La difficile lettura dei segni dei tempi


Si fa presto a dire “segni dei tempi”. E infatti tutti ne parlano. E tutti si impalcano a esperti lettori e interpreti di questi enigmatici messaggi che tendono a informarci su ciò che ci aspetta se noi non sapremo interpretarli.
Spesso anzi, sulla loro corretta interpretazione si accendono aspre dispute, nelle quali ognuno tira le parole o gli eventi giusto nel senso a lui più favorevole, aumentando così il pericolo di sbagliare. Sicché alla fine è come se qualcuno ti mandasse un messaggio in codice. Potrebbe anche salvarti la vita, ma se non lo sai decifrare, potresti anche morire pur avendo la salvezza a portata di mano.
Qualcosa del genere accade ogni giorno, per tutti.
I fatti sono quelli: oggettivi, numeri esatti di cui tutti siamo a conoscenza, ma di cui ognuno di noi offre una lettura diversa, ognuno con le sue brave ragioni, tutti convinti di essere nel vero, tutti convinti che tutti gli altri sbagliano, che “come fanno a non vedere ciò che è tanto evidente a chiunque abbia un po’ di buon senso”. Eppure…
Eppure ci si divide e ci si contrappone su tutto. Vale per la politica, come vale per la Chiesa. La base ti volta le spalle, ti allenta una sberla che ti rintrona la testa, ti manda messaggi a senso unico che ti sono sgraditi? Allora cambi qualcosa, ma in modo che tutto rimanga com’è. Così Berlusconi incorona Alfano a segretario del PdL per rimanere lui il padrone assoluto. Sarà proprio questo ciò che gli elettori avevano mandato a dirgli?
Anche le Chiese si prendono le loro sberle: le chiese si svuotano? i preti sono sempre di meno e sempre più vecchi? i giovani convivono senza sposarsi? E noi ti ridiamo la messa in latino, il gregoriano, e torniamo alla talare!
La base contesta il magistero della Chiesa sull’etica sessuale? sulla genetica? sulla famiglia? sulla pratica sacramentale? sulla gestione dei patrimoni ecclesiastici? E noi ti dimostreremo che Gesù è davvero risorto da morte, che Dio è Uno e Tre, che solo la Chiesa (anzi il papa) è infallibile… E soprattutto ti dimostreremo che la Chiesa non ha niente da imparare dal mondo, perché non è la Chiesa che si deve uniformare al giudizio del mondo, ma è il mondo che si deve convertire alla Parola di Dio. Condotta per mano dallo Spirito santo, la Chiesa deve solo riuscire a farsi capire dal mondo e a fargli amare ciò che essa insegna.
Aprendo il Concilio Vaticano II, papa Giovanni XXIII affidò alla grande assise un compito su tutti: né definizioni dogmatiche, né anatemi: bensì un “aggiornamento” del linguaggio teologico, catechetico, pastorale: un linguaggio che sappia parlare all’uomo dell’amore col quale Dio lo ama: sapendosi veramente amato da Dio, l’uomo potrà lui stesso amare Dio, ottenendone salvezza.
Questo compito, così carico d’ottimismo, sembrò dare le ali al cattolicesimo di quegli anni. Le chiese si riempirono di giovani, i presbitèri erano affollati di ragazze e ragazzi armati di chitarre, di flauti, di batterie che seppero dar vita a una primavera tanto gradita quanto inattesa.
Nuovi ritmi e nuove parole soppiantarono il gregoriano. Molti canti avrebbero certo meritato il cestino, ma altri canti sono ormai entrati nel repertorio nazionale.
Ci si poté sentire tutti all’alba d’un nuovo millennio e d’una nuova era, ma durò poco. Ben presto si riaffacciò la paura, si misero dei freni, si proibirono esperienze promettenti. “Non si capisce più niente, ci cambiano la religione”.
