La ricchezza, la potenza e la cruna dell’ago


Oggi non ho voglia di scrivere. Di niente. Mi sento sopraffatto da una settimana di titoli atroci. Forse alla fine quest’articolo risulterà proprio una serie infinita di titoli, presi dai quotidiani italiani, cui seguirà una geremiade o lamentazione che dir si voglia.
Stuprata in piazza di Spagna. È la seconda in 4 giorni.
Teheran: l’esercito apre il fuoco. Libia: Centinaia di morti a Bengasi. Mitra e razzi sulla protesta. Berlusconi attacca la Consulta. Bagnasco: Amaro calice da bere (ricevimento per l’anniversario del Concordato). Giustizia: nuova legge bavaglio. Il Cavaliere sfida il Quirinale: stavolta nessuno mi potrà fermare. La Lega non vota la festa nazionale per l’unità. Il silenzio dell’Italia sui massacri in Libia dà un immagine devastante dell’Italia. Libia: la rivolta incendia il Paese. La polizia spara sulla folla. È guerra civile: bombardamenti sulla folla. Strage di manifestanti. È genocidio. Ho visto donne uccise mentre offrivano acqua. I cecchini sparavano su vecchi e bambini. Borse a picco. Malpensa: un folle spara sulla folla. Gheddafi: i rivoltosi, ratti da sterminare. Disertori i soldati che non sparano sui manifestanti: carbonizzati i loro corpi, tagliati a pezzi, orecchie e nasi mozzati, torturati a morte. Disperati in fuga dall’inferno. Berlusconi bacia la mano al Raiss (chissà se sapevano di sangue?). La rivolta del mondo cattolico su giornali e settimanali cattolici: Bertone non vada dal premier. Travolto il vertice dell’Albergo Trivulzio (rieccolo! e lo chiamano “pio”, ndr). Anche Ruby al ballo delle debuttanti a Vienna: la “madrina” del ballo: è orribile! Bagno di sangue in Libia. Fosse comuni sulla spiaggia. Il Pdl accelera sul decreto salva-premier. I morti potrebbero essere 10.000. I manifestanti a cavallo dei cannoncini dei tank finiti nelle loro mani. La selva delle due dita a V segno di fiducia nella vittoria finale; o segno di vittoria già conseguita. Berlusconi prima non voleva disturbare l’amico, ora teme che “quel pazzo ci spari addosso i suoi missili». L’Europa non s’impegna a dare aiuto all’Italia nel caso di un’invasione di profughi”. Vieni con noi, ti garantiamo la rielezione e 150.000 euro di rimborso-spese per tutti i fastidi. Via da quell’inferno: a qualsiasi costo. C’è il rischio di una nuova recessione. Wikileaks: Berlusconi e le sue visite a dittatori e capi di governo o di Stati autoritari: visite private e affari d’oro. Bluff delle aste giudiziarie: business da 10 miliardi nelle mani dei boss e dei mafiosi. Gheddafi minaccia gli insorti di scatenargli contro un inferno di fuoco (amico?). I bonifici del caso Ruby: soldi, gioielli, case, macchine, posti in carriera. Sangue e caos nelle città libiche. Berlusconi e la Consulta: io faccio le leggi, la Consulta me le cancella. I soldi per le quote latte, tolti alla cura del cancro. Parte la guerra contro i PM milanesi. Dell’Utri e Ciancimino referenti di Cosa nostra.
E infine Maurizio Ferrara nel posto che fu di Enzo Biagi:
il Sanguigno e il Diafano / l’Elefant(ino) e il Canarino l’Urlatore e il Confidenziale / la Grancassa e il Flauto.
Niente di nuovo sotto il sole d’accordo, eppure oggi, chissà perché, c’è qualcosa che mi turba. Forse è questa persistenza dell’umanità nella sua scelta per il male che ci riporta ai tempi di Caino e di Lamech, del diluvio universale e dell’esodo dall’Egitto. Qualcosa che l’uomo non riesce a superare, a sconfiggere, tanto gli è interiormente, intrinsecamente connaturale: la propensione al male, questo “cupio dissolvi” che lo rende incapace di godere di ciò che ha, sempre diviso nella sua ansia di avere di più, di possedere di più, di contare di più, di godere di più. Di potere di più.
