Censura, ovvero: i dogmi dei laici


Oggi forse finirò sul rogo. Su un rogo laico intendo. Che sarà pure laico, ma che sempre rogo è. Un rogo laico non ti brucia su una pira: si limita a metterti due orecchie d’asino, come a Pinocchio, e a cancellarti dal novero dei maîtres à penser.
L’occasione mi è offerta da un libro uscito in questi giorni, in cui si prende di mira La Censura: una moderna storia dei suoi misfatti.
La verità è che mi prefiggo di mettere in discussione un dogma laico. Perché anche i laici hanno i loro dogmi. Neppure pochi. Anche se non hanno un papa infallibile da seguire. Il dogma laico di cui intendo parlare oggi, è la condanna di ogni censura.
Secondo la visione laica la censura è (quasi) sempre un male. Liberticida, oscurantista, serva sempre gravida del potere, nemica della libertà, della verità, del progresso, dello sviluppo culturale e civile dell’umanità.
Conosco l’obiezione: è delittuoso limitare la libertà d’ espressione perché nessun progresso è possibile là dove si nega la libertà di denunciare limiti, difetti, torti, errori, delitti, misfatti dell’esistente. Le tirannie, le dittature, le superstizioni, le ideologie totalitarie, le religioni prosperano proprio sulla superstizione, sulla rassegnazione, sull’ignoranza; e sulla paura. Perché proprio a questo va la predilezione del potere assoluto: al consenso, comunque inteso e ottenuto. O almeno al silenzio. Perché quando non si ottiene consenso, può anche bastare il silenzio. E allora serve la paura. E la censura serve proprio a tenere desta la paura.
Cosa ne penso? Che sono d’accordo anch’io, e tutta la mia storia lo prova. Perciò posso parlare e scrivere di censura.
Malgrado questo oggi voglio tessere il mio “Elogio della Censura”, anche a rischio di far arrabbiare i miei censori. In fondo se il sommo Erasmo da Rotterdam ha potuto scrivere il suo immortale Elogio della Follia, perché, non potrei, io, nel mio piccolo, scrivere un minuscolo Elogio della Censura?
Innanzi tutto un punto fermo: so molto bene che senza la critica, la contestazione, la disobbedienza, la provocazione, la trasgressione e simili, l’umanità non farebbe mai un solo passo in avanti. Non si cambia una casa, non si lascia una città per un’altra, se prima non c’è stato un giudizio di inadeguatezza si ciò che si intende lasciare e uno di maggiore opportunità su quello che si intende preferire
Allo stesso modo non ci sarà mai un consenso condiviso su una nuova idea, se non ci sarà stato prima un giudizio negativo su quella che si vuole abbandonare e un giudizio positivo su quella che si vuole adottare per il futuro.
Il merito della critica o della trasgressione sta proprio nel fatto che essa rende percepibile ai molti ciò che all’inizio era stato intuito da pochi, forse addirittura da un solo. Ciò vale nell’ambito scientifico (Copernico, Darwin) e in quello politico (Mazzini, Cattaneo), in quello etico (quante cose ieri proibite, oggi sono universalmente accettate) e in quello religioso (il Concilio ha reso correnti nella Chiesa intuizioni per le quali pionieri come Rosmini e Mazzolari avevano dovuto soffrire molto).
E allora – immagino che qualcuno vorrà obiettare – se questo è ciò che tu pensi, perché scrivere un elogio della Censura? Non è una contraddizione in termini?
La mia risposta è no!, non c’è contraddizione, perché c’è censura e censura, come c’è trasgressione e trasgressione, disobbedienza e disobbedienza.
La sveglia la suonò, in ambito cattolico, don Lorenzo Milani, con il suo celeberrimo «L’obbedienza non è più una virtù» (1965), ribadita dall’ancor più celebre «Lettera a una professoressa» (1968) che rappresentò una specie di Libretto Rosso della contestazione cattolica nel Sessantotto e dintorni. E in molti gli sono andati dietro.
E allora perché elogiare la censura?
Perché c’è censura e censura. E qui arriva la mia bestemmia: c’è una censura buona e ce n’è una cattiva, una che viene dalla parte migliore dell’uomo e una che viene dalla sua parte peggiore; una che tende a difendere la retta crescita e il retto sviluppo della parte nobile dell’uomo, specialmente nelle età in cui crescita, sviluppo e formazione delle qualità morali dell’individuo sono più a rischio (infanzia, adolescenza, e i diversi momenti critici dell’età adulta); e una che tende a reprimere tutte le più nobili aspirazioni alla libertà dello spirito umano: in politica, nell’arte, nella scienza, nella pedagogia, nella religione. Contro questa censura è sacrosanto reagire e resistere anche a costo di pesanti sacrifici personali.
Ma quando si parla di censura, non si parla mai (o quasi) di questa cattiva censura. Si parla sempre, invece (o quasi) di quella censura contro cui tutti sono pronti a scatenarsi: al cinema, sui libri, in teatro, nei varietà, alla televisione e via discorrendo.
“Gli italiani sono maturi abbastanza”, è il grido dei libertari accaniti, “per decidere da soli ciò che vogliono e possono vedere e ciò che non vogliono o non possono vedere”.
È qui che io pongo tutte le mie riserve su queste scomposte rivendicazioni .
Nessun rimpianto per l’Indice dei libri proibiti. Nessun rimpianto per la Sacra Inquisizione (che di sacro aveva ben poco). Nessuna nostalgia per i costumi delle educande, ma anche nessun apprezzamento per tutto ciò che le televisioni di tutti i tipi ti portano in cucina o in sala da pranzo, o in camera da letto a qualunque ora del giorno e della notte.
Non parlo solo di sesso, anche se questo, forse, è ciò che viene subito alla mente parlando di censura; parlo anche della violenza; di quella violenza che va già diffondendosi a macchia d’olio, se c’è qualcuno che si diverte a lanciare pietre dai cavalcavia delle autostrade per «vedere di nascosto l’effetto che fa»; se tre giovinastri arrivano ad ammazzare a calci e a pugni, come hanno visto fare mille volte al cinema o in televisione, un poveraccio che ha investito e ucciso un cagnolino neppure tenuto al guinzaglio; se i tredicenni violentano in branco la compagna di scuola undicenne e così via.
È allora che si sente il bisogno di un limite, o di un freno. Quando cioè ci si appella agli istinti peggiori, meno nobili, meno alti dell’uomo.
O anche questo è un progresso? Se così è, se così va bene, si vada pure avanti così. Però attenti: bisognerà poi guardarsi bene dal piangere e dal mostrare meraviglia, sconcerto, quando questi comportamenti si trasferiscono dallo schermo, dal video, dalla carta stampata e da quella patinata direttamente sulle nostre strade, nelle nostre case, nelle nostre camere da letto, o nei bagni delle nostre scuole. Neppure ci può star bene quando queste cose capitano agli altri e protestare se dovessero capitare a noi. Perché io mio figlio lo avevo tirato su bene. Sono gli altri che me l’hanno guastato. Già gli altri. Gli altri chi?
Gli italiani sono maturi, e sanno decidere da soli ciò che vedere e ciò che non vedere.
Siamo proprio sicuri? Tutti gli italiani? Non ci sono fra noi maniaci, immaturi, violenti, tossici, disperati che non hanno settemila euro a botta per pagarsi una escort? Non ci sono ragazzini già drogati dal troppo sesso visto in TV? Perché allora ti domandi dove andremo a finire? Esattamente dove si vuole andare a finire. Al bordello. O al mattatoio.