Eminenza, mi mancherà


Mi mancherà, Eminenza. Ci mancherà. Oggi che ci ha lasciati ci sentiamo più soli. Più poveri. Quelli come me, per lo meno. Quelli che lo hanno avuto sempre come punto di riferimento sicuro, nel difficile, spesso aspro cammino della vita. Della vita dello spirito intendo.
La prima volta che l’incontrai, all’Istituto Biblico, ero un giovanissimo prete, su cui in molti avevano riposto grandi speranze. Mi avevano consigliato di rivolgermi a Lei, perché valutasse la mia tesi di laurea, già pronta per la stampa. Me ne dette un buon giudizio, augurandomi buona fortuna. La tesi, la fortuna l’ha avuta. Io molto meno.
La rividi a Milano, in Cattedrale, dove ebbi l’occasione di porle alcune domande per il giornale sul quale allora scrivevo. Poi niente più. Ma dentro di me, non l’ho più lasciata. Condannato come ero, e come sono tuttora, a sentirmi esule in patria, ciò che potevo leggere di Lei, nei suoi regolari, anche se ahimè troppo rari interventi sulla scena ecclesiale, culturale e politico-sociale italiana, bastava spesso a mantenermi o a rimettermi in gioco, quando la frustrazione dell’emarginazione, la devastante esperienza del “sedere sempre in panchina” si faceva opprimente.
Spesso mi sono sentito un po’ come Lei… Non sorrida, la prego… davvero… come lei. Certo, io a Casalina, Lei a Milano; io niente di niente, Lei Rettore (davvero) magnifico di Università, Istituti prestigiosi, Commissioni scientifiche internazionali, fra gli autori più venduti e letti nel mondo, come poteva essere mai ch’io mi sentissi “un po’ come Lei”? Ciò che ci univa, Eminenza, era il fatto che Lei, come me, era tenuto sempre ai margini della Chiesa che conta… quella dove si fanno i giochi importanti, quelli che poi finiscono per mettere la Chiesa nei guai; io invece ai margini di quella che non conta niente in nessun caso…al margine di tutto…
Ma quando la leggevo, nei suoi ultimi libri, nei suoi articoli, nelle interviste rilasciate a Scalfari… era un po’ come se una gran boccata d’aria pura entrasse nel mio studio da una finestra fra i prati… ed era bello! E di questo la ringrazio.
E d’un’altra cosa la ringrazio, Eminenza: d’aver rifiutato il sondino. Quanto a me, spero che a nessuno venga in mente d’impormelo. Grazie per la spinta che il Suo esempio darà all’approvazione del testamento biologico: l’ultimo suo grande contributo alla libertà di coscienza. Perché la fede non può mai diventare una gabbia.
Ora La vedo andare, salire: vorrei volarLe dietro… raggiungerLa… lassù…! La verità è che sono stanco di un mondo sempre meno umano, più barbaro, violento, corrotto… e di una Chiesa che, persa l’originaria spinta propulsiva, non sa più a che santo votarsi per mantenere qualche briciola di potere. Mi sbaglio, Eminenza, o anche in questo senso di stanchezza le somiglio un po’? Non era a questo che pensava, quando disse: «Quand’ero giovane, anch’io speravo…….. Ora non spero più. Prego»?
Stanotte, affacciandomi alla finestra per chiudere le mie persiane, getterò uno sguardo al cielo, per vedere se magari s’è accesa una supernova. Forse sperando di vedersene staccare una piccolissima scintilla e raggiungermi, a sfiorarmi:, un soffio leggero, una piccolissima parte del Suo grande spirito, Eminenza, come quello d’Elia su Eliseo. Che se nulla accadrà, potrò solo rimpiangere di non poterLa seguire, perché né questa Chiesa né questo mondo, ormai da tempo, non mi piacciono più. Ora poi…Senza più Lei…