La scienza non ha bisogno di Dio. L’uomo sì


Bisogna essere grati a Edoardo Boncinelli, fra i più autorevoli genetisti italiani e professore di Filosofia all’Università San Raffaele di Milano, per aver riportato all’attenzione del grande pubblico il problema sempre attuale e sempre irrisolto di Dio.
Il titolo del suo ultimo saggio, quasi uno spot, suona: La scienza non ha bisogno di Dio (Rizzoli). Se di suono si trattasse, solo a una campana a morto si potrebbe pensare. Un altro epigono di Friedrich Nietzsche, verrebbe fatto di pensare, il grande profeta della morte di Dio. Qualcuno ha anche detto che dove è scritto La Scienza bisognerebbe leggere l’Uomo. Io non sottoscrivo.
Così accingendomi a scrivere questo articolo m’ero immaginato di dover ancora intervenire in difesa di Dio: ma non ho dovuto difendere nessuno. L’interesse dell’autore, in realtà, molto più che sul problema di Dio sembra concentrarsi sull’origine dell’universo e della vita, e sulle leggi e sul meccanismo dell’evoluzione intesa come chiave d’interpretazione dell’universo. E per spiegare quel meccanismo e quelle leggi l’idea di Dio potrebbe anche risultare superflua.
Appunto: alla scienza – costantemente alla ricerca della pietra filosofale per conoscere le leggi che governano l’universo e che ne spiegano l’origine, la struttura, le leggi, gli esiti e gli approdi – l’esistenza e la stessa idea di Dio non sono affatto necessarie.
Fin dove potrà arrivare l’uomo di scienza e di pensiero nella sua ricerca di conoscenza e di senso per la vita dell’universo e dell’uomo stesso? La risposta sembra chiara: fino all’attimo immediatamente successivo al Big Bang, quando l’universo ha incominciato a formarsi dando fondo a tutta la mostruosa energia scaturita da quel primissimo evento. Fin lì, non oltre. Il prima gli sarà sempre interdetto. L’attimo prima appartiene a un altro regno: chiamalo pure metafisica, filosofia… o anche, chiamalo, se vuoi, religione: ma lasciane fuori la scienza.
Chi o cosa abbia prodotto o generato il Grande Scoppio, la Grande Esplosione da cui tutto ha tratto origine, alla scienza dell’evoluzione dell’universo e della vita, dal punto di vista del metodo, non potrebbe interessare di meno. La scienza si accontenterebbe anche del Nulla. Sì, del NULLA!
Sussulto di stupore? Scandalo? Indignazione? Neppure un poco.
Per convincersene, basterà riflettere solo un poco sullo statuto delle diverse scienze o arti: allo scultore basterà conoscere la consistenza, la durezza, la resistenza, il colore della pietra che dovrà usare per la sua scultura. Tutta la sua ignoranza della chimica di quella pietra e della cava da cui proviene può anche non interessargli affatto.
Il buon sarto non ha bisogno di sapere come è stata filata, tessuta, colorata chimicamente, prodotta la stoffa di cui si serve per confezionare l’abito a cui vuol dare una forma perfetta.
Al chirurgo che si serve del laser per operare gli occhi, non serve sapere come si produce un laser, né chi lo produce. Gli basta il laser.
Per milioni di anni la vita si è riprodotta e propagata sulla terra senza la più pallida idea di come ciò potesse accadere. In tutti i casi citati, ciò che solo è indispensabile sapere è il come servirsi degli oggetti o degli strumenti di cui si dispone. Qualcuno oggi lo chiama know how, “conoscere come” (si deve fare).
Il saggio di Boncinelli può anche essere letto così: lo scienziato non stia a perdere tempo con la metafisica: alla scienza non serve conoscere il prima, basta conoscere il cosa ne è venuto dopo, come funziona il dopo, e questo allo scopo di poter noi gestire al meglio il nostro dopo: e tutto questo allo scopo di non lasciarci prendere la mano e non doverci ritrovare a subire conseguenze disastrose, difficilissime o addirittura impossibili da gestire.
