? Certo egli ha dalla sua il mondo intero che lo ha accettato all’istante. Il classico colpo di fulmine dell’innamoramento a prima vista. Gente che non veniva più in chiesa da anni che se ne dichiara conquistato. Che è tornata a far la comunione. Roba d’altri tempi.
E soprattutto ha dalla sua la sua immensa fede e la sua dirompente umanità. Ora bisogna che la Chiesa intera se ne lasci contagiare. Ora bisogna che la Chiesa intera diventi francescana, dove il francescano sta per Francesco di Roma, molto più che per Francesco d’Assisi. Perché dico questo? Mi si capisca bene e mi si creda per favore: non ce l’ho minimamente né con il Francesco d’Assisi né con i suoi ottimi frati, di qualunque ordine essi siano. Perché allora insisto tanto sulla differenza? Solo perché i francescani d’Assisi c’erano anche prima di mercoledì 13 marzo u.s. e il mondo continuava ad andare come andava. Dunque non era quella la ricetta vincente.
Oggi c’è stato dato un altro brand: Francesco di Roma, che ci spaventa di meno, ci pare più uno di noi. Perché il Poverello è un assoluto inimitabile (neppure i suoi frati ci provano, si accontentano di somigliargli un po’). Il Francesco romano si veste come un papa (solo un po’ più povero), porta anche lui le scarpe (nere e non di prezzo, ma le porta), va in macchina anche lui (l’ha solo decappottata, per ora)… Altre scoperte le faremo col tempo, ma possiamo essere certi: sarà sempre uno come noi, non un marziano, come Francesco d’Assisi.
Personalmente ne sono convinto: Francesco di Roma è il segno di un nuovo inizio. Una primavera sbocciata da un autunno (Benedetto) che, col suo ritiro, ha saputo mettere l’inverno in fuorigioco.

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