Elogio della maldicenza


Oggi parlerò di maldicenza. Anzi ne tesserò l’elogio.
La maldicenza ha d’una funzione sociale: intanto ci permette di star bene con noi stessi: perché conoscete qualcosa che ci gratifichi di più del parlar male degli altri? Parlar male degli altri mi permette di pensar bene di me. «Io non sono come gli altri» pregava il fariseo.
Perché noi siamo tutti un po’ polli: ci piace beccare sulla testa e sulla coda il compagno di pollaio più debole di noi. Finché non lo vediamo steso. E poi, quando condanno l’errore del mio simile, io ho il diritto di pensar bene di me: io non l’avrei fatto mai. Mi sento anche più sicuro: finché si sparla degli altri non si dice male di me.
Proprio per queste sue “belle qualità” la Chiesa e la morale hanno sempre giudicato la maldicenza come vero e proprio peccato (di diversa gravità, (si può andare dal semplice peccato “veniale” della chiacchiera oziosa, al peccato anche grave della diffamazione, fino al peccato, che può anche essere moralmente gravissimo e penalmente rilevante, di calunnia grave.
Per gli stessi motivi, la maldicenza ha sempre goduto di cattiva letteratura presso i moralisti e gli educatori preposti alla formazione alle virtù civiche. Epperò…
Però io voglio tentare qui la rivalutazione della maldicenza, esaltandone l’insostituibile funzione civica, etica e perfino morale. Anzi addirittura politica.
Quest’idea mi è cresciuta dentro in tutti questi mesi e soprattutto in questi ultimi giorni, in cui abbiamo tutti dovuto assistere a un’esplosione orgiastica della maldicenza, proprio nella sua forma più sofisticata, quella del gossip.
Già perché il gossip è anche un’arte. Ricordate la celeberrima aria di don Basilio dal Barbiere di Siviglia del sommo Rossini? Un prodigio di ironia nera e sinistra come la tonaca nera di chi la canta, per una massima che rappresenta oggi una specie di vangelo per una certa stampa anche politica italiana: “calunniate, calunniate, qualcosa rimarrà”. Chiunque l’abbia detto per primo (Beaumarchais?) ha detto una verità. Gossip, scandalismo o tutto ciò che volete voi, come un’arte e un’arma politica: ci sono organi di stampa (li conosciamo tutti) che ne hanno fatto un metodo. In fondo basta avere qualcuno alle spalle che paghi per noi le penali. Che sarà poi lo stesso che trarrà beneficio dall’offensiva mediatica.
A volte però succede che qualcun altro impari la stessa arte, e i vantaggi che se ne sono già avuti, potrebbero anche ritorcersi contro il primo beneficato. Niente di più normale: io posso ben usare una pistola contro chi l’ha costruita, o usare le bombe che ho acquistato contro chi me le ha vendute. Parafrasando il Vangelo: chi di calunnia colpisce, di calunnia anche può muore. Malgrado questo, certa stampa non va mai in crisi.
Non sorprende allora che oggi siano in tanti a muoversi con accanimento contro il gossip, invocando leggi più severe contro i violatori del privato. Soprattutto una cosa dà fastidio ai difensori della privacy: le denunce a orologeria, come le chiamano, quelle che compaiono sempre un mese prima delle elezioni. Insopportabili persecuzioni le chiamano.
Ebbene proprio di queste denunce io voglio farmi difensore con queste righe, e in loro favore spunterò la mia penna.
Io non pretendo da nessuno che vivano come gli eremiti della Tebaide, o come san Luigi Gonzaga. Si divertano pure nelle loro regge o nelle loro caverne dorate: se vogliono calpestare la morale, almeno rispettino sempre la legge, specialmente quando dalle loro case passano alle piazze.
Perché sia la morale sia il diritto concordano nel negare questa inviolabità del privato nel momento in cui esso pretende di fare irruzione nel pubblico, sia che si tratti di una discesa in campo (politica), d’un’entrata in scena (comunicazione) o d’una salita in cattedra (sia essa scolastica o religiosa).
