La carne e il sangue… e Dio?


Stamattina il mondo si è svegliato ancora una volta sotto shock: un attentato in Norvegia, o forse solo il gesto d’un folle, d’una mente malata. Due episodi in tempi ravvicinati e in luoghi diversi, ma anch’essi vicini: 91 morti in tutto, una gravissima strage, tra gli ignari ospiti di un’isoletta a poche miglia dalla capitale, dove 600 giovani laburisti s’erano dati convegno per un meeting.
All’inizio si è parlato con insistenza di un gruppo jihadista che aveva avuto la “cortesia” di annunciare che questo era solo l’inizio. Inizio di che? Qualcuno ha pensato a una catena di attentati per vendicare la morte di Bin Laden. Altri ipotizzavano qualcosa che abbia ancora a vedere con le vignette blasfeme su Maometto, pubblicate anni fa in Danimarca. L’odio e la vendetta hanno corso lungo nel mondo islamico fondamentalista, e possono colpire dopo anni.
Ora però, pur non lasciando cadere del tutto questa pista si cerca in altre direzioni.
Oggi, sabato 23, le notizie sono diverse. Non sai dire neppure se le nuove siano migliori o peggiori. Avrebbe fatto tutto da solo un giovanotto, norvegese lui stesso, cristiano fondamentalista, antislamico, di destra estrema, simpatie neonaziste, appassionato di videogiochi.
Calmo, lucido, avrebbe piazzato prima gli esplosivi nei palazzi del governo, poi, intanto che nella capitale si scatenava l’inferno con intervento dell’esercito della polizia delle ambulanze e delle croce rosse, lui si è diretto in tutta tranquillità verso l’isoletta di Utoya, a bordo di una barca, vestito da militare. Ha detto che era lì per dei controlli di sicurezza. Ha fatto mettere in fila i partecipanti, poi con lucida, calma freddezza li ha falciati con un fucile automatico, uno per uno, con sistematico rigore.
Alla fine i morti saranno 91 (fino a questo momento), tutti giovani o giovanissimi. Le ricerche dei corpi continuano in mare.
A questo punto la Norvegia come tutta l’Europa e tutto l’Occidente, rimasti senza parole, cercano d’interrogarsi sul senso, se un senso può esserci, in tutto quanto è avvenuto, e quale sia questo senso.
La Norvegia è considerata nel mondo un isola felice. Grande un po’ più dell’Italia (385.199 km2 per una popolazione che si aggira sui 5 milioni e un reddito medio di 55.000 $ procapite, il secondo del mondo dopo gli USA; contro i 60 milioni di abitanti dell’Italia, distribuiti sui suoi 301.336 km², con PIL medio che si colloca al 23° posto, più o meno, nel mondo): civilissima, con una struttura di assistenza e previdenza sociale (welfare) fra i più evoluti ed efficienti al mondo, un rispetto della natura e delle risorse naturali veramente esemplari. La Norvegia va giustamente fiera della sua terra, della sua capitale e della sua civiltà.
Ebbene questo paradiso terrestre ieri si è trasformata per qualche ora in una specie di assurda Kabul fuori contesto.
Potrò sbagliarmi, ma questo caso pone la nostra coscienza europea di fronte a un paradosso, che cercherò di enunciare così.
È un fatto, che quasi tutti i media, di fronte a un attentato così articolato e lucido, come primo pensiero, o sospetto, hanno pensato a un attacco islamico. Nessuna pista, certo, veniva esclusa, ma è significativo che nelle prime ventiquattro ore i media abbiano prospettato quasi solo la pista islamica, giusto con qualche variante, come la più probabile.
Ormai però sembra proprio che l’Islam non c’entri. Il paventato spauracchio islamico cede il terreno a una figura molto ok, molto scandinava, un bel ragazzo dall’acconciatura convenzionale, nessuna stranezza nel vestito, nel look, insomma molto norvegese, e della buona borghesia norvegese. Insomma il diavolo non ha più la barba né la testa coperta dei mullah orientali, è il bravo ragazzo della porta accanto o del dirimpettaio ben educato.
