Il miracolo più grande? La mia fede


Ieri sera, sabato 24 novembre, a Deruta si è parlato di miracoli. L’occasione l’ha offerta la presentazione di un libro che io stesso ho curato e sul quale ho scritto il contributo di fondo. Il titolo: EX VOTO. Arte e fede nel Santuario della Madonna del Bagno, a cura di Antonio Santantoni Menichelli, EFFE FABRIZIO FABBRI EDITORE.
Oggi ne scrivo volentieri su queste pagine perché ieri non di arte ho parlato, ma soprattutto di fede. Apertamente, direttamente, senza trucchi né equilibrismi di sorta.
Sono ormai più di 800 le famose “mattonelle”, o formelle o ex voto che dir si voglia: un fatto macroscopico che non può passare inosservato. e per tutti quelli che entrano in quella chiesetta «fra il verde ascosa d’alberi frondosi», esse stanno lì a porre un problema: che son mai questi deliziosi quadretti? 800 miracoli? 800 grazie di Maria? Proprio così tante? Se neanche a Lourdes ne sono stati riconosciuti così tanti!
Di fronte a tale obiezione posso io, rettore del Santuario, con qualche reputazione di teologo, fingere d’ignorare la portata di questa domanda? Evidentemente non posso, e allora prenderò la questione di petto cercando di dirci su qualche parola chiara. Lo richiede, anzi lo esige l’onesta intellettuale alla quale mi sono sempre ispirato.
E allora la prima risposta, la più diretta e la più ovvia, può essere una sola: no, non sono 800 miracoli; non lo sono nella quasi totalità dei casi, così come a Lourdes e a Fatima, a Loreto e a Pompei, a Medjugorie, a Mariazell, a Einsiedeln e alla Madonna del Pilar di Zaragoza, a Czestochowa e a Monserrat.
Qualcuno dirà davvero che non c’è più religione? Chi vorrà seguirmi, capirà senza sforzo che le cose non stanno così.
Vediamo. Quante volte diciamo: che miracolo! È stato proprio un miracolo; se non è un miracolo questo… Il senso è uno solo: come se io dicessi: m’è andata proprio bene, l’equivalente di ho avuto proprio fortuna.
Ciò può essere vero sia che si realizzi una circostanza insperata (vincere un difficile concorso), sfuggire a un pericolo (un grave incidente – d’auto, aereo, sportivo – che ti lascia illeso), sia ancora che fra le tante circostanze possibili, tutte a te sfavorevoli, si avveri proprio la sola che ti era propizia. Qui il miracolo ruba facilmente il nome al caso. Perché il cosiddetto caso esiste certamente, come pure il colpo di fortuna (una lotteria) o, al contrario, di sfortuna (eravamo in cinquemila, proprio a me doveva toccare?). Un incidente, lieve o grave che sia, può dipendere da una sigaretta che hai accesa o che non hai accesa: quei pochi secondi possono valere una vita. Come quella volta che a Baida (Palermo) caddi steso proprio in mezzo a una strada di solito assai frequentata e non passò nessun’automobile. Un miracolo? Non esageriamo. Una grazia? È possibile. Un caso? Anche questo è possibile. Quel fatto avrà necessariamente il colore dei miei occhi: dello scetticismo o della fede.
Che anche la scienza faccia miracoli lo diciamo continuamente: un trapianto di fegato o di cuore sono e restano miracoli dell’intelligenza umana e della tecnologia. Niente da eccepire, ma nessuna di queste accezioni rispetta il senso proprio e tecnico della parola miracolo come io lo intendo qui.
Uscire indenni da una grave operazione chirurgica, nessuno che abbia buon senso potrebbe mai dire che è un miracolo del buon Dio o della Madonna, e anzi sarebbe un furto a danno dell’arte del chirurgo. Fino a 70 anni fa si moriva ancora di polmonite e di sola spagnola ne morirono più di 50 milioni nel mondo. Non è un miracolo questo? Sì, questi sono tutti modi correnti e corretti di usare la parola miracolo, ma non è di questi che io parlarò qui.
Perché questi “miracoli” ci appaiono sì come qualcosa di meraviglioso, di raro o più ancora di unico in natura, hanno tutti una precisa e imprescindibile riserva: essi, per essere considerati veri miracoli devono andare contro le leggi della natura, tanto che se ci fosse anche un solo modo naturale o artificiale capace di produrre quegli effetti e di quel modo o mezzo si fosse fatto uso in quell’occasione, si escluderebbe per sé stesso ogni ricorso al soprannaturale quale causa necessaria dell’evento miracoloso.
Allora quand’è che si potrà parlar di miracolo? Solo quando per quell’evento non si potrà parlare né trovare alcun’altra spiegazione possibile e ragionevole. Per es: cadere da un’albero può certamente uccidere un uomo o renderlo gravemente invalido per tutta la vita. Ma in un numero pressoché infinito di casi, chi cade o è caduto da un albero, da un cavallo, dalle scale se l’è cavata solo con un grande spavento. Quindi il fatto che io, cadendo non mi sia fatto nulla, non può farmi gridare al miracolo. Lo stesso dicasi d’un intervento chirurgico, d’un incidente automobilistico, o sul lavoro.
Allora tutte quelle “mattonelle” son tutti bidoni? Son tutti segni di ignoranza e di superstizione? Assolutamente no. Possono essere segno, invece, d’una visione della vita e del mondo nel quale nulla viene lasciato alla fortuna e tutto viene ricondotto a una Provvidenza che non lascia nulla al caso; che anzi sa servirsi anche del caso per ottenere i suoi scopi. Una Provvidenza della quale, come scriveva un grande spirito del secolo scorso, noi sappiamo solo una cosa: che «s’ alzerà sempre mezz’ora prima che si alzi il sole» per vegliare su di noi. come fa una madre che s’alza sempre prima dei suoi figli, perché questi alzandosi, trovino già pronto tutto ciò di cui essi avranno bisogno iniziando la loro giornata.
La differenza fra chi non crede e chi invece crede è tutta qui: nel sapere che ci sarà sempre Chi pensa a te, Chi si preoccupa di te, Che sarà sempre con te, Che sarà sempre lì a prevenire o a riparare i tuoi passi falsi, Che ti prepara tutto ciò di cui hai veramente bisogno e, nei limiti del possibile, Che farà sì che anche dal male possa venirtene un bene. Questo io posso di dire di me stesso, specie da quando ho preso coscienza che poche cose hanno contribuito a dare un senso alla mia vita come il mio trapianto di fegato. Solo grazie a quella durissima malattia e a quella prova io posso dire d’aver ritrovato il meglio di me stesso. Come Sant’Agostino, il grande peccatore convertito, poté trovare il coraggio di scrivere, proprio lui, O felix culpa, così io ho dovuto soffrire un trapianto per poter scrivere ora “o felix morbum”: felice malattia che hai saputo ridestare in me il senso dell’urgenza e della mia vocazione. È quello che dice la mia formella votiva al Santuario: il vero miracolo è in quel vortice di foglie che prima giacevano inerti a terra e da allora, mosse dal sacro Vento dello Spirito, sono tornate in circolo, in cerca del ramo ove nacquero, in attesa di veder maturare nuovi frutti.
Perché la differenza fra credere e non credere in un Dio che ci ama è tutta qui: poter addormentarmi la sera sapendo che Lassù, qualunque cosa succeda, Qualcuno veglierà sul mio sonno e sul mio risveglio.
Anche se non dovessi risvegliarmi mai più, per un risveglio in cielo.