Più chiaramente: finché ti rotoli nel tuo cortile o nella tua camera da letto, puoi anche fare di tutto purché non sconfini nel penale; ma dal momento che tu vieni davanti a me a chiedere il mio voto (politica), la mia adesione al tuo magistero religioso (chiesa) o civile (scuola) allora io ho TUTTO IL DIRITTO di sapere tutto di te: chi sei, che fai, cosa insegni, come ti comporti sia quando stai in piedi sia quando vai a letto: per vedere se ti posso affidare il mio futuro, i miei figli, la mia coscienza e la mia anima.
E questa esigenza sarà tanto più grave e urgente quanto più grande è la quota di potere che tu mi chiedi e che la mia fiducia ti assegna. Al massimo grado questo si verifica in ambito politico: perché la mia fiducia può arrivare a mettere nelle tue mani la sorte del Paese intero, e dunque anche il mio: il mio lavoro, i miei risparmi, la mia carriera, i miei figli, la mia salute, le infrastrutture di cui mi servo per muovermi e per lavorare: e soprattutto, la mia stessa libertà, e la libertà del mio Paese e dei miei figli.
O tu pretendi che io mi fidi di te e delle tue parole? Se non sapessi che Parigi val bene una messa! E che, pur di avere una fetta di potere, folle intere sarebbero disposte a camminare sul corpo della madre, morta o viva che sia! E tu vorresti che io mi fidi delle tue promesse, senza sapere se ti meriti o meno la mia fiducia? Come se non sapessi a quali volgari compromessi i politici di tutto il mondo sono disposti pur di conseguire il potere.
E allora mi sento nascere dentro il grido: «abbattete tutti i muri: voglio poter guardare dentro! Abolite tutti i filtri: voglio poter ascoltare tutto! Mettete telecamere in ogni angolo e cimici sotto ogni tavolo e ogni sedia, ch’io sappia cosa pensa, cosa dice, come opera colui nelle cui mani devo affidare il mio destino e, col mio, quello della mia famiglia, della mia impresa e del mio stesso Paese.
Allora sento nascere in me, urgente, il bisogno di dire grazie a tutti quelli che, in mancanza delle pareti di vetro e delle cimici, mi faranno sapere chi è veramente quel tale che con voce melliflua mi chiede il voto, promettendomi “felicità”, giustizia, sviluppo, lavoro e servizi efficienti per tutti, perché non vorrei venire a sapere dei suoi traffici, quasi sempre sporchi, solo dopo che l’avrò votato, perché allora saperlo non mi servirà più.
Vorrei che anche da noi, come avviene in America, il candidato venisse passato ai raggi X prima e non dopo ogni votazione: lui e i suoi traffici con le cameriere, i faccendieri e gli uomini d’affari. Perché se la sua “fedina d’onore” non fosse illibata al pari di quella penale, io lo possa liquidare prima, perché poi sarebbe troppo tardi.
Perché la maldicenza, contrariamente a quello che normalmente si pensa, non è solo, né principalmente il vizio degli spiriti piccoli, né solo un peccato: essa, dal punto di vista sociale, è una vera profilassi: le società rurali se ne servivano per garantire il rispetto delle norme riconosciute e accettate da tutti, quelle norme alle quali era affidato il rispetto delle convenzioni che venivano considerate essenziali alla vita di quella società. Una profilassi perché erano un deterrente forte: non fare il male se non vuoi andare sulla bocca di tutti; perché se no, per te, la vita si farà dura.
Oggi nessuno più ha paura di “andare per bocca”: e i risultati si vedono. Di fatti guardate quanto vanno bene le nuove famiglie, le scuole… e la politica! I De Gasperi, i De Vittorio, i Berlinguer, i Pertini, i Ciampi non abitano più da noi. Ah, no scusate, uno ce n’è ancora, ma abita purtroppo, solo solo, al Quirinale.