Boncinelli è convinto che alla base di tutto lo sforzo evolutivo della vita nell’universo sia l’Errore: tutto si fonda su un «equilibrio dinamico all’interno di un universo tendente al disordine e alla “morte termica”». Questo equilibrio dinamico è possibile solo grazie all’attività e all’intervento del Dna. Il quale, allo scopo di non perdere essenziali informazioni che gli saranno utili per il futuro, automaticamente “copia” quelle informazioni in un dispositivo di sicurezza, (una specie di file di riserva, ndr) l’Rna messaggero. Finché le informazioni conservate nel Dna e nel Rna sono concordi, tutto procede tranquillo, e se tutto fosse sempre tranquillo non ci sarebbe evoluzione. Le condizioni per un’evoluzione si determinano quando nella copia del Rna messaggero, si determina un errore. Ne può derivare la patologia o l’evoluzione («il cancro o la farfalla» spiega l’autore). La patologia è per la morte, l’evoluzione è per nuove forme di vita. Affinché ci sia evoluzione è necessario che nella «catena di eventi e processi biologici» avvengano errori di copiatura nella trascrizione dell’informazione dal Dna all’Rna messaggero, cioè nella fase intermedia verso l’attivazione delle proteine e del differenziamento cellulare». Non è affascinante? Ostrogoto, ma affascinante.
Allora m’è venuta in mente una bizzarrìa: è come quando usi un navigatore satellitare. Lui ti dice di andare a destra e tu vai invece a sinistra. Non puoi tornare indietro, e ti senti perduto. Poi ti accorgi che no, il navigatore sta rimediando: nel giro di pochi secondi si adegua alla nuova situazione e di lì a poco senti che torna a darti i suoi ordini: e tu ritrovi la tua tranquillità. Dovremo dunque sempre sperare in qualche errore perché la specie evolva verso il meglio? Purché l’errore sia di quelli che conducono alle farfalle!
Poi m’è venuto un altro pensiero, questo più drammatico, tragico anche. Si sa che l’evoluzione ha bisogno di tempo. Di centinaia di migliaia, di milioni di anni. Poiché un dogma per gli evoluzionisti è che tutto va avanti per caso, dovremo dare o ogni errore un X centomila o milioni di anni per rimediare a ogni problema? Già, perché dietro a un navigatore satellitare c’è un’intelligenza che l’ha programmato, che ha pensato e risolto in anticipo il mio problema. Fra Dna e Rna messaggero invece non c’è nessuna intelligenza, stando al dogma evoluzionistico! Solo il caso ci può aiutare: facciamo allora centomila anni? Ma io non ho centomila anni davanti, me tapino!
Non ce l’hai tu, ma io ce l’ho, mi risponde l’Universo! E tu non sei nemmeno un problema. Quanto al resto, guarda come ho saputo svilupparmi bene io, in questi pochi miliardi di anni (sì e no una quindicina) che esisto.
Ma forse allora nessuno aveva pensato che un giorno sarebbe venuto lui, L’UOMO, con la sua intelligenza, la sua Tecnologia, e quasi non bastasse quella, ora anche l’Intelligenza Artificiale! Ora non è più il singolo individuo, la singola specie, è l’intero Pianeta a essere a rischio.
Se tutto ha potuto filare liscio finora (“solo” molti molti milioni di morti per guerra, epidemie, terremoti, disastri vari, ma che vuoi che siano?!) adesso con l’Homo thecnologicus, le cose cambieranno vedrai! Ora a rischio sarà l’intero Pianeta con le le sue acque, le sue foreste, i suoi mari, i suoi ghiacciai, la sua atmo-e-stratosfera, e la vita di tutti i suoi animali…
E a minacciare tutto questo è l’uomo, questa specie di Mr Hyde che si ribella al suo ormai impotente dr Jekyll, attentando alla sua stessa vita. Certo, perché i ritmi imposti al Pianeta dall’animale umano intelligente (quanto poi?) e tecnologico, sono immensamente più veloci di quelli di un universo stupido, passivo, sottomesso al caso (e il caso è stupido, ottuso per definizione). A me, quando penso a tutto questo, viene quasi voglia di piangere e una struggente nostalgia di Dio.

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