Elogio dell’iconoclastia


Quello di oggi è un argomento minore, ma che da qualche anno mi sta sempre più a cuore. Parlo delle immagini sacre e del loro culto. E del contrario del loro culto. Cioè dell’iconoclastìa. Per quelli che non sono cultori della teologia o della storia dell’arte, vale forse la pena spenderci due parole.
Innanzi tutto l’etimologia: dal grerco eikón (immagine) e kláo (rompo). Rompere l’immagine, il ritratto. Poi il concetto: guerra alle immagini, soprattutto sacre, ma non solo. Fino a distruggerle o almeno a danneggiarle. Infine il dizionario: «la dottrina e l’azione di coloro che nell’impero bizantino, nei sec. 8° e 9° avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre, dando così origine a una serie di contrasti religiosi e politici e di violente lotte che provocarono, fra l’altro, la distruzione di un notevole patrimonio di arte sacra» (Vocabolario della lingua italiana, Ist. Encicl. Ital. Treccani).
Ricordo l’emozione profonda, il disappunto, che provai soprattutto nelle chiese, cappelle e oratori rupestri della Cappadocia, la mistica regione dell’Asia Minore (attuale Turchia), patria di grandi mistici e di sommi teologi, nel vedere sulla roccia viva o sulle pareti intonacate quelle figure senza occhi, senza naso, senza bocca, senza testa (soprattutto gli occhi erano stati presi di mira, perché un volto senza occhi è un volto senz’anima, un mattino senza luce, un orchestra nella quale ognuno suona uno strumento che non dà nessun suono.
Uno spettacolo uguale in Cina, nella grotta dei cento Budda, anche lì tutti senza naso, bocca, occhi… senza vita… Artefici della prodezza le tristemente famose Guardie rosse, quelle del Libretto rosso di Mao Zedong,
Ora però l’iconoclasta sono io. No, non nel senso che ora anche a me piace strappare nasi, cavare occhi, tagliare orecchi o addirittura teste a personaggi che hanno fatto il bene della società.
E si noti bene: non mi basta danneggiare: io voglio proprio distruggerli.
A cosa alludo? Sì, proprio: alle immagini sacre, quelle che fanno bella mostra di sé (perché a volte sono proprio belle, anche se altre volte sono piuttosto pacchiane) nelle copertine dei periodici religiosi italiani. È come una gara a chi ne mette di più e sempre più belle. Dicono che aiutano la devozione. Ebbene quando io vedo queste immagini, vorrei tanto essere ebreo o musulmano.
Ma perché? mi domando; che bisogno c’è di sbatterle in prima pagina a rischiare che vadano a finire, perfettamente visibili, nei secchioni, cassonetti o in discariche: non sono certo quelli i luoghi che convengono a quei prodigi dell’arte e della fede.
E sì che un modo ci sarebbe per evitare tale disdoro: basterebbe non pubblicare mai un’immagine sacra in prima pagina. Se restano chiuse all’interno verrebbe a mancare l’indecenza.
Mia madre, quando ero piccolo m’aveva insegnato come fare quando una sacra immagine mi capitava fra le mani e io non sapevo cosa farne, non potendo salvarle e conservarle tutte in un cassetto, o appese a una parete.
Ecco la sapiente ricetta di mamma: un bacio, una richiesta di benedizione poi lasciare che il fuoco facesse la sua parte. Sarà già molto non lasciarle marcire in terra, o non esporle alla profanazione. Mia madre non aveva mai letto l’Ugo Foscolo de I Sepolcri, ma aveva capito l’essenziale: le tombe, come le lampade, come il nome sulla pietra non servono al morto, ma ai vivi; esse servono a conservarne viva la memoria nei vivi, perché ogni morto vivrà finché ci sarà qualcuno che ne conservi la memoria e gli “amorosi sensi”. E c’è qualcosa che disgusti di più la “pietas erga” qualcuno che veder calpestati e profanati l’immagine il ritratto di colui che è l’oggetto del proprio amore e della propria devozione?