Chi è Anders Behring Breivik, il presunto attentatore dell’isola di Utoya? Cosa si sa di lui?
Che è un fondamentalista cristiano, ha 32 anni, è proprietario di una fattoria a 150 chilometri da Oslo, che fin da giovane ha professato idee nazionaliste. Ama i videogame online, per anni ha militato nel partito ultraconservatore norvegese. ma niente del blackbloccaro trucido e spaventevole, armato di spranghe, catene metalliche, imbottito di petardi, di esplosivi fatti in casa, sempre disposto, anzi smanioso di menar le mani, dare alle fiamme le auto, fracassar vetrine, e pestare poliziotti e sfortunati o incauti passanti.
Tutt’altro. Bello, alto, biondo, celibe: l’ideale per tua figlia o per tua nipote. Non porta nemmeno l’orecchino. Un vero norvegese doc, perfino cristiano, magari a tendenze fondamentaliste e un po’ troppo vicino agli ambienti dell’estrema destra xenofoba. Alcuni messaggi via Internet “lasciano pensare – dice le polizia – che avesse idee di destra e anti-musulmane, ma è troppo presto per dire se questa è stata la ragione del suo gesto”. La sua foto diffusa via Facebook lo mostra sorridente, sicuro di sé, sportivamente elegante.
Poi emerge qualche dato un po’ meno tranquillizzante: milita in ambienti estremisti e aveva due armi registrate a suo nome, fra le quali un fucile automatico, probabilmente lo stesso con cui ha aperto il fuoco all’impazzata contro i circa 600 partecipanti del campus laburista. Il quotidiano Verdens Gang ha intervistato un suo amico che ha raccontato come l’uomo si sia avvicinato all’estrema destra in gioventù, intorno ai vent’anni. Il quotidiano riferisce inoltre che partecipava regolarmente ai forum online esponendo idee fortemente nazionaliste. Queste le notizie che ho potuto raccogliere oggi sabato, fra le 10 e le 15, cercando su Internet.
Una domanda elegante: svanito il pericolo islamico, emerso lo shock dello stragista cresciuto in famiglia, che farà ora la Norvegia? Tirerà un respiro di sollievo sentendo scongiurato il pericolo islamico, o sprofonderà nell’ angoscia per il mostro allevato in casa, improvvisamente emerso dal fiordo di Utoya?
Perché se la Novergia, isola di pace e di benessere, ha potuto produrre un Anders Behring Breivik, chi ci potrà assicurare che altri non vi possano nascere e crescere e prosperare?
Perché se resta il caso d’un folle isolato, è sempre comunque male, ma non irreparabile. Diverso sarebbe se fosse una vera ondata di “sonno della ragione”, di quello che genera i mostri che ci dipingeva il grande visionario spagnolo Francisco Goya. Era 1797, e per la Francia e l’Europa finiva già l’ “età dei lumi”. Stavano per cominciare le folli corse napoleoniche «dall’Alpi alle Piramidi / dal Manzanarre al Reno» con qualche fuori pista fini agli Urali e alle Piramidi; era alle porte i secoli XIX-XX che avrebbero visto prima il crepuscolo e poi la fine dei grandi imperi in veri fiumi di sangue umano: e sui solchi “abbeverati di sangue impuro” (La Marseillaise) sarebbero sorte le più sanguinarie ideologie dell’ancor breve storia dell’umanità.
Ma nella vicenda di Oslo e di Utoya c’è qualcosa che m’inquieta: che del folle (?) assassino si ripeta spesso: cristiano (fondamentalista, ultra conservatore). Non sono gli stessi aggettivi che si usano per indicare gli islamici dediti allo stragismo? Quasi si volesse dire: che t’ammazzi Allah o il Dio di Gesù Cristo fa grande differenza? E se fosse l’idea stessa di Dio che vuole sangue? E dello stesso Gesù non si dice ci ha redenti col suo sangue?
Ma è finito lo spazio. A domenica prossima.

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