Piano piano i presbitèri tornarono a svuotarsi e dopo i presbitèri, le chiese. Anche molti altari si svuotarono perché anche i preti se ne erano andati. A migliaia. A parecchie migliaia.
Ora le chiese sono vuote, e sugli altari sono sempre gli stessi pochi preti che passano da una chiesa all’altra, sempre più anziani e sempre più stanchi. Ma sempre al loro posto, ammirevolmente, malgrado gli anni e la fatica.
E ti si stringe il cuore quando vedi le moschee e le piazze delle nostre città piene di musulmani prostrati in preghiera. E ti domandi che fare.
Poi vedi anche Piazza San Pietro piena fedeli ogni mercoledì mattina per l’udienza generale, e il papa in Sicilia, a Londra, in Israele che riscuote simpatia e successo, e le centinaia di migliaia (a volte milioni) di giovani alle Giornate mondiali, le folle di pellegrini a San Giovanni Rotondo, a Medjugorje o la continua file di pellegrini sulla tomba di Giovanni Paolo II e allora dici che davvero questa è una primavera dello Spirito Santo…e ti fa ancora sperare.
Ma poi ti arriva una notizia: il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano lascia la sua diocesi, una della più grandi e importanti dell’orbe cattolico per raggiunti limiti di età.
Tettamanzi, mite teologo moralista, non si è mai fatto notare per posizioni d’avanguardia o di rottura; era però riuscito a imporsi all’attenzione del cattolici italiani proprio per l’equilibrio e la mitezza della sua azione, sempre attento ai valori dell’accoglienza, della carità, sempre lontana dalle asprezze di certa politica che proprio al Nord, proprio nella sua diocesi, alimenta e promuove sentimenti di becero razzismo xenofobo.
Tettamanzi, pur non potendo competere con l’immenso carisma del suo predecessore, il card. Carlo Maria Martini, era riuscito nondimeno a porsi come l’ultimo punto di riferimento per ogni cattolico italiano che faticava a riconoscersi nella linea ormai dominante nell’episcopato italiano, pressoché tutto omologato al modello ratzingeriano di Chiesa. Una Chiesa che va sì verso il futuro, ma con lo sguardo, e probabilmente con il cuore, volti ancora indietro a rimpiangere un modello blandamente preconciliare che aveva i suoi simboli più adeguati nei paramenti, nella lingua (latina) e nelle formule della liturgia e della teologia tridentina.
Usciti di scena, chi per morte, chi per raggiunti limiti d’età i Ballestrero, i Pellegrino, i Lercaro, i Bettazzi, i Rossano, i Bellò e appunto i Martini e i Tettamanzi, al “cattolicesimo democratico” (Vito Mancuso) non resta più nulla o quasi. Milano, con la sua grande tradizione Montini-Martini-Tettamanzi aveva saputo offrire all’anima più dialogante della Chiesa italiana una casa e un punto di riferimento. Ora con l’avvento del card. Angelo Scola, di estrazione ciellina, è difficile non pensare a una volontà di normalizzazione.
Il cardinale Scola gode certo di ottima reputazione, ma la sua età (settanta anni e dunque a solo cinque anni dalla pensione) gli nega le credenziali per un’azione di lungo corso e respiro. E intanto a Milano, dove già imperano i don Verzè e i Formigoni, arriverà un altro CL.
Immagino che qualcuno mi rinfaccerà: non parla così un uomo di fede. Chi ha fede nella Provvidenza crede anche nelle cause seconde. E io pure ci credo.
Ci credo, ma mi guardo bene dal dire che ogni cosa che accade nella Chiesa viene direttamente dal dito di Dio. Troppe volte la Chiesa ha dovuto dolersi, o addirittura pentirsi, per cose di cui aveva ringraziato il Signore. Perché molte volte è accaduto che le cause seconde (gli uomini), hanno saputo dare scacco matto alla stessa Causa Prima (Dio). Non sarà questo il caso, certamente. Ma molte volte è accaduto.

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