Sì, questa “sacra fames”, questa ingordigia mai sazia di Denaro e Potere. Questa frenesia di sapersi un gradino, mille gradini al di sopra degli altri, e vedere le formiche laggiù, ai tuoi piedi, prone, striscianti sulle loro zampette, che a te basta sollevare e premere l’alluce per schiacciarle senza pietà, per cancellarne perfino la traccia e il ricordo dalla faccia della terra. La sindrome della Torre di Babele, questo sfidare il Cielo per scrivere il proprio nome fin sulle nuvole e ancora più su, sulla sfera di cristallo che delimita il Cielo.
È certamente questa la peggiore negatività di quella che noi, con voce abbastanza ipocrita siamo soliti chiamare civiltà. Senza riflettere mai abbastanza che è proprio questo il peccato originale, quello che è all’origine di tutti i nostri mali: quando l’uomo ha deciso che non gli bastava più quello che aveva, fosse pure una cosa sola: giusto quella che gli era stata negata. Puoi mangiare di tutto fuorché di quest’albero. Tutto capisci, tutto, solo questo frutto, che non per altro ti sarà proibito, se non per ricordarti che non sei tu il padrone di tutto, che c’è Uno che ti sovrasta: uno solo, ma questo Uno Solo è Lui il più grande e tu lo dovrai riconoscere per tale.
E l’uomo ha detto no, non mi basta. Io voglio TUTTO! Solo il TUTTO mi basta. E se dovessi accorgermi che il TUTTO è al di fuori della mia portata, vorrà dire che mi accontenterò solo quando avrò raggiunto tutto quello che avrò potuto raggiungere, arraffare, incamerare, possedere lottando contro tutti e contro tutto. Anche contro Dio, perché proprio Dio, se c’è, sarà il più grande e invalicabile limite per me. Perciò lo vorrò cancellare. Dio non dovrà esistere, o mi limiterà.
Non fu proprio il più grande, il più luminoso degli Angeli, quello che si ribellò a Dio? Non fu proprio Lucifero, il portatore di luce, che disse voglio essere come Dio? E non fu proprio questa la tentazione di Adamo: sarai come Dio, conoscitore (cioè padrone e signore) del bene e del male?
Neppure la punizione gli giovò. L’ansia d’essere il primo, il più grande, gli si stampò dentro, e l’uomo diventò incapace di accontentarsi. Si accorse che a ogni scala si può sempre aggiungere un gradino in più, che a ogni passo fatto in una qualunque direzione, è possibile aggiungerne un altro, e se nel progredire, troverò un gradino o un seggio occupato, giù una spinta: e quello spazio quel gradino, quel seggio sarà pronto per me.
La tragedia è che la stoltezza umana ha fatto sì che questi mostri di avidità, di cupidigia, di ambizione noi abbiamo presto imparato a chiamarli “i Grandi”, e abbiamo coniato per loro dei nomi che tutti i “primi della classe” hanno ambito per sé a esclusione degli altri, a danno degli altri: Re, Imperatore, Principe, Duce (Duca) ecc… Abbiamo dichiarato Grandi i veri carnefici della storia, i condottieri: gli Alessandro Magno, i Gengis Khan, i Napoleone. La guerra diventò una nobile arte, che assicurava la gloria, e per la pace significò la fine. E chi più ne ammazzava diventava padre dei popoli come Stalin, il piccolo padre.
E questo è vero anche oggi. Sì, anche oggi, perché se oggi l’uomo ha imparato a detestare la guerra, la competizione è rimasta. Si è solo trasferita su altri campi, non meno cruenti, perché la fame e la povertà uccidono molto (e molti) più della spada: il potere economico (la ricchezza scandalosa come merito e titolo di gloria), il lusso che offende, l’abbondanza di chi svuota le dispense dei poveri per impinguare la propria. Perché la ricchezza deve essere esibita, mostrata, sfoggiata e tanto meglio se ci saranno attorno i poveri che ti guardano con l’acquolina in bocca: perché se non sei invidiato a che ti vale essere ricco sfondato?
Tanto potente e tanto sottile è questo sinistro potere della ricchezza, che è entrato in qualche misura anche là dove meno te l’aspetteresti: nella Chiesa e nelle chiese, negli ordini religiosi che fanno sì voto di povertà, ma solo per i singoli, perché da questo voto è dispensato l’ordine o la famiglia religiosa, e così via.
Basterà che si rifletta un poco a tutto questo, e si capirà senza sforzo perché i ricchi hanno tanto successo nella vita. Ma anche perché Gesù abbia detto un giorno: «È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno dei cieli».

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