Il vangelo di Maria secondo Fabrizio De André


Di che parla la Buona Novella di Fabrizio de André?
A me pare evidente: parla del grande inganno della croce e della fede in quel Dio che quella croce ha voluto.
E di chi parla la sua Buona Novella? Anche questo pare a me evidente: parla delle vittime del grande inganno della croce: di Maria innanzi tutto, e di Giuseppe subito dopo.
Sullo sfondo ci siamo tutti noi, chiamati a prendere posizione su quella buona novella, su quel lieto annuncio (questo il senso vero di quelle due strane parole buona novella che sa tanto d’antico, di stantìo: v’immaginate uno speaker della televisione che esordisca al telegiornale con un: oggi apriamo il nostro giornale con una buona novella?
Da dove allora tanta fortuna, incontrata da questo poemetto in versi e in note musicali, anche presso anime sinceramente credenti e veramente innamorate della fede cristiana?
Io credo che essa venga dalla sincera presa di posizione del grande chansonnier genovese in favore dell’Uomo, si chiami egli Maria o Giuseppe, Tito o Dimaco, e dall’altrettanto chiara condanna dei Potenti, si chiamino essi Dio, sacerdoti o comunque si chiamino. È l’emergere del fondo anarchico della personalità di De André che chiede con prepotenza di venir fuori, con accenti accorati di con-passione come scelta di campo, per farci sapere subito da che parte lo dobbiamo cercare (se lo vogliamo trovare), se veramente vogliamo incontrarlo. Per oggi però parlerò solo di Maria.

Il Sogno Di Maria
“Nel Grembo umido, scuro del tempio,
l’ombra era fredda, gonfia d’incenso;
l’angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d’improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese – Conosci l’estate
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all’ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

….Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d’un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.

….- Lo chiameranno figlio di Dio –
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.”

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d’una quiete apparente
che si consuma nell’attesa
d’uno sguardo indulgente.

E tu, piano, posasti le dita
all’orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

Maria
Impossibile non sentirci dalla parte di Maria nei versi di Fabrizio de André. Che non è la Maria del Vangelo, tanto meno quella della devozione mariana degli ultimi dieci secoli (dal tempo di San Bernardo di Chiaravalle, per intenderci). Quest’ultima è una Donna celeste, che ha origine dal Cielo e venuta a noi dal Cielo per condurci al Cielo.
La Maria di Fabrizio de André è una donna della terra di cui il Cielo sembra quasi essersi preso gioco, per qualche suo preciso disegno, non si sa bene se a nostro vantaggio o solo a danno di Maria.
E questo fin da subito: a tre anni l’hanno strappata dal seno materno e l’hanno condotta al tempio, finché non arriverà il sangue mestruo a liberarla dalla sua prigione di santità. Ma non sarà per dirle: ora sei pronta: va dunque, e fa la tua parte di donna e di madre!
No, al contrario. Ora non sei più degna di stare qui con noi nel luogo santo, fra gente santa. E sacra, per di più, come sacri siamo noi, i sacerdoti! Il tuo sangue ti ha reso impura. Ora ti troveremo un uomo. Con lui potrai avere quel “commercio” cui la tua natura di donna (dunque impura) ti destina.
A questa giovane donna, respinta perché vada a prendere il suo posto fra gli uomini, de André lancia un saluto che vuol essere forse un risarcimento alle parole e ai pensieri di quelli che stanno sulla riva opposta, che amano l’altra Maria, quella della devozione: un altro Kaire il suo, un altro Ave, in opposizione a quello dell’arcangelo Gabriele. Parole, anche queste, difficili da dimenticare:
«Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.
Femmine un giorno e poi madri per sempre…».

