Cos’è mai la famiglia? Ad ogni cosa il suo nome


Sant’Agostino di Ippona, certo il più grande e amato dottore e Padre della Chiesa latina di tutti i tempi, dice così del tempo nel capitolo XI del suo immortale Le confessioni: «Cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, io lo so; ma se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so».
Mi è venuto in mente questo celebre aforisma, iniziando a riflettere fra me e me sul tema difficile, delicato, e oggi tremendamente sgusciante e sfuggente, della famiglia. Volerla definire oggi (e sottolineo oggi), è impresa ardua e complessa come poche.
Mi vedo quasi costretto a ritornare su quest’argomento, visto il consenso che il mio articolo di domenica scorsa, ha raccolto presso i miei lettori abituali, ai quali però non sarebbe sgradito che io ci tornassi sopra cercando di definire meglio il concetto stesso di famiglia. E allora, per venire direttamente al tema: cos’è dunque oggi per noi la famiglia?
Prima di iniziare a scrivere ho voluto consultare in Internet alcune serie di aforismi e di detti celebri sulla famiglia. Ne ho letti diversi, nessuno che sentisse il bisogno di spiegare o di scherzare su che cos’è una famiglia, o da chi è formata la famiglia tipo. Questo è il segno più evidente che tutti su di essa condividono l’atteggiamento del grande Agostino sul tempo: se non me lo chiedi, e dunque se non ne facciamo un problema di essenza o di definizione, io come te e come tutti so molto bene cos’è una famiglia, ma se cominciamo a parlarne, oggi (e sottolineo ancora oggi) non lo so più.
Fino a ieri (metà del secolo scorso), tutti sapevano infatti che una famiglia, almeno nell’Occidente greco-latino e cristiano, era composta da un lui, da una lei e da svariati “loro”, i figli (1,2,4,7,10,15, fino anche a 20 e qualche rarissima volta anche più).
Ma questo riguarda solo il nostro mondo, l’Occidente cristiano. Perché poi, se si allargano gli orizzonti della ricerca, beh, allora si deve dire che le varianti sono quasi innumerevoli come facevo notare e anzi elencavo nello scorso articolo. L’unico caso che non si incontra proprio mai riandando al passato, almeno a mia conoscenza, ma devo anche dire di non essere proprio un agguerritissimo familiologo, è la famiglia composta da due lui e da due lei. Questo non vuol dire certo che l’omosessualità non fosse conosciuta e praticata prima di oggi. Anzi la pratica ha avuto periodi di grande fortuna specialmente nella Grecia classica (Alessandro Magno, la poetessa Saffo) nella Roma repubblicana (Giulio Cesare, Catullo) e in quella imperiale (Nerone, Adriano) e infiniti altri nomi.
È l’idea d’una famiglia omosessuale che rappresenta una novità assoluta (seconda metà del sec.XX), una di quelle novità che, se dovesse passare nelle legislazioni contemporanee – e a quanto pare, sembra proprio che stia passando in un numero sempre crescente di Stati – potrebbero far cambiare idea anche all’antico saggio Qoelet, il quale dovrebbe prendere atto che sì, qualche cosa di nuovo si comincia veramente a vedere sotto il sole: una famiglia che ha soppresso uno dei suoi due poli, indifferentemente il maschile e il femminile, considerando del tutto pleonastica la presenza dell’altro. E con la precisazione che tutto questo viene visto oggi come una conquista di civiltà in nome della libertà personale, della libera scelta, e della relatività valoriale (ahimè la brutta parola!) del genere (gender in inglese, vuoi mettere?), cioè del sesso.
Sì, perché la vera rivoluzione di civiltà starebbe proprio qui: nella supremazia della persona su tutte le discriminazioni possibili – razza, cultura, lingua, colore, religione, censo, nazionalità: tutte conquiste ormai da tempo acquisite. Ne mancava ancora una, l’ultima, la più radicale definitiva e più importante di tutte, quella del sesso: quella stabilita da Dio stesso «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; _maschio _e _femmina li creò» (Gen 1,27) e che proprio il vangelo di Gesù Cristo ha abolito e soppresso, almeno a credere a Paolo di Tarso «non c’è più né uomo né donna» (Gal 3,28). E dunque, se non c’è più né uomo né donna, sembrano dirci i fautori di questa via, perché scandalizzarsi se due uomini o due donne vorranno unirsi e formare con ciò una famiglia, con tutti i diritti e con tutti i doveri di una famiglia?
Quali diritti? Ma certo tutti: convivenza, mutuo aiuto, intimità, riconoscimenti legali, giuridici, economici, sanitari e via elencando. Fino a quelli sessuale? “Ma certo, ci mancherebbe!”, sarebbe la risposta. Fino all’avere dei figli? “E perché no?” ci verrebbe risposto, magari con un tono appena un po’ meno perentorio, perché qui la natura proprio non aiuta, almeno per ora; un domani chissà? E forse neppure troppo lontano: la tecnologia fa miracoli molto più veloci e sicuri di quelli della fede: guarda quanta gente va a Lourdes e quanta poca ne torna risanata, mentre chi entra in una clinica (questi santuari della fede laica!) ne esce quasi sempre portandosi a casa il miracolo richiesto. E anche se si dovrà rinunciare a generare figli (intanto che magari si mettano a punto le tecniche necessarie per arrivare anche a questo), ci si potrà sempre accontentare d’un figlio adottivo (per i due uomini), o d’un figlio ottenuto con l’aiuto delle banche del seme. Che c’è di male?