Ebbene, io mi chiedo: questi redattori o direttori o responsabili grafici di riviste e giornali tutti pietà e devozione, si sono mai imbattuti, aprendo un secchio o un cassonetto, con gli occhi dolci e mesti di un Sacro Cuore che ti chiede quasi soccorso, d’una Madonna che t’invoca di non lasciarla morire soffocata là dentro, che la raccolga e la restituisca alla luce, al sole, al decoro che le spetta?
E allora ecco la mia imprecazione contro tutti quelli che sbattono il Cristo in prima pagina: dove avete dimenticato il rispetto ai Santi Volti, voi che accendete candele al Sacro Cuore in chiesa e ne stampate il volto in prima pagina col rischio concreto di fare quella fine? Perché chi mai potrà conservare in luogo decoroso tutte le immagini sacre che nel corso di una vita ti vedi recapitare a casa senza che tu le abbia minimamente sollecitate? Dici che non ci puoi fare niente? Che è l’industria del sacro, bellezza!? Che non ci puoi fare niente? Ma almeno non le mettere in copertina!
Perché vedete, signori impaginatori: Nemmeno il fuoco c’è più a darci una mano. Quanti fanno uso del fuoco in casa ai nostri giorni? E fra quanti ce l’hanno, quanti penserebbero al fuoco per liberarci da quell’eccesso di sacro nella carta?
Allora m’è venuta l’idea: farò l’iconoclasta anch’io. Intanto ho cominciato a prendere le immagini sacre e a farle in mille pezzi, specialmente il volto, specialmente gli occhi, e la bocca, perché non siano più un volto ma solo qualche decina di mezzi centimetri quadrati di carta colorata o in bianco e nero, che dove cadono cadono, perché non sono più il volto, gli occhi, il seno di Maria, la mano benedicente del Cristo, o la mano sanguinante del Crocifisso: sono solo tanti minuscoli pezzo di carta. Ma poiché a farlo a mano ci vuol tempo e il lavoro non è mai del tutto “pulito”, allora ho deciso che mi procurerò una di quelle macchinette che in pochi secondi distruggono un documento, sai quelle macchinette che si trovano negli uffici dove a volte è bene distruggere ogni traccia, ogni indizio di un documento o di un atto?
Così eccomi trasformato in un iconoclasta, in uno che “rompe”, anzi distrugge l’immagine: non per odio però, ma per amore, anzi per la “pietas”, per il rispetto dovuto al “Numinoso” e al “Mistero” che in quella carte si nasconde e si rivela.
Alcune religioni (ebraica, islamica) il problema l’hanno risolto alla radice: proibendo semplicemente ogni culto delle immagini; più radicalmente rendendo illecita ogni immagine destinata al culto. Chi può pretendere di dare un volto al sublime, all’inesprimibile, al divino, al Santo?
Ma che posso fare io, povero don Quijote de Casalina? Allora rivolgo due appelli a chi “può fare qualcosa”:
Il primo a chi può pubblica, dirige, progetta, impagina riviste e giornali: mai mettere Volti Santi nella copertina di quello che è destinato a durare normalmente lo “spazio d’un mattino”: tali i periodici di ogni genere, dalle riviste ai calendari, ai foglietti parrocchiali.
Il secondo ai vescovi cattolici: ammoniscano severamente, (meglio se li proibissero del tutto) gli editori di non mettere i Volti Santi sulle copertine. La Bibbia ammoniva di non fissare lo sguardo sul volto di Dio, se non si voleva morire. Oggi siamo davanti a un pericolo ancora maggiore. Che a morire sia Dio stesso o la nostra fede in Lui. Non ce lo possiamo permettere.
Che se doveste vendere qualche copia in meno, pazienza: Colui che è Santo ve ne renderà merito.