Maria nel vangelo secondo Fabrizio
Fabrizio de André si avvicina a questo mistero, bisogna ben riconoscergli questo merito, con una delicatezza infinita. Di questo merito gliene sono anche grato.
Perché è fin troppo chiaro che egli non crede affatto alla verginità fisica della madre di Gesù. Lo ha fatto già capire: femmine un giorno e poi madri per sempre. Forse ciò che non è vero per le altre donne (chi si sposa è femmina per sempre). Forse che a Fabrizio de André, che pure non può credere al parto verginale, piacerebbe tanto pensare che sia stata quella l’unica volta? Non potrei giurarlo, però mi piacerebbe poterlo credere! Ma qui il discorso si complica, e ci costringe a fare il classico passo indietro.
Avevamo lasciato Maria al momento in cui i sacerdoti del tempio, avvedutisi che Maria è ormai in età di concepire, decidono di allontanarla dal tempio. Troppo pericoloso trattenerla.
Pericoloso per chi? Per lei? O per loro, per i sacerdoti? Difficile escluderlo, se appena si leggono le parole di quella sorta di canto bacchico, quella specie di ditirambo che, messo in bocca al Coro, può benissimo includere, con l’impeto, la frenesia, la smania dei pretendenti, anche le represse pulsioni di chi fa professione di santità, dei sacerdoti appunto:
«Guardala guardala scioglie i capelli
Sono più lunghi dei nostri mantelli…».
Fabrizio de André, accettando la tradizione di un Giuseppe vecchio, esclude che egli possa essere il padre di Gesù. Ma egli sapeva anche che al mondo non ci sono mica solo vecchi, e allora, appoggiandosi ancora una volta a un apocrifo (ma mettendoci anche molto di suo), il grande cantautore immagina che i sacerdoti, licenziando Maria dal tempio, si preoccupino di darle un marito e una casa. Un bando di concorso, una lotteria, dice de André. Anche un’antica tradizione apocrifa parla di una specie di concorso: sarà scelto il pretendente il cui bastone da viaggio fiorirà davanti ai loro occhi (chi non conosce i celeberrimi dipinti del Perugino e di Raffaello?).
De André immagina dunque che si scateni quasi una corsa a vedere e a chiedere Maria in sposa: un’ansia, una frenesia incontenibile, un delirio, un raptus collettivo:
guarda le mani guardale il collo
guarda la carne guarda il suo viso
guarda i capelli del paradiso…
Ma fra i tanti pretendenti sarà scelto lui,
Giuseppe, «un reduce del passato,
falegname per forza padre per professione
a vedersi assegnata da un destino sgarbato
una figlia di più senza alcuna ragione
una bimba su cui non aveva intenzione.
Qui c’è un’amarezza profonda, in alcun modo redimibile: «un destino sgarbato» quasi un dispetto del destino, che se non può essere imputato a Dio, è solo perché Dio non esiste.
Giuseppe non la voleva, non l’aveva scelta, non aveva intenzioni su di lei: alla sua età non poteva averne. E poi ne aveva già tanti di figli: «padre per professione» lo definisce de André. Deluso ma rassegnato, «stanco d’essere stanco», se ne torna a casa tenendo «la bambina per mano» pensando fra sé, guardando la bimba e le sue proprie mani nodose: “queste mani non son più buone per accarezzare questo tenero corpo di bimba… e questo cuore di vecchio come può pensare ad amare, se ormai può pensare solo a riposare?”.
Ma Giuseppe, troppo vecchio per amare, aveva ancora forze abbastanza per lavorare, e come falegname lo cercavano anche da lontano. Così, senza neppure fermarsi qualche giorno a casa (appena il tempo per condurvi Maria e per introdurla nella sua famiglia), subito preso il suo sacco da viaggio, se ne andò lontano, rimanendo fuori casa per quattro anni (altra informazione che non viene dai vangeli).
Ma quando vi tornerà, vi troverà una sorpresa. Se accorge da solo, abbracciandola castamente: le mani posate sulle spalle, scivolano giù per le spalle, sui fianchi…….. Sui fianchi? ….. Cos’è questo turgore dei fianchi? O son le ossa del bacino che si sono modellate a coppa, a contenere a sostenere qualcosa, nella «forma precisa /d’una vita recente,/ di quel segreto che si svela / quando lievita il ventre»?
Giuseppe guarda fisso Maria, attende una risposta, ne ha bisogno… La sua Maria lui l’aveva lasciata una bambina e ora è una donna in attesa… Aveva preparato per lei «una bambola magra / intagliata nel legno» che aveva accarezzato come fosse la carne di un suo figlio.
Sapeva che non avrebbe mai potuto darle una bambolina di carne… si sarebbe dovuta accontentare di quella:
«La vestirai Maria,
ritornerai a quei giochi,
lasciati quando i tuoi anni
erano così pochi».
Era rimorso dunque, o paura, quel volargli incontro «fra le sue braccia/ come una rondine»…
Che… cos’è…? Di chi… è…?….. Maria non lo sa. O almeno non glielo sa dire…
Giuseppe, che cercava in quegli occhi di bambina «il motivo / d’un inganno inespresso dal volto» deve accontentarsi d’un «inquieto ricordo/ fra i resti d’un sogno raccolto». Come avrebbe potuto, lei, raccontarglielo, quel sogno, quando «le sue braccia divennero ali… e volando davvero sopra le case/ oltre i cancelli, gli orti, le strade/… scivolando tra valli fiorite…» proprio come gli innamoratini di Chagall…? Ma a Giuseppe era bastato.
«E tu, piano, posasti le dita
all’orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte
».
Grazie, Fabrizio: per la poesia e per l’amore!

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