Inutile negarlo, c’è del candore in questo entusiasmo da neofiti, da apostoli del progresso civile e dell’uguaglianza. Fa quasi tenerezza, tanta è la passione e la fede che sostiene questo entusiasmo. Ma c’è qualche ma…
E il primo e più decisivo dei “ma” è quello lessicologico.
Che la famiglia non sia un termine univoco, lo sappiamo da sempre. “Famiglia” si può dire di un sacco di cose: un seminario, una parrocchia, un’associazione, un’azienda, un club di calcio o un circolo ricreativo e mille altre cose ancora potranno ben dire, in senso figurato o analogico, “siamo tutti una sola famiglia”. Ma non è di queste che intendo parlare qui.
Quella a cui mi riferisco io è proprio quella che chiede, rivendica e pretende il titolo civile di “famiglia” in senso stretto, proprio, giuridico, come nucleo di convivenza riconosciuto dallo Stato e da tutti i suoi organi a parità di titolo, di diritti, di servizi con la famiglia di tipo tradizionale, consacrato da millenni di storia della civiltà. Ed ecco allora la domanda “fatale”: due donne che convivono in coniugio (con e iux,yug: sotto lo stesso giogo); due uomini nelle stesse condizioni chiedono di potersi dire e di essere riconosciute come famiglia. È ipotizzabile?
Ebbene questo è il mio parere, e lo dico a beneficio di chi in questi giorni me lo ha chiesto: a mio parere, e sottolineo a mio parere, no; non è ipotizzabile. PARLO DEL NOME, si badi bene, non della possibilità di convivenza e della possibilità di vedersi riconosciuti status e diritti “analoghi”. Mi spiego meglio: quando si parlò della legalizzazione dei PACS, io mi pronunciai per il sì, e lo farei ancora se se ne dovesse riparlare in futuro. Io riconosco a chi non ha le mie idee in materia, a chi non condivide la mia fede religiosa e civile, a chi crede di poter stabilire un rapporto stabile, paritario e continuato, con una persona umana dello stesso sesso: ebbene io gli riconoscerei il diritto civile di farlo.
Ma di usare lo stesso nome no. A loro direi: mi spiace, ma questo nome, questo termine, questo “logo” è già brevettato: dategli un altro nome e poi mettetelo pure sul mercato, e chi lo vuole lo compri. Ma non potete dare un surrogato a chi chiede un prodotto integro e nella ricetta originale. Insomma fate con questo marchio, quello che si fece con la pepsi cola quando volle imitare la coca cola.
Chiamatelo PACS o come altro volete, e io vi darò il mio sì. Che poi tra di voi vi piaccia dirvi “siamo una gran bella famiglia” mi starà anche bene. Ma che tutti sappiano che una famiglia vera è un’altra cosa.
E per riprendere il discorso di domenica scorsa, dirò anche che, se a me prete, due di voi veniste a chiedermi una benedizione (proprio in questi giorni di benedizione pasquale io la benedizione la do a chiunque me la chiede, anche ai divorziati e risposati a cui non posso dare la comunione perché la legge della Chiesa me lo vieta: ma Dio sa con quanta pena gliela nego!): ebbene io ve la darei senz’altro: verrei a darvela anche se mi chiamaste a benedirvi la casa nel giorno stesso del vostro patto coniugale, purché non mi chiedeste di venire a benedire il vostro matrimonio, perché matrimonio significa propriamente “patto intorno a cose che riguardano la madre” e nessuno di voi, uomini o donne che siate, potreste mai essere “madre e padre” della vostra “comune” creatura (perché mai sarà comune). Ma la benedizione ve la darei piena, anche se in cuor mio dovessi aggiungere “Signore guidali tu sulla via che conduce alla vita” e potrò pregarlo così perché so bene che il Signore è un po’ come l’Arco di Trionfo di Parigi al quale una intera stella di strade conduce. E di fatto anche così si chiama quella splendida piazza: Place de l’Étoile, piazza della stella. Ogni strada un raggio di luce, perché Dio non ha solo un raggio di luce per illuminare le mie tenebre, per raggiungermi, e dovunque io vada, lui saprà raggiungermi, perché le mie tenebre sono un meriggio di piena estate davanti a lui.
E alla Chiesa vorrei chiedere, con tutta l’umiltà e la fedeltà di cui sono capace (e se ancora sono qui a fare il parroco di Casalina, posso assicurare che di umiltà e di fedeltà ho dato prova bastante nella mia vita): a Te Madre Chiesa vorrei chiedere: sii giustamente intransigente sulla verità e sull’obbedienza di chi dice di riconoscerti e di credere in te; sii giustamente forte nel proporre il sublime che è nel tuo messaggio e che non viene da te ma da Colui che ti ha mandato a predicarlo, senza darti il potere di sminuirlo e di ridurlo, ma desisti dal voler imporlo anche a chi non ha ancora o non ha più la tua fede e la tua verità.
Così ti riuscirà solo di farti odiare e detestare sempre di più. Predica la tua verità, e soprattutto testimoniala; mostrane la bellezza e la grandezza e vedrai crescere intorno a te il rispetto e, col tempo, anche l’amore. Questo ti chiede un tuo figlio che, per te e per Colui che ti ha mandato, ha dato e continua a dare la sua vita.

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