Unità dei cristiani perché il mondo creda


Ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, la Chiesa cattolica e in generale le diverse Chiese storiche sono impegnate a pregare in comunione di intenti per l’unità di tutte le confessioni cristiane, perché siano finalmente raccolte in un’unica Chiesa, senza più divisione di nomi, di confessione di fede, di norme canoniche e giuridiche, di formule liturgiche e canoni di preghiera.
Tutte le Chiese sono, o si dicono consapevoli che questa divisione rappresenta uno scandalo insopportabile per la coscienza cristiana avvertita e ben educata, e una palla di piombo al piede per ogni sforzo di evangelizzazione del mondo moderno, sempre più secolarizzato e laicizzato, sempre più ateo o almeno agnostico, sempre più incline al relativismo e al pragmatismo sia sul piano civile che su quello giuridico, sia, soprattutto, su quello etico. Eticamente accettabile è, oggi, tutto ciò che è maggioritariamente condiviso. Mutando il consenso, muta la norma, e ciò che ieri era proibito oggi diventa lecito, e ciò che oggi è lecito, domani potrebbe non esserlo più. Non è più la legge a informare le coscienze, è la coscienza a formulare la norma, correggendo, sopprimendo, imponendo; cancellando leggi civili, norme etiche e morali, comportamenti di massa e costumi tradizionali. In una visione come questa non c’è spazio per una Chiesa o per una Religione che pretenda di imporre valori e giudizi morali universalmente valide e obbliganti: cristiani e musulmani da questo punto di vista sono ugualmente malvisti e mal tollerati dal pensiero laico imperante.
Aggrediti in questo modo dal ‘nemico’ comune (si tranquillizzino i laici, non li considero affatto nemici né sul piano personale né su quello civile; ho usato il termine più forte solo per sottolineare una strategia e una volontà antiteista che da almeno due secoli si dichiara fautore e promotore della ‘morte di Dio’.
Di fronte a questi moderni aspiranti ‘deicidi’ (mi sono occupato qualche tempo fa di uno di loro, definito forse un po’ pomposamente uno dei tre maître-à-penser più influenti del pianeta, Richard Dawkins, che in un suo libro recentissimo illustrava tutti i mirabolanti vantaggi che verrebbero all’umanità, se le riuscisse di seppellire per sempre l’idea di Dio), i cristiani pare che non trovino niente di meglio da fare che sfinirsi in interminabili dispute teologiche, conferenze, commissioni, meetings, settimane di studi nazionali e internazionali, su questioni che, se anche trovassero una soluzione a livello accademico e confessionale, lascerebbero assolutamente invariato il tasso di ignoranza, insignificanza, indifferenza, intolleranza, insofferenza verso il fatto e il dato religioso nel ricco e sazio e ormai largamente scristianizzato e pagano Occidente.
Mi è difficile prendere atto che dopo duemila anni di eresie, guerre religiose fra Stati che si dicevano tutti cristiani, processi inquisitoriali e roghi sulle piazze, non ci si renda ancora conto che non è la ‘verità’ delle scuole teologiche e neppure quella dei simboli di fede e dei canoni dei concili quella che salva il mondo, e la Chiesa, e le Chiese; quella che ci salva è solo la VERITÀ di cui ci parlava Gesù, quella che, sola, può farci «liberi» (Gv 8,32); quella che ci farà amare Dio e «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4); che ci renderà liberi dalla «Legge» (Gal 4,4), riscattati dalla persona, dall’opera e dal sacrificio di Cristo.
Sono profondamente convinto che l’uomo dei nostri tempi grassi e supertecnologici (e anche l’uomo del tempo a venire, che lo saranno ancora di più e su scala veramente globale) possa ancora sentire, e forse lo sente già, il fascino di Cristo: Divino che si fa carne, libertà al di sopra di ogni convenzione, purezza riscattata da ogni legalismo che rende impuro anche ciò che è puro (cfr At 11,9). O anche: Uomo che sa innalzarsi a sfere che solo al Divino sono concesse, di cui l’uomo comune sente il fascino e il rimpianto anche quando la fede d’origine è altra, come dimostrano i tanti non cristiani che ammirano Cristo del quale riconoscono la forza profetica, pur non potendo riconoscerne la divinità. «Il più bello dei figli dell’Uomo» continuava a considerarlo e a proclamarlo l’ex-seminarista cattolico Joseph-Ernest Renan, anche quando aveva smesso di credere nella sua divinità; e ancora oggi molti lo considerano il più alto vertice mai raggiunto dall’uomo nella sua ansia di ‘indiarsi’, o se si preferisce di ‘indivinarsi’. Un processo questo che è dimostrato dal successo crescente della più commovente e somigliante copia del divino modello, Francesco d’Assisi. Questi, per la verità, ha un vantaggio su Gesù di Nazaret: nessuno ha mai pensato di farne un Dio e nessuno ha tessuto un sistema teologico su di lui. Di lui discutono al massimo gli storici e i professionisti della spiritualità e della mistica. Ma sul suo conto non ci sono state eresie, e se si escludono le discussioni anche violente del primo secolo p.F. tra i fautori della stretta osservanza di un “Francesco sine glossa” e quelli più disposti a venire a patti con la tradizione conventuale dei grandi ordini Occidentali, le dispute su di lui sono state prevalentemente accademiche.
Bisogna dare atto, ai francescani della seconda metà del sec.XX, di grande intelligenza e (se mi si permette) di abilità nell’intuizione e nella conduzione di questa vera rinascita francescana. Essi propongono un Francesco super partes, capofila spirituale e simbolico delle capitiniane marce della pace come pure delle veglie sotto le stelle o intorno ai falò in ogni parte del mondo. Manifestazioni in cui tutti si ritrovano, cui tutti possono partecipare senza rinnegare nulla delle proprie fedi d’origine e delle proprie tradizioni.
Qualcuno lo chiama irenismo, e il vocabolo ha un sapore leggermente negativo. Ma forse può venirne una grande lezione anche per l’ecumenismo interconfessionale: sono infinitamente di più le cose che possono unire tra loro tutti i cristiani, di quante non ce ne siano che possono dividerli. Perché ostinarsi tanto su queste e lasciare in secondo piano tutte quelle che possono unirci? Quanto le dottrine possono dividerci, tanto la carità può unirci. “Fratello da dove vieni, e dove vai? un tratto di strada è in comune: vogliamo percorrerlo insieme? Al bivio, laggiù, si vedrà. Intanto avremo imparato a conoscerci, forse ad apprezzarci. Forse ad amarci”. Allora sarà più facile decidere sulla strada migliore che ci resta